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Parigi gennaio 2015: la linea sottile tra emergenza e quotidianità

Michele Marchi - 27.01.2015
Manuel Valls

I tragici eventi che hanno sconvolto la Francia ad inizio gennaio e le successive risposte dei principali protagonisti politici segnano un tornante nella lunga crisi che attanaglia il Paese perlomeno dall’inizio del XXI secolo? Se di reale tornante ed effettiva cesura sia lecito parlare, sarà solo il tempo a confermarlo o a smentirlo. L’impressione di una qualche forma di discontinuità è però più che evidente.

La prima riguarda il presidente della Repubblica. François Hollande, a metà del deludente mandato che lo ha condotto ad essere l’inquilino dell’Eliseo meno gradito della Quinta Repubblica, sembra avere a disposizione una “seconda chance”. Nelle tragiche giornate del 7-9 gennaio, poi in quella “mitica” dell’11 e nel corso delle varie commemorazioni per le vittime, Hollande ha sfoggiato un “percorso netto”. Ha di volta in volta trovato il giusto tono e la necessaria determinazione. Di fronte all’evento “straordinario” ha insomma contraddetto i suoi critici: ha mostrato cioè di poter essere all’altezza del ruolo. Il Paese in questa complicata congiuntura ha avuto, per la prima volta dal maggio 2012, l’impressione di poter contare su un presidente. È vero che il +21% del suo livello di popolarità dovrà superare la prova del tempo, ma oltre l’80% dei cittadini ha approvato ogni singolo intervento di Hollande nella gestione della crisi. È un dato emblematico per un Paese che ha visto il suo presidente svolgere al meglio le due principali funzioni che Costituzione formale e materiale gli attribuiscono: decidere e rassembler.

La seconda è una discontinuità, mista a conferma, e riguarda il Primo ministro Manuel Valls. La coerenza e la professionalità sono state le doti più apprezzate dai francesi nei giorni più acuti della crisi. Valls ha saputo restare un passo dietro al presidente e allo stesso tempo ha dispiegato tutta la sua competenza nelle questioni di sicurezza. Seguendo alla lettera il dettato costituzionale, mentre il presidente si è prodigato a rassembler e ad incarnare l’unità della Repubblica, Valls si è occupato materialmente dei dossier. Con il suo discorso all’Assemblea Nazionale del 13 gennaio (dopo essere stato accolto dalla Marsigliese spontaneamente intonata dai deputati) e con i successivi interventi per gli auguri alla stampa e per elencare i provvedimenti anti-terrorismo, il Primo ministro è andato oltre, ha ulteriormente spostato verso l’alto l’asticella del dibattito politico. Il piano proposto prevede in tre anni un aumento massiccio degli operatori per la sicurezza, un investimento sostanziale in mezzi e tecnologia, più poteri per l’intelligence, più coordinamento per trattare i dati sensibili a livello europeo e uno sforzo imponente per mettere mano ad una complicata situazione carceraria, individuata come prima fonte del contagio islamista radicale. Accanto a questa parte operativa, nella quale l’ex ministro dell’Interno si trova particolarmente a suo agio, Valls, ha parlato di alcune zone del Paese dominate da una “apartheid territoriale, sociale ed etnica”. Con queste parole ha da un lato lanciato la sua sfida all’UMP e al FN e dall’altro ha proposto una “rupture” complessiva per la cultura politica di sinistra. Valls ha deciso di sfruttare l’occasione per distruggere alcuni tabù della sinistra. Ha in sostanza voluto ricordare che sicurezza e lotta alle disuguaglianze sono bandiere delle quali la gauche deve appropriarsi se vuole essere competitiva nella Francia del XXI secolo. La sua è dunque una ricetta offerta al Paese per contrastare l’ondata terroristica, ma anche un tentativo di seppellire un certo approccio libertario e umanitario (ma soprattutto semplicistico) tipico della tradizione di sinistra post ’68, ancora troppo determinante all’interno del PS.

Un breve cenno merita poi la fase che sta vivendo il neo presidente dell’UMP (ed ex presidente della Repubblica) Nicolas Sarkozy. La scelta quasi obbligata di assumere la guida del principale partito di opposizione per arrivare ad una nuova candidatura all’Eliseo, si è complicata dopo gli eventi di inizio gennaio 2015. La risposta di Hollande agli attacchi lo ha privato del principale argomento di critica al presidente, cioè la sua incapacità, vera o presunta, di incarnare il ruolo di “monarca repubblicano”. In secondo luogo Sarkozy deve fare molta attenzione quando avanza critiche al complessivo sistema di sicurezza del Paese. Nel decennio 2002-2012 egli è stato per quattro anni ministro dell’Interno e per cinque Presidente della Repubblica. Mancanze ed errori sono dunque perlomeno frutto di un concorso di colpa tra destra e sinistra. Infine l’offensiva di Valls sui temi della sicurezza elimina argomenti all’UMP o comunque lo obbliga ad avanzare proposte che rischiano di avvicinarlo pericolosamente alle posizioni di un FN che, dal canto suo, non ha certo vissuto facilmente i giorni dell’“unità repubblicana”.

 Se dovesse confermarsi nelle prossime settimane, la tendenza è di una netta ripresa di iniziativa politica da parte del Presidente e del suo Primo ministro e in generale della gauche socialista. In questo caso si potrebbe davvero parlare di un’importante cesura rispetto alla deludente prima metà di mandato presidenziale di Hollande.

Vi sono però numerose incognite da considerare prima di poter parlare dell’avvio di una, seppur lenta, guarigione del “malato d’Oltralpe”.

La grande giornata di manifestazioni dell’11 gennaio è stata una boccata d’ossigeno per l’Eliseo, ma più in generale per una classe politica sempre meno sostenuta dall’opinione pubblica. Basti pensare che nell’ultimo rilevamento sulla fiducia nei confronti della politica (effettuato prima dei fatti di Charlie Hebdo) il 73% dei francesi si è detto  insoddisfatto del proprio sistema democratico. Inoltre i quattro milioni di francesi nelle piazze tra il sabato e la domenica successiva ai fatti di Parigi, in realtà erano una minoranza non così rappresentativa del Paese o perlomeno delle sue fasce più deboli e meno rappresentate. A sfilare sono stati in maggioranza gli over cinquanta e i giovani (ma non giovanissimi), dotati di un buon livello di scolarizzazione e per la maggioranza elettori attuali o potenziali di sinistra. Mancava la Francia delle periferie (gli immigrati o i figli di immigrati, ma non solo) e quella periurbana, arrabbiata e disillusa, che in maggioranza vota FN.

Inoltre, anche ammesso che l’11 gennaio segni la “rifondazione” simbolica di un Paese fino a poche settimane prima ripiegato sul suo declinismo, bisognerà valutare i responsabili politici concretamente all’opera per decostruire le principali patologie che lo caratterizzano da fine anni Settanta, cioè il costante aumento della disoccupazione, il consolidato comunitarismo, l’antisemitismo strisciante e la progressiva decadenza del suo sistema educativo.

In definitiva, al di là della retorica sull’unità repubblicana (o union sacrée), sarà indispensabile ripartire dal doppio fallimento, a livello di integrazione, del quale si è resa responsabile la République. Fallimento economico-sociale e disastro nella gestione dell’immigrazione, in particolare nella mancata integrazione delle seconde e ora, ancor più, delle terze generazioni. La République e il suo presidente, si sono dimostrati all’altezza nella gestione dello “straordinario”. Sapranno tornare finalmente ad esserlo in quella dell’“ordinario”?