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Il nocciolo della questione politica

Paolo Pombeni - 03.02.2021
Next Generation EU

La pessima abitudine di correre dietro ai lemmi del populismo rende incomprensibile ai più una crisi che invece è piuttosto rivelatrice della situazione in cui si trova la nostra politica. Renzi ha ripetuto l’errore che aveva già fatto ai tempi della campagna per il referendum sulla riforma costituzionale: presentare le sue proposte come una risposta alle pulsioni scatenate dalle demagogie correnti. Allora il tema era il taglio della poltrone e dei costi della politica che si sarebbero avuti con la riforma del Senato. Oggi si torna ad insistere sul disprezzo per le “poltrone” a cui Italia Viva rinuncia mentre gli altri se  le tengono strette. Non portò fortuna a suo tempo, temiamo che più o meno la stessa cosa possa accadere ora.

La questione di chi occupa i ministeri (e ancor più il ruolo di premier) non è affatto roba da poltronisti. Tocca il cuore del fare politica, perché nella storia d’Italia non c’è stato momento in cui riforme significative e portate a termine non abbiano incrociato uomini politici e di governo capaci di assumersene il carico. Avere al ministero della giustizia con lo stato poco brillante del nostro sistema giudiziario un autorevole competente che possa almeno provare a mettere in riga le tribù riottose che lo abitano o vederci un ex grillino tutto ideologia e sudditanze con i manovratori di quelle tribù non è la stessa cosa. Facciamo questo esempio solo perché è il più evidente, ma il discorso vale più in generale.

Tuttavia lo scontro in atto non può essere ridotto ad una questione, pur importante, di occupazione dei gangli in cui si articola il potere da parte dei vari partiti. C’è anche quello e non è un particolare secondario, ma non può essere compreso appieno se non si riflette sul nocciolo della questione in campo: la ridefinizione della nostra geografia politica.

I due terremoti elettorali del 2013 e del 2018 hanno squassato definitivamente il quadro con cui si pensava si sarebbe sistemata la cosiddetta seconda repubblica, cioè quello di un confuso bipolarismo fra berlusconismo e antiberlusconismo. Si è parlato molto dell’avvento di un sistema tripolare, che vedeva l’imprevista affermazione di un partito demagogico e populista, i Cinque Stelle, che scardinava quell’impianto, profittando anche del declino del berlusconismo che privava del suo avversario (storico?) la sinistra. Certo questa avrebbe provato a sostituire il vecchio demonio Berlusconi, con uno nuovo nella persona di Salvini, rivangando un po’ di vecchio antifascismo per contrastare una destra che era di un tipo diverso, ma l’operazione funzionava fino ad un certo punto. C’era in mezzo sempre la presenza dei Cinque Stelle, ideologicamente inconsistenti (ma questo pesa relativamente in un quadro dove non è che gli altri siano i partiti dei filosofi della politica), ma molto forti in parlamento e avidi di occupare il potere con l’incontinenza tipica dei nuovi arrivati.

Questa situazione si è trascinata a lungo, con il tentativo dei due partiti che si ritenevano leader del vecchio bipolarismo di aggregare a sé il nuovo potente barbaro invasore. Come si sa, prima ci ha provato Salvini, poi dopo qualche riluttanza il PD. Nessuno dei due è riuscito a convertire M5S al suo servizio. Nel primo caso Salvini ha provato a sbarazzarsene convinto di poter avere l’opportunità di sfidarlo sul piano elettorale, senza però ottenerla. Nel secondo il PD, guidato da Zingaretti e dai suoi consiglieri, si è convinto che convenisse appiattirsi il più possibile sui Cinque Stelle, perché tanto nel medio periodo li si sarebbe omogeneizzati alle proprie prospettive.

Non si è tenuto conto che gli esclusi da questo tentativo di un nuovo bipolarismo a trazione demagogica prima o poi si sarebbero battuti per non rimanere schiacciati in questa morsa. Successe qualcosa di simile quando Craxi negli anni Ottanta provò a spezzare la morsa della spartizione di potere fra DC e PCI, riuscendo peraltro solo a mandare alla fine tutto a gambe all’aria. Succede ora con Renzi e Berlusconi, che provano, da prospettive diverse, a scardinare quel sistema in via di formazione attaccando, giustamente, il punto più equivoco dell’attuale contesto politico, cioè i Cinque Stelle.

Soprattutto Renzi, ma forse anche Berlusconi, ha capito che della debolezza politico-ideologica di M5S stanno approfittando vari ambienti del sistema semi-feudale che si è stabilito in Italia con la crisi della prima repubblica. Questi hanno trovato in Giuseppe Conte l’uomo che può rappresentarli e tenerli al potere: portato a palazzo Chigi da una “trovata” dei Cinque Stelle, si è passo dopo passo costruito un suo spazio di potere che si fonda sempre sulla impossibilità per una qualunque delle parti in gioco di prendere le redini della partita. La sua definizione come punto di equilibrio non sostituibile, non è sbagliata: è solo la plastica rappresentazione di un sistema senza guida politica.

A far esplodere tutto è arrivata la prospettiva che l’Italia potesse beneficiare di una quota impressionante di risorse da investire politicamente: il sogno proibito di qualsiasi forza politica e dei loro personaggi chiave. E’ questo che spinge tutti alla prova di forza per avviare il ridisegno della nostra geografia politica, cioè di quella che potrà consolidarsi per un lungo periodo se riesce a gestire i fondi del Next Generation EU. Renzi è solo quello che si è assunto il compito di togliere il coperchio alla pentola che bolle prima che scoppi, ma l’ha fatto avendo in mente che era quello che tutti, tranne i Cinque Stelle, il “partito di Conte” e i loro supporter, andavano cercando.

Poi ciascuno gioca con le carte che ha. Il centrodestra di Salvini e Meloni sa che per loro rientrare nel gioco passa necessariamente per una prova elettorale. Un blocco di forze riformiste, lasciamo perdere se più o meno qualificate, tenta la strada di un suo controllo sul sistema che gestirà i fondi europei. Quelli (una quota consistente del PD e associati) più timorosi di finire travolti da uno scontro di potere che non credono di poter dominare tendono a tenere tutto il più fermo possibile. Ed è quanto va benissimo ai Cinque Stelle incapaci di fare un salto di qualità nel loro fare politica e al partito di Conte che è fatto da quelli che nell’immobilismo sostanziale dell’ultimo trentennio ci hanno fatto il nido.