Ultimo Aggiornamento:
30 novembre 2024
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Democrazia VS. Autocrazia: un confronto di prospettive e di interpretazioni

Fulvio Cammarano * - 16.03.2022
DEMOCRAZIA VS. AUTOCRAZIA

Le analisi che si stanno moltiplicando in queste settimane per cercare di comprendere le ragioni che hanno spinto Putin a invadere l’Ucraina e a condurre il mondo sull’orlo di una guerra nucleare concordano quasi tutte nel descrivere un Putin preoccupato dall’estendersi della morsa Nato attorno alla Russia e soprattutto reso inquieto dal timore del diffondersi del modello di democrazia liberale. È questo il tarlo che sta corrodendo il modello imperiale neo-zarista in cui si trova ingabbiata la Russia postsovietica, come sembra confermato dall’incremento della repressione del dissenso interno. A fronte di tale percezione di accerchiamento, vissuta anche come sfida personale, Putin ha deciso di aggredire l’Ucraina, completando un’azione già iniziata nel 2014, nella convinzione che l’Occidente - nelle diverse vesti di Unione Europea, Stati Uniti, Nato - non avrebbe trovato la forza e la compattezza, alla luce delle recenti “verifiche” (Crimea, Afghanistan), di reagire. Si è trattato di un errore di interpretazione che, a seconda della durata e degli esiti della guerra in corso, trasformerà il 2022 in uno spartiacque nella storia delle relazioni politiche ed economiche planetarie e soprattutto costringerà l’Occidente a ripensare la convivenza con le autocrazie. Le potenze autoritarie sono come vulcani a lungo quiescenti, attorno ai quali, dopo il 1989, ci siamo mossi irresponsabilmente – pensando soprattutto agli interessi commerciali - dimentichi della loro vera natura che, improvvisamente, può riemergere con spaventosa virulenza. È arrivato il momento di domandarsi perché di fronte alle ambizioni espansive delle dittature militarmente ed economicamente potenti, le democrazie riescono sempre ad essere colte di sorpresa anche quando, come è avvenuto negli anni ’30, con Hitler e in questi anni con Putin, i protagonisti non ci hanno mai nascosto i loro obiettivi. Chiarito che nessun parallelo sensato può essere fatto tra regime nazista e Russia di Putin, il raffronto può però essere utile per osservare come le democrazie liberali si comportano con i regimi dove non è possibile il ricambio al vertice dello Stato: in entrambi i casi si è cercato di saziare la tigre con “concessioni” (Sudeti e Crimea) e commercio. Tutto si è rivelato inutile.

Convivere, obtorto collo, con i regimi autocratici si può, e in molti casi, per realismo, si deve, a patto però di tenere sempre a mente la loro vera natura il che significa accettare l’idea, apparentemente irrazionale, che le tirannie saranno sempre disposte a rischiare tutto sconquassando un ordine, interno e internazionale, in cui magari si muovono a loro agio. Perché? In primo luogo, c’è una dimensione di salute mentale da non sottovalutare. Quale sia il confine tra sanità e patologia psichica è molto difficile da stabilire, tuttavia, qualora tale limite venisse superato, la domanda sorge spontanea: in che modo si lancia l’allarme in un sistema in cui il leader controlla tutti gli apparati politici, amministrativi e militari? Le percezioni paranoiche di un dittatore sono pericolose perché il detentore del potere assoluto, avendo reso impossibile la formazione di contropoteri attorno a sé, può decidere, senza incontrare ostacoli, di investire tutte le risorse economiche e militari che desidera, a caccia dei propri fantasmi mentali o anche nel perseguimento di proprie ossessioni geopolitiche.

Non ci sono invece problemi per quanto riguarda la legittimazione delle proprie scelte. Cambiano le epoche e i dittatori, ma il meccanismo operativo per rendere partecipi i cittadini/sudditi delle azioni scellerate è sempre quello che fa leva sul nazionalismo e sulla minaccia all’integrità della patria, alternativamente in pericolo o bisognosa di espandersi.  Si tratta della principale macchina del consenso nell’età contemporanea nata con la Rivoluzione francese, che riguarda anche le democrazie ma che nei sistemi autoritari è indispensabile per legittimare un regime d’eccezione impegnato a mettere un freno a pressioni provenienti da modelli di partecipazione democratica o a controllare “pezzi di sistema” in procinto di trasformarsi in sfide interne. La politica estera, in particolare la guerra, come ci hanno insegnato i nazionalismi europei di inizio XX secolo, sono gli strumenti migliori per tacitare i malumori interni, azzerare le spinte dal basso, riportare la disciplina nei conflitti sociali e di classe latenti, ma sempre vivi, anche nei sistemi autocratici.

Putin, dunque, non ha alcuna alternativa all’utilizzo della forza, con cui proiettare all’interno e all’esterno un immaginario imperiale, dato che è del tutto sprovvisto di un ideale legittimante e di una, come si sarebbe detto un tempo, visione del mondo.

Non è in atto, tanto per capirci, alcun conflitto di valori, ma uno scontro di posizionamenti statali o imperiali come nel XVIII secolo entro cui, come sempre, si sono inseriti enormi interessi economici. In nome di quale ideale, dunque, Putin rivendica l’appartenenza dell’Ucraina alla Russia? Non si può appellare alla storia, come sanno coloro che conoscono le millenarie vicende di quella regione e neppure alla volontà del popolo, come si è visto dalla tenace resistenza in atto. Neppure la più importante delle armi di legittimazione politica, l’ideologia, è alla sua portata. Non solo, infatti, non può essere riesumato il comunismo sovietico, ma non rappresenta più un collante neppure il, flebilmente agitato, sentimento panslavista la cui originaria ideologia ruralista e isolazionista risulta del tutto inadeguata a rispondere alle sfide del mondo attuale, come si è peraltro capito dall’arcaico messaggio del patriarca di Mosca, Kirill. Mentre Stati Uniti, Cina ed Europa (se riuscisse a darsi una forma unitaria) sono in grado di offrire dei modelli, per quanto discutibili, con ambizioni egemoniche del governo del mondo, la Russia di Putin, della nomenklatura e degli oligarchi, senza valori e senza ideali, anche conquistando l’Ucraina, non ha nulla da proporre al futuro se non la difesa di un immaginario otto-novecentesco tramontato da tempo.

 

 

 

 

* Ordinario di Storia Contemporanea – Università di Bologna