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La "popolocrazia"

Luca Tentoni - 17.03.2018
Ilvo Diamanti - Popolocrazia

In Europa le forze "populiste" riscuotono buoni risultati quasi dappertutto: anche in Italia, come si è visto alle elezioni del 4 marzo scorso. C'è però da intendersi su una definizione che - già sfumata e sfuggente per natura - è spesso usata impropriamente, più "con un senso peggiorativo e stigmatizzante, verso un avversario, per screditarlo", che per coglierne e delimitarne i contorni. Nel suo "Popolocrazia" (Laterza, 2018) scritto con Ilvo Diamanti, Marc Lazar affronta il tema della metamorfosi delle nostre democrazie cercando di individuare le varianti di un fenomeno che è molto più complesso di quanto comunemente si creda. Riprende una frase di Marc Bloch adattandola e applicandola alla situazione attuale: "Populisti, antipopulisti, smettiamola di litigare, cerchiamo di comprendere che cos'è il populismo e cosa sono i populisti". In effetti, "populismo" e "populisti" sono "parole contenitore", generiche quanto basta per comprendere fenomeni molto diversi. Non si tratta soltanto di partiti che contestano le forze politiche tradizionali o l'establishment "o incensano il popolo, fustigano l'Europa, esaltano la Nazione, respingono gli immigrati, avanzano in continuazione proposte semplicistiche, si servono della demagogia. Non prosperano solo in paesi in recessione sottoposti a politiche di rigore e caratterizzati da forte disoccupazione, generalizzazione del precariato e allargamento delle diseguaglianze". In altre parole, se questi tratti possono essere propri di qualcuno dei partiti definiti "populisti", il vero punto comune è che questi soggetti politici rappresentano "non un problema in quanto tali, ma la manifestazione di un problema democratico, in particolare con l'espansione del fenomeno dell'antipolitica, che comporta due grandi aspetti: uno di rigetto verso qualsiasi genere di politica, l'altro di aspirazione a una democrazia diversa". Al centro di quella che Lazar chiama "popolocrazia" c'è la sacralizzazione del popolo, inteso come un corpo puro che deve difendersi dalla corruzione dei politici e delle élites. L'esaltazione della democrazia diretta, l'uso di forme di comunicazione come i social network sono solo strumenti di un agire che è a tutti gli effetti politico e che affonda le sue radici nella storia di molti paesi europei (dal "narodnicestvo" russo dell'Ottocento in poi, senza trascurare il boulangismo francese, o il populismo di Andrew Jackson negli Stati Uniti), in particolare in Francia e in Italia (questi ultimi, oggetto dell'analisi di Lazar e Diamanti). La crisi della democrazia liberale e rappresentativa, il tramonto delle grandi ideologie del XX secolo hanno riportato in primo piano una tendenza carsica al populismo, sia pure in forme più adatte alle esigenze e alle caratteristiche dei nostri tempi. L'Italia ha conosciuto diverse declinazioni di populismo, da quello berlusconiano del 1994 fino a quelli - di governo e d'opposizione - del presente. Il populismo "suscita, e nello stesso tempo soddisfa, una domanda intesa come aspirazione a un cambiamento radicale, volontà di rovesciare il tavolo, ricerca di conforto con proposte nette". La riemersione del populismo è caratteristica delle fasi nelle quali la società è in preda a forti incertezze, momenti traumatici, fasi di crisi economiche e sociali, se non addirittura culturali. Quando il distacco fra classe politica e governati arriva ad un punto di rottura, si creano le condizioni per il rigetto e per l'affermazione di proposte alternative che da un lato denunciano con forza e durezza i problemi esistenti e dall'altro lato propongono "il ritorno a un passato favoleggiato o descrivono un futuro radioso e armonioso". In pratica, si approda alla "retrotopia" di Bauman, anche se, per Lazar "per i populisti non esistono problemi complicati, ma soluzioni semplici; la loro temporalità è quella dell'immediatezza, dell'istantaneo; il loro regime di storicità è il presentismo". In questo modo, "annientano l'arte della politica e del governo, fondata tradizionalmente sui tempi dell'osservazione, della valutazione competente, della riflessione, della mediazione, della deliberazione e poi dell'azione". Se la politica, i politici sono percepiti come freddi e distanti, incapaci di comprendere i veri bisogni dell'opinione pubblica, "il populismo riempie un cuore vuoto" come afferma Paul Taggart, perchè eccita le passioni "cosa che si manifesta nel suo linguaggio, mentre la democrazia liberale e rappresentativa cerca di prosciugarle, al fine di far trionfare la ragione". Non tutti i populismi sono uguali, per accenti e soluzioni proposte. C'è, per esempio, secondo Dominique Reynié, quello "patrimoniale" che si basa sulla difesa del patrimonio identitario e culturale (oltre che economico), tipico dei paesi più ricchi (o più al riparo dalla crisi economica), rivolto alle classi più povere. Ma la distinzione fra populismi - e la stessa definizione del fenomeno - non sono necessariamente legati alle condizioni materiali di vita dei cittadini. Va ricercata, piuttosto, nel modo d'essere e di presentarsi delle varianti del populismo. La studiosa inglese Margaret Canovan lo divide in quattro sottoinsiemi: il modello peronista; la democrazia populista svizzera; il populismo reazionario (Ukip); il populismo dei politici (secondo Lazar, "un'espressione un po' vaga che inglobava tutti quelli che tentavano di riunire il popolo andando oltre la divisione destra-sinistra"). Secondo Carlo Tullio Altan, in Italia si confrontano due tipi di populismo: uno di sinistra, di origine giacobina; l'altro "sanfedista". Ne abbiamo avuti diversi e con molte sfumature, in Italia come in Francia (il "laurismo", per esempio, negli anni Cinquanta). C'è poi chi ha usato argomenti e stili populisti per conquistare il potere o mantenerlo (si è parlato di sarko-berlusconismo, in Francia). E non è raro che il populismo (che si regge sulla distinzione fra "amici" e "nemici" del popolo) serva a leader o soggetti politici come bersaglio da colpire con un "contropopulismo" che finisce però per esserne lo specchio. In altre parole, può accadere che nello stesso campo si confrontino più populismi: uno nazionalista e sovranista basato sull'idea della difesa del popolo dalle ingerenze esterne (dei "poteri forti" o degli immigrati); uno "anticasta", che punta sui temi economici, per ridare al popolo il "maltolto" (anche qui, in contrapposizione con l'élite malvagia); uno "antipolitico di sistema", che si fonda su leader i quali rivendicano la loro estraneità al vecchio regime rassicurando però i moderati - "la maggioranza silenziosa" - che il nemico populista non toglierà loro certezze economiche e sociali. Secondo Lazar e Diamanti, uno degli elementi che caratterizzano la "popolocrazia" è "l'adattamento di tutti gli attori politici al linguaggio e alle rivendicazioni dei populisti. Per contrastarli e neutralizzarne la sfida, si tende, spesso, a imitarli". In Italia, secondo gli autori del libro (scritto poco prima delle elezioni del 4 marzo, le quali hanno ampiamente confortato questa tesi) i populisti sono divenuti centrali, in Francia come in Italia. Tuttavia, concludono, "nulla è ancora scontato. Oggi siamo in una fase di passaggio nella quale la popolocrazia si sviluppa. Nel corso della sua storia, la democrazia liberale e rappresentativa ha già ceduto ad alcuni assalti, ma, nel tempo stesso, ha saputo reagire. A condizione, però, che i difensori della democrazia liberale riescano ad analizzare e a comprendere i cambiamenti che essa sta attraversando, dimostrando la capacità di rispondere alle domande e alle aspirazioni delle popolazioni disorientate, inquiete, talvolta disperate". I populismi, insomma, sono il prodotto di un malessere e di un disagio. Non nascono dal nulla e non scompariranno se le cause che li hanno alimentati non verranno risolte.