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Alternativa Berlusconi?

Paolo Pombeni - 19.04.2017
Berlusconi e Salvini

Le riflessioni sul tripolarismo vanno di moda. Ancora oggi per molti disegnano uno scenario di ingovernabilità che dopo le prossime elezioni ci costringerà rapidamente a tornare alle urne. Iniziano ad ingrossarsi però le fila di quelli che pensano ad una soluzione di sblocco con il prevalere di una coalizione di centro destra grazie alle abilità (taumaturgiche?) di Silvio Berlusconi.

Il ragionamento che si fa è più o meno questo, in uno scenario che vuole ragionare per classici blocchi evitando le coalizioni trasversali imprudentemente marchiate come “inciuci”. In assenza di informazioni certe su come sarà la futura legge elettorale, ci sono due ipotesi: la prima è che alla fine si introduca un premio a chi guadagna almeno il 40% dei suffragi (coalizione o lista si vedrà); la seconda è che si rimanga ad un proporzionale sostanzialmente puro. Il Movimento Cinque Stelle in questo quadro è quello messo peggio nonostante al momento sia accreditato dai sondaggi come il partito con la più alta percentuale di consensi. Nel caso di un premio a chi supera il 40% dei voti si giudica improbabile che possa far un salto nei consensi di almeno 10 punti. Nel caso di un proporzionale classico, può risultare il partito più votato, ma siccome si dice indisponibile a coalizzarsi, cioè a ad accettare patti con chi dovrebbe unirsi a lui per fare la maggioranza, non riuscirà ad andare al governo.

Il PD non è messo bene. Che arrivi da solo al 40% dei voti non lo crede quasi nessuno. Quanto a fare coalizione con le altre forze di sinistra, vuoi prima delle elezioni se ci sarà il premio, vuoi in parlamento se si voterà col proporzionale classico, sarà un’impresa ardua. L’anti-renzismo di una buona quota delle altre forze di sinistra rende difficile un’intesa, che, anche ove in extremis ci fosse per il prevalere di un minimo di realismo, sarebbe fondata sulla sabbia.

Il centro destra in questo quadro viene accreditato come il solo “polo” che potrebbe trovare l’opportunità dell’aggregazione. La ragione è che è l’unico che può ancorarsi in qualche modo al passato accettando il patronage del vecchio Berlusconi. Nonostante tutti gli scambi di accuse fra FI e la Lega, un rigetto reciproco non c’è mai stato e con un po’ di maquillage ci si può poi accordare se l’orizzonte è quello di spartirsi un po’ di poltrone di governo. In quel caso si dubita che Salvini potrebbe tenere a freno una dirigenza che all’esercizio del potere ha fatto la bocca e che sa benissimo che la sua base non è fatta solo di quelli che mettono davanti a tutto le ruspe.

Il punto è che per raggiungere questo obiettivo il centrodestra ha bisogno di un passaggio prima delle elezioni tutt’altro che facile. L’attuale 30% o giù di lì non è abbastanza per conquistare una posizione di governo ma non si potrà ampliare quella fascia di consenso senza scegliere definitivamente fra un’immagine moderata ed una lepenista. Quelli che suggeriscono la vecchia tattica del marciare divisi (lepenista Salvini, moderato Berlusconi) per poi colpire uniti (fare insieme il governo) sottovalutano il fatto che proprio le due alternative delle ipotetiche leggi elettorali rendono impossibile l’operazione. Se infatti ci fosse il premio alla coalizione, la Lega dovrebbe rinunciare da subito ad un bel pezzo della sua attuale “narrazione”, perché altrimenti Berlusconi perderebbe di sicuro le simpatie di molte componenti delle classi dirigenti che per esempio di uscita dall’euro e di scontro con Bruxelles non vogliono sentir parlare. Difficile che Salvini accetti questo passo indietro che lo azzopperebbe come leader e gli farebbe perdere voti. Nel caso di una alleanza in parlamento dopo le elezioni non sarebbe semplice per FI concludere una alleanza con un partito che ha appena fatto una dura campagna lepenista e che, proprio in virtù di questa, avrebbe ottenuto un consenso cospicuo (per dirla con una battuta: non sarebbe come le alleanze in coalizioni passate con Rifondazione o con l’NCD).

Tutto questo porta a dire che in fondo Berlusconi non ha molte chance di ritornare al centro della scena se pensa semplicemente di resuscitare il vecchio centrodestra. A lui conviene molto di più sperare di potersi offrire come membro di una “grande coalizione” che unisca il PD (di Renzi, ma non solo) e il moderatismo italiano, rivitalizzato in una prospettiva da “salvezza della patria”. In fondo se persiste il problema di rimettere in piedi l’equilibrio economico e sociale del sistema Italia (ed è difficile che non sia così) la soluzione non passerà dalle impennate ideologiche, ma dal convergere di volontà disponibili al realismo necessario per un’impresa piuttosto difficile.

La questione che però non va sottovalutata è che, se questa è la carta forte in mano a Berlusconi, deve prenderne atto con realismo, cioè accettare che FI oggi non è certo il luogo di aggregazione del moderatismo italiano. Ogni tanto sembrava se ne rendesse conto e fosse disponibile a fare il facilitatore di questa rinascita chiamando in campo personaggi all’altezza del compito, come da ultimo è stato con Stefano Parisi, ma poi ha sin qui prevalso il richiamo della foresta, dei compagni della prima ora, dell’illusione di avere il potere di trasformare tutto quel che tocca in oro elettorale.

Non è più così ed è un peccato non se ne renda conto, perché la gamba di un responsabile moderatismo di centro non andrebbe sottovalutata in passaggi difficili come quelli che ci troviamo e che ci troveremo davanti.