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Niente complotti, ma uno scontro europeo

Michele Iscra * - 09.12.2017
Napoletano Il Cigno nero

L’uscita del libro di Roberto Napoletano, Il Cigno nero e il Cavaliere bianco. Diario italiano della grande crisi, pubblicato da La Nave di Teseo, ha già suscitato molto interesse nelle anticipazioni che sono state date da giornali e TV. Giornalista che ha vissuto intensamente l’ultimo decennio che ha visto l’Italia misurasi con il terremoto di una crisi economica di portata inusitata, Napoletano dalla sua posizione peculiare di direttore de “Il Messaggero” prima e de “Il Sole 24 Ore” poi ha fatto qualcosa di più che osservare e analizzare questo passaggio drammatico e decisivo: è stato al centro di una rete di contatti con molte figure chiave di quei frangenti difficili ed ha dovuto costruire una linea di interpretazione di quegli eventi critici sia con i suoi editoriali sia coordinando gli interventi di opinionisti e giornalisti che chiamava ad animare le pagine dei giornali.

Questo libro è il compendio di quanto ha per così dire appreso in quegli anni e al tempo stesso è, se ci si consente l’espressione, la “messa in ordine”, ormai uscito dal fuoco della prima linea giornalistica, di quanto aveva accumulato. Si sbaglierebbe infatti a considerare questo denso volume come semplicemente una raccolta di confidenze autorevoli e di pensieri nati sull’onda di quegli scambi. C’è anche questo, ma non è tutto qui.

Lo sforzo dell’autore è quello di cogliere il senso e il significato di ciò che è accaduto e che sta ancora accadendo nel contesto italiano, letto però non come un universo chiuso e autoreferenziale, ma come un pezzo della storia europea. Forse non si coglierà di primo acchito questa dimensione, perché il libro è scritto in maniera brillante e, considerati anche gli argomenti ed i personaggi chiamati in causa, l’attenzione è presa dallo scorrere del racconto. Una lettura più attenta svelerà però la chiave di questa che è una appassionata inchiesta alla ricerca delle radici di una crisi che già ha rischiato di travolgere il nostro paese e che probabilmente non è ancora alle nostre spalle.

Napoletano giustamente respinge le letture complottistiche che tanta fortuna hanno avuto negli ultimi anni e altrettanto fa con quelle che mischiano l’eterna autoflagellazione delle nostre debolezze con la riproposizione di immaginari punti di eccellenza del nostro sistema paese. Non che egli ignori le positività di cui per fortuna dispone l’Italia, ma lo fa sempre tenendo conto che la contingenza è quella di una sfida generalizzata per il ridisegno delle posizioni che i vari attori ricoprono nel contesto europeo.

L’Italia non è infatti una presenza minore nel quadro di una Unione Europea che è alle prese con una trasformazione complessiva dei punti di riferimento e delle potenzialità della sue varie componenti. E’ un membro fondatore di questo consesso, un paese che ha alle spalle una storia di successi e di progressi (che Napoletano richiama spesso con forza), ma che ora si trova, per una serie complessa di ragioni, a fare i conti con un contesto che ne ha indebolito fortemente le potenzialità. Su questo si abbatte il “cigno nero” della grande crisi economica che dal novembre 2011 scuote buona parte del mondo e si verifica l’eterna legge storica, per cui sull’animale ferito e in difficoltà si avventano i competitori.

Giustamente Napoletano richiama il fatto che questi competitori non sono poi personaggi senza macchia e senza paura, ma ciascuno ha i suoi scheletri nell’armadio e patisce le sue difficoltà: sia la Francia che soffre sotto la debole presidenza Hollande e che con Macron tenterà la rimonta verso la grandeur, la Gran Bretagna che deve arrendersi allo sciovinismo della Brexit, la Germania che sembra un gigante solidissimo, ma che in realtà deve misurarsi col tramonto della sua tradizionale stabilità politica incarnata dal venir meno del consenso indiscusso dei suoi due partiti storici. I molti personaggi con cui il nostro autore si confronta sono di quelli che non amano le analisi di maniera e che sono pronti a fornirgli elementi per irrobustire la sua analisi. Sono, e anche questo sarebbe bene sottolinearlo, la testimonianza che il nostro paese, volendo, una classe dirigente che ha capito dove va il mondo ce l’ha, e che se solo la sapesse sfruttare potrebbe evitarsi lo scenario di piccoli personaggi che rincorrono gli animal spirits di una popolazione impaurita e quasi intorpidita dalla crisi di transizione epocale in cui si è trovata immersa.

E’ qui che entra in gioco la domanda del “cavaliere bianco” capace di trarre il paese fuori dalle secche in cui rischia di arenarsi troppo a lungo. Qualcuno che non distribuisca analgesici che stordiscono a buon mercato, ma che sappia mettere in campo progettualità fondate su analisi e visioni. E che, diciamolo francamente, abbia anche il carisma per scuotere la fiducia popolare e compattarla per una prova che non si può vincere a buon mercato.

Chi come Napoletano ha esercitato a lungo il mestiere di opinion maker nel senso forte del termine (perché questa è la missione di chi dirige un giornale) sa bene che quella è la domanda che sale da un paese costretto a misurarsi con un tornante storico a cui arriva non proprio nelle migliori condizioni: lo sa perché non ha mai smesso di confrontarsi con coloro che potrebbero essere e che in parte sono i “cavalieri bianchi” e perché è per mestiere in sintonia profonda con la vera “opinione pubblica” del paese.

 

 

 

 

* Studioso di storia contemporanea