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24 aprile 2024
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La politica italiana nelle pieghe della guerra in Ucraina

Paolo Pombeni - 16.03.2022
Draghi

La vita politica italiana continua anche oltre le vicende belliche che monopolizzano l’attenzione dei media e del pubblico. Anzi si ha l’impressione che proprio a causa di questo obbligo a concentrare l’attenzione sulla grande tragedia internazionale si proceda nelle vicende di casa nostra in modalità su cui sarebbe meglio tenere acceso qualche faro.

La demagogia d’assalto ha buon gioco a discettare su come distribuire interventi a sostegno di tutti i settori colpiti dai rimbalzi delle economie colpite dalla guerra, dal prezzo di gas e carburanti alle ricadute sul mercato delle materie prime e via elencando. Si tratta in parte di difficoltà reali, per quanto disinvoltamente presentate come risolvibili con problematici interventi a pioggia da parte del bilancio statale, in parte di allarmismi seminati ad arte. Che ci sia da prepararsi a tempi complicati è un dato di fatto, ma questo richiede serietà e impegno, non populismo a buon mercato.

Soprattutto andrebbe tenuto conto che in ogni caso quanto sta accadendo e quanto starà per accadere non cancella gli impegni che abbiamo preso riguardo alla ricostruzione della nostra economia. Si è già detto più volte che le riforme su cui il parlamento è chiamato ad esprimersi da questa settimana in avanti (fisco, catasto, concorrenza, riforma del CSM) sono passaggi importanti per poter avere le prossime tranche di finanziamento perviste dal Recovery Europeo a sostegno del nostro PNRR. L’idea che viste le turbolenze internazionali si possa fare un po’ come si vuole è assolutamente sbagliata.

Al contrario, proprio a causa di quel che sta avvenendo, nel sistema europeo si sta indebolendo la disponibilità a considerare scontato il Next Generation UE. Come si sa, questo in buona parte si regge su una qualche accettazione a ricorrere a forme di debito comune, mentre ora si discute su come creare delle ulteriori disponibilità di bilancio per sostenere le spese generate dagli impegni indotti dalla nuova situazione internazionale: dagli approvvigionamenti e stoccaggio delle fonti energetiche alle spese per incrementare la difesa comune (per tacere del problema di finanziare il sostegno all’ondata di profughi ucraini). Già si sta notando l’irrigidirsi di vari paesi un tempo definiti frugali, Olanda in testa, che di debito comune sono poco disposti a sentir parlare e che anzi risollevano il problema dei vincoli di bilancio che sono stati per ora messi da parte.

Si può immaginare che in questo clima ci sarebbe tolleranza nelle varie sedi comunitarie per un’Italia che non facesse le riforme necessarie perché nel nostro paese non riusciamo a contenere le pretese di una miriade di lobby di varia natura (dagli immobiliaristi, ai balneari, a una parte dei magistrati) che non ne vogliono sapere di prendere atto che è finito il tempo della confusione in cui chi si era accaparrato fette di potere e reddito se le poteva tranquillamente tenere?

La domanda è retorica e dunque la risposta è scontata. Il problema è che sembra difficile trovare un terreno di confronto serio fra i partiti, sia di maggioranza che di opposizione. Si potrebbe semplicisticamente spiegare con il fatto che la difesa delle varie lobby porta voti e con le elezioni sempre più incombenti in un clima di turbamento della pubblica opinione ognuno cerca di portare a casa tutto quel che può.

Certamente questa spiegazione copre una buona fetta del problema, ma non è tutto. La nostra impressione è che oltre ai calcoli elettoralistici dei gruppi dirigenti, ci siano quelli dei singoli parlamentari, piuttosto sballottati dai flutti delle incertezze generali che si rifrangono sul loro futuro. Quei partiti che non sono in grado di garantire neppure in teoria (perché poi in pratica le cose sono sempre incerte) la rielezione di un buon numero dei loro membri devono far fronte alle spinte avventuriste dei parlamentari che per varie ragioni puntano a mettersi in luce con emendamenti, subemendamenti, voti più o meno segreti. Sperano così di ottenere spazi di visibilità presso questa o quella lobby, questo o quel segmento di opinione pubblica, e magari di potersi reinventare anche con qualche nuovo partitello (basta guardare a quanto s’è gonfiato il “Misto” nelle due Camere …).

Del resto anche i partiti con numeri di seggi meno soggetti a ridimensionamento, perché come abbiamo sempre ricordato il taglio di 335 seggi pesa poi su tutti, devono fare i conti con l’incertezza circa il sistema elettorale con cui si voterà. Se per esempio ci saranno collegi con qualche forma di uninominale o di meccanismo di coalizione obbligata, diventa evidente che il politico che può schierare a proprio supporto lobby agguerrite sarà avvantaggiato nell’essere scelto come candidato su quelli degli altri partiti coalizzati che hanno meno sostegni.

Così abbiamo sempre più a che fare con un parlamento balcanizzato, dove gli stessi gruppi dirigenti dei partiti, già alle prese con il governo di correnti e fazioni, sono costretti a temere sempre le alzate d’ingegno di questo o quel singolo. E poiché spesso, nelle commissioni ma non solo, nei confronti si vince o si perde per pochissimi voti, si può ben capire quanto il quadro stia diventando complicato.

Certo la situazione internazionale rende difficile, forse quasi impossibile, la caduta del governo, ma non è detto che questo sia sufficiente a garantire la tenuta del nostro sistema. Se sopravvive sfilacciandosi non può certo essere in grado di affrontare in maniera appropriata sfide che sono sempre più ardue.

Sarebbe bene che ci fosse maggiore consapevolezza dell’asprezza del tornante storico e politico che stiamo già affrontando. Ridurre tutto al pur necessario dovere di prendere posizione in una maniera consapevole sui destini del mondo (ci si risparmi per fare la sceneggiata dei bastian contrari di professione che credono che il compito degli intellettuali sia essere in spocchiosa minoranza) non può esimerci dal lavorare seriamente per il futuro delle nostre comunità di appartenenza.