Ultimo Aggiornamento:
18 gennaio 2025
Iscriviti al nostro Feed RSS

Romero non è solo. Il Perù, la violenza e la valenza politica delle nuove beatificazioni.

Claudio Ferlan - 07.02.2015
Ángel Simón Piorno

Lo scorso 3 febbraio papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i decreti per la beatificazione di cinque persone. Quattro di loro sono stati dichiarati martiri. Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San Salvador, fu ucciso “in odio alla fede” il 24 marzo 1980 dagli squadroni della morte legati al governo autoritario del Paese. È un riconoscimento invocato da molto tempo. L’attesa ha indotto parte della Chiesa e dell’opinione pubblica a interrogarsi sul perché né Giovanni Paolo II né Benedetto XVI abbiano compiuto il passo fatto invece da Bergoglio. Meno noto è il caso di Michal Tomaszek e Zbingiew Strzałkowski, francescani polacchi, e di Alessandro Dordi, sacerdote bergamasco, assassinati dai guerrieri maoisti di Sendero Luminoso il 9 e il 25 agosto 1991, a Pariacoto, diocesi di Chimbote (Perù costiero settentrionale). Vittime, i martiri, di violenze politiche provenienti da estremismi di desta e di sinistra e oggi uniti nella beatificazione, con una scelta che svela un equilibrismo politico poco casuale.

 

Roma: una Chiesa spaventata


Era allora vescovo di Chimbote Luis Bambarén Gastelumendi, gesuita, il quale iniziò presto il procedimento di beatificazione dei tre missionari, chiedendone il riconoscimento quali martiri uccisi in odio alla fede, proprio come Romero. La decisione per la beatificazione presumibilmente non è estranea alla visita che Bambarén Gastelumendi, oggi vescovo emerito di Chimbote, ha fatto al confratello Jorge Mario Bergoglio il 22 ottobre 2014. La distanza cronologica tra le morti e il riconoscimento canonico è da ricondurre al timore degli ambienti vaticani che esistesse una qualche connivenza tra i sacerdoti assassinati e il movimento guerrigliero, ipotesi non campata in aria, alla luce delle vicende peruviane del tempo. Nelle zone degli omicidi infatti Sendero Luminoso aveva cercato di organizzare un proprio sistema di controllo negoziando la distribuzione degli spazi di potere con le autorità locali, anche quelle ecclesiastiche. Talvolta le trattative andavano bene, ma in caso di fallimento la soluzione era spesso l’omicidio politico. Nel panorama di una Chiesa romana fortemente spaventata per le simpatie marxiste di molti dei propri figli latinoamericani, la realtà peruviana, così come quella salvadoregna, veniva spesso letta attraverso lenti distorte; l’impegno a favore degli oppressi frettolosamente interpretato come deviazione dottrinale di matrice comunista.

 

Chimbote: una Chiesa preoccupata


Sul finire del secolo scorso la guerriglia promossa da Sendero Luminoso si è spenta con la cattura della maggioranza dei leader del movimento, trasformatosi in un’organizzazione criminale dedicata soprattutto al controllo del narcotraffico, ma la zona di Chimbote non può certo oggi dirsi tranquilla.  È notizia recente che nella provincia sono state rivolte minacce di morte alle giudici Susana Quispe e Sara Valdivieso e a tre ufficiali giudiziari del tribunale locale. Il loro impegno in procedimenti che coinvolgono ex autorità politiche e imprenditori di successo è la ragione dell’intimidazione. Insieme con le autorità civili, anche l’attuale vescovo di Chimbote Ángel Simón Piorno ha denunciato l’accaduto, chiedendo protezione per chi è stato minacciato e sollecitando un deciso intervento volto a risolvere il clima di paura diffuso nel territorio della diocesi.

La voce di Piorno si unisce a quella collettiva dei vescovi peruviani, che all’esito dell’Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale nazionale hanno licenziato una preoccupata nota intitolata “Riflessioni pastorali di fronte all’insicurezza e alla costruzione della pace nel nostro paese”. La denuncia ha segnalato il coinvolgimento di molti politici nel traffico di droga, la corruzione diffusa, la violenza in generale e quella su donne e minori in particolare, la mancanza di rispetto per le comunità indigene, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. Forte è il timore che le situazioni di pericolo anziché risolversi possano moltiplicarsi. Si chiedono interventi concreti per la promozione della pace da parte di mass media e autorità civili. I vescovi hanno richiamato le parole di papa Francesco sulla necessità di “riabilitare la politica”, e invitato “i veri cristiani e tutti gli uomini di buona volontà a impegnarsi politicamente per una riforma urgente dello Stato e una partecipazione etica dei cittadini”.

Proprio il continuo appello al magistero di Francesco mette in evidenza la carica di speranza e fiducia che la Chiesa latinoamericana pone sulle spalle del pontefice. Il che comporta anche grandi responsabilità. La sua elezione è stata letta da più parti come una rinnovata attenzione vaticana a un continente spesso maltrattato. Sollecitazioni frequenti e risposte - non solo simboliche - quali le beatificazioni e i futuri viaggi apostolici sembrano fornire elementi utili a convalidare l’interpretazione.