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Nel nome del padre

Michele Marchi - 05.07.2014
Marine Le Pen

Marine Le Pen è pronta a compiere il passo conclusivo della sua ascesa politica? È determinata cioè a “sacrificare” il suo “padre politico” sull’altare della conquista del potere? E’ disposta a farlo, anche se carriera politica e vita famigliare si intrecciano sino a costituire un tutt’uno alla “corte” dei Le Pen? Quello che si è vissuto nel mese di giugno all’interno del FN ha i tratti del feuilleton famigliare. Ma in realtà accanto all’affaire di famiglia non si devono trascurare gli elementi politici della rottura, chissà se definitiva, tra il “vecchio” Jean-Marie e la “giovane” Marine.

 

La successione e il FN partito personale


In generale la successione è uno dei passaggi più delicati della vita di un partito politico o di un sistema istituzionale. E lo diventa ancora di più se il partito è molto personalizzato. Da questo punto di vista il FN è il vero idealtipo del “partito ghetto” o “partito clan”, una sorta di falange schierata in ordine di battaglia dietro al proprio capo e pronta a chiudersi a testuggine a sua difesa. Chi è però ora il grande capo? In origine è quel Jean-Marie Le Pen che ad inizio anni Settanta è riuscito a strutturare attorno a sé un estremismo frammentato e multiforme. E’ stato cioè capace di recuperare un’estrema destra maurrassiana, pétainista e poi sostenitrice dell’Algeria francese, riadattandola in chiave antisistema e populista non appena sono comparse le prime crepe nel quadro economico-sociale della Francia post-bellica. Ma il partito personale è diventato qualcosa di diverso quando sul finire degli anni ’90 il padre fondatore, dopo aver espulso il suo “figlio adottivo” Bruno Mégret, ha avviato verso la leadership la figlia “naturale”, Marine. La conquista definitiva del partito da parte di Marine, ad inizio 2011, è giunta con la benedizione del padre, ma da quel momento l’idillio sembra essersi frantumato. Il punto è che da quel momento la talentuosa figlia ha esplicitato il suo progetto per il FN del futuro. Riproporre la tradizione novecentesca poteva anche bastare per eliminare dal ballottaggio presidenziale una sinistra divisa e atona (vedi 2002), ma difficilmente avrebbe portato il FN a responsabilità di governo (locali e nazionali). La già fisiologica difficoltà nel succedere al leader si complica ancora di più se il successore opta per una marcata discontinuità.

 

L’antisemitismo e il ghetto


La goccia che sembra aver fatto traboccare il vaso è stata l’ennesimo insulto antisemita, questa volta rivolto al cantante di confessione ebraica Patrick Bruel (che si era detto allarmato dallo score del FN alle europee). Jean-Marie lo ha lanciato dalla sua rubrica online sul sito del FN. La figlia non solo ha stigmatizzato le parole del padre come “errore politico”, ma ha anche chiuso la rubrica. In piena “saga famigliare” Le Pen padre ha scritto una lettera aperta al “presidente del partito” (la figlia appunto), nella quale senza mai nominarla e dandole del lei, le ha ricordato dove affondano le radici di quel FN. La figlia non si è scomposta e dalle colonne della rivista Valeurs actuelles ha rilanciato: nessuno può mettere in dubbio l’importanza di Jean-Marie per il FN. La differenza però tra lei e il padre è di linea politica. Lui ha la testa rivolta all’indietro e vuole far vincere il FN, lei guarda l’orizzonte e “vuole far vincere la Francia”.

La chiave è tutta qua. Se si guarda la storia del FN, Jean-Marie ha sempre operato per mantenerlo in perfetto equilibrio tra il “dentro” e il “fuori”, tra l’essere “anti” e l’essere “critico”, ma dall’interno. Tre esempi tra gli altri. Nel 1986 il FN gioca fino in fondo la partita democratica e grazie al proporzionale di Mitterrand porta 30 deputati all’Assemblea nazionale. Entra il quel sistema descritto come un ricettacolo di corruzione e malaffare. L’anno dopo Jean-Marie rilancia la logica del ghetto e dell’anti: ecco l’affermazione sulle camere a gas come “dettaglio della Seconda guerra mondiale”. La seconda istantanea riguarda il trionfo del 2002. Il ballottaggio contro Chirac è giunto sfruttando gli errori della sinistra, ma anche proponendo la nuova linea “moderata”, tracciata da Mégret. Tendenza che Marine ha poi con prudenza riproposto una volta cacciatone l’ispiratore. Ma a contrastare il primo abbozzo di uscita dal ghetto dell’estrema destra ci pensa Jean-Marie ed ecco giungere le affermazioni sull’occupazione tedesca della Francia “non così inumana”. Il terzo momento è ancora più emblematico. Marine arriva alla guida del partito con una linea tesa a normalizzare, banalizzare e “dédiaboliser” il FN, con l’obiettivo di consolidare il voto tra gli strati popolari (oramai massiccio da un decennio) ma anche di corteggiare i delusi e gli indecisi della destra repubblicana sconvolta dal ciclone Sarkozy. E il padre cosa fa? Sostiene la figlia, ma fa anche ricomparire il “vizietto” antisemita. Ecco le parole sprezzanti rivolte ad un giornalista proprio durante la conferenza stampa del dopo Congresso di investitura della figlia e la tolleranza nei confronti dei militanti che fanno il saluto romano.

 

Dédiabolisation a rischio o garantita?


Marine rivendica un lavoro costante nel tentativo di fare evolvere il FN sino ad adattarlo alla sua epoca. Così si spiegano l’imponente campagna di marketing politico tesa a proporre candidati giovani, donne, intellettuali, l’attenuazione dei toni sui temi classici dell’immigrazione e dell’insicurezza e l’attenzione per quelli economici e di società. In questo quadro le uscite antisemite del padre stridono e riportano in primo piano un elemento identitario del FN che la figlia non vuole cancellare, ma cerca di trascendere. Dunque il feuilleton, partendo da una indubbia dimensione legata alla natura del FN partito personale e partito famigliare (un terzo del comitato esecutivo lo è, trattandosi di Marine, del compagno Louis Aliot e del padre Jean-Marie), finisce per avere un impatto politico importante e potenzialmente per imporre una battuta d’arresto alla normalizzazione e banalizzazione del FN.

C’è però anche un’altra lettura possibile. Recenti sondaggi dopo l’ennesima boutade antisemita registrano un crollo della popolarità di Jean-Marie Le Pen, a cominciare proprio dai militanti che nella querelle si schierano al 90% con la figlia. Nel momento in cui il padre veste i panni del leader sulfureo fornisce un assist prezioso alla figlia che può così occupare il fronte mediatico e mostrare al Paese e all’Europa quanto è avanzata la sua discontinuità dal vecchio FN. Se questo poi avviene in concomitanza con il passo falso di Bruxelles (vedi http://www.mentepolitica.it/articolo/una-doccia-fredda-per-il-front-national/112 ) ancora meglio.

I ben informati dicono che il padre nutra un odio vero nei confronti del genero Aliot e di conseguenza un rancore reale verso la figlia, anche perché quest’ultima ha oramai oscurato il suo trionfo del 2002 con i risultati del 2012 e di maggio scorso. Quindi l’idea che l’affaire sia stato montato ad arte è fantapolitica. Il fatto però che l’astuta Marine lo stia volgendo a suo favore è piuttosto evidente.