Un gesuita in periferia. Il viaggio di Francesco in Albania
La domenica trascorsa dal papa in Albania molto può raccontare delle radici storiche e delle linee caratteristiche del pontificato in corso. Fin dai momenti successivi alla propria elezione Bergoglio ha auspicato di essere alla guida di una Chiesa povera per i poveri, capace di aprirsi alla periferia. Le sue attenzioni, i suoi gesti e le sue parole si sono rivolti poi con particolare insistenza alla Chiesa del dialogo interreligioso, della pace e del martirio: spesso infatti Francesco ha ricordato come oggi il numero di persone che perdono la vita per la propria fede sia superiore a quello registrato dal cristianesimo delle origini.
Missione e testimonianza
La presenza dei gesuiti in Albania cominciò a consolidarsi a metà del XIX secolo, quando i missionari provarono a rivitalizzare una sparuta minoranza cristiana. Riuscirono a organizzare qualche piccola scuola, ma il loro impegno si concentrava soprattutto nelle missioni volanti destinate ai villaggi più isolati, dove i missionari amministravano i sacramenti per i pochi credenti: matrimoni (a legalizzare la diffusa pratica del concubinato), confessioni e comunioni. Il loro sforzo mirava soprattutto a superare la mentalità della “legge del sangue”, quella che accettava la vendetta privata e la rappresaglia degli offesi contro i parenti di chi si era macchiato di oltraggi o delitti. Nel secondo dopoguerra fu proprio in Albania che la Compagnia di Gesù e la Chiesa cattolica in generale vissero le maggiori difficoltà. Qui alla proclamazione dell’ateismo di stato fece seguito la dispersione, l’incarcerazione e la condanna ai lavori forzati dei pochi religiosi rimasti nel paese. Non furono pochi a perdere la vita, come ricordato dalle foto esposte domenica scorsa sul viale principale di Tirana.
Nuova linfa dalle periferie
L'attenzione alle periferie si concretizza nelle scelte delle mete dei viaggi pontifici. Uno dei maestri spirituali di Bergoglio, il generale dei gesuiti Pedro Arrupe (1907-1991), fece della periferia il suo mondo. Nei ventisette anni passati in Giappone, Arrupe comprese che i gesuiti dovevano lasciarsi evangelizzare dalle periferie, ridimensionare il centralismo romano e andare incontro alle esigenze emergenti nei luoghi più poveri ed emarginati. Appena eletto generale (1965), in pieno Concilio Vaticano II, Arrupe scelse come meta dei primi viaggi pastorali l’India e l’Africa. Da simili realtà sarebbero potuti arrivare gli esempi necessari al rinnovamento della Chiesa. Uno di questi esempi è stato proclamato a gran voce da papa Francesco che del popolo albanese ha elogiato la capacità di vivere non in tolleranza, ma in fratellanza. Un paese nel quale la maggioranza islamica (55-60% della popolazione, a seconda delle stime) e le minoranze ortodossa (15-20%) e cattolica (12-15%) collaborano in spirito di fratellanza merita di essere preso a modello, ha detto il papa. Nel denunciare con forza il sacrilegio delle uccisioni in nome di Dio, ha ricordato come negli anni della dittatura di Hoxha (1944-1985) i martiri per la fede non siano stati solo cattolici, ma anche musulmani e ortodossi: nella condivisione delle memorie sofferte, dunque, le religioni possono trovare linfa per la convivenza fraterna.
Incontro ai poveri
The Guardian, come diverse altre testate giornalistiche, ha messo in evidenza la portata simbolica del viaggio di Francesco, che ha scelto come meta del primo viaggio europeo non “una delle grandi potenze cattoliche del continente”, ma un paese “minuscolo” e fortemente colpito dal problema dell’indigenza. Tale preferenza starebbe a indicare la volontà del papato di “dare priorità ai poveri e agli emarginati”. Nei discorsi tenuti domenica tale priorità non è stata certo dimenticata: Bergoglio ha ricordato l’urgenza di far fronte ai bisogni dei poveri, ha auspicato che alla globalizzazione dei mercati corrisponda una globalizzazione della solidarietà, ha invitato a scegliere il bene, che al contrario di un denaro che delude infinitamente appaga.
Sembra di poter dire che le linee programmatiche di questo pontificato abbiamo incontrato il favore della gente, non solo della maggioranza dei cattolici ma anche di quella degli esponenti di altre religioni (molti sono, per esempio, i musulmani albanesi che hanno pubblicamente dichiarato di pregare per il capo della Chiesa cattolica) o di chi in nessuna fede si riconosce. È molto probabile che tale apprezzamento sia da collegare alla carica umana e carismatica di Francesco, ma sarebbe ingiusto non dare rilevanza anche al suo progetto di Chiesa, un lavoro in corso che trova le sue radici nella storia e si apre a un futuro di rinnovamento per il quale molti si attendono passi nuovi e, perché no, sorprendenti.
di Gianpaolo Rossini
di Claudio Ferlan
di Michele Marchi