I nodi arrivano al pettine?

Non ci spingiamo a fare l’elogio delle emergenze che ci costringono a fare i conti con le nostre manchevolezze: personalmente saremmo della tesi di Brecht, “beata la patria che non ha bisogno di eroi”. Però è innegabile che con le emergenze alcune problematiche assumono contorni più chiari.
Nel caso dell’epidemia da Covid-19 oltre al tema della frammentazione della catena di comando per la gestione abbastanza disinvolta che è stata fatta della cosiddetta “devolution” dei poteri di governo della sanità emerge ora la questione di quale risposta si può dare alla crisi economica che vediamo avanzare a grandi passi. Non stiamo parlando di qualcosa di semplice che si possa affrontare semplicemente nella logica dei sussidi (temporanei?) da distribuire a settori che vengono e che verranno toccati dagli effetti indotti da questa emergenza sanitaria che sta assumendo dimensioni internazionali. Anzi il problema sarà proprio quello di evitare che tutto si riduca alla logica dei sussidi, che è un antico peccato del nostro modo di affrontare le difficoltà dell’economia nazionale.
Si parla ora con varie trovate verbali di qualcosa di assai impegnativo: cura da cavallo, interventi choc, nuovo piano Marshall. Questo fa pensare alla necessità di avere un governo molto solido, non solo per maggioranze politiche su cui reggersi, ma anche per qualità dei ministri e dei sottosegretari coinvolti. Dunque la prima questione da porsi non è quella di un “governissimo” che vedesse riunite insieme tutte le forze rappresentate in parlamento.
Potrebbe essere una soluzione apparentemente molto solida sul piano del consenso, ma presenterebbe anche il problema di come far convivere interessi molto diversi. Tutti i partiti che partecipano a quell’esecutivo saprebbero benissimo che poi si dovrà andare ad una normale competizione elettorale e quindi ciascuno sarà interessato a promuovere quei provvedimenti che maggiormente possano fargli guadagnare consenso nelle urne. Ci vorrebbe un “timoniere” di eccezionali qualità per tenerlo insieme e per evitare che lo sforzo fatto con gli investimenti venga annientato dalle esigenze di accontentare le numerose clientele che esistono in questo paese.
Ovviamente non si può avere un governo se non si ha una maggioranza, ma è bene che questa si formi su un progetto già chiaro e articolato in modo da risultare vincolante per tutti i sottoscrittori dell’accordo di coalizione. Poi, se dobbiamo dirla tutta, una dialettica parlamentare fra maggioranza e opposizione è sempre utile per evitare che chi controlla il flusso degli interventi economici si senta libero di fare quel che vuole.
Tuttavia è proprio qui che si presenta il primo nodo da sciogliere. La soluzione astrattamente migliore, che sarebbe quella di chiedere il consenso su un programma direttamente all’elettorato è quasi impossibile da realizzare in queste circostanze. Una serie di blocchi, che abbiamo richiamato in precedenti articoli, rendono difficile questa strada, ma ora ad essi si aggiunge l’impossibilità per l’attuale emergenza di stare alcuni mesi senza governo. Questo in realtà non rafforza l’esecutivo Conte, ma lo indebolisce. I partiti che stanno nella attuale coalizione sono sempre più sospettosi gli uni degli altri e nervosi per le prossime scadenze elettorali di maggio-giugno.
Questo impedisce l’elaborazione di quel grande piano di intervento che pure alcuni affermano di essere pronti a varare e che viene invocato dalle forze sociali. Il tema centrale da questo punto di vista è l’impasse in cui sono chiaramente finiti i Cinque Stelle. Da un lato essi continuano ad essere il partito con la più ampia rappresentanza parlamentare, dall’altro sono spariti dalla scena come elementi attivi. Fortissimi nel sostenere le loro bandierine come la prescrizione o la richiesta di denuncia della convenzione con Autostrade, non sanno che dire in materia di politica economica da avviare per rispondere alla crisi che si profila ormai in modo indubitabile.
La gente si sarà accorta che mentre, più o meno con successo, Salvini, Renzi, Meloni, persino Berlusconi trovano spazio per la loro presenza, così come lo trovano Conte, Gualtieri, Speranza, Zingaretti, non c’è un pentastellato che attiri una qualche attenzione del pubblico. Di Maio ha fatto dichiarazioni come ministro degli Esteri, ma non è stato considerato; qualche ministro o sottosegretario (Spadafora, Buffagni) ha cercato di essere presente con scarso successo, di quello che ha detto il reggente Crimi non si è accorto nessuno tanto da richiamare alla mente l’etichetta di “gerarca minore” che gli aveva appioppato Massimo Bordin a Radio Radicale. Quanto al capo delegazione al governo Bonafede si può dire che sia un desaparecido.
Così le parti sociali, cioè industriali e sindacati, vanno a consultarsi prima al Nazareno con Zingaretti e solo dopo andranno da Conte, mettendo in evidenza una gerarchia di interesse che non sfugge all’osservatore attento. Certo al momento l’ipotesi del governassimo con tutti dentro, lanciata da Salvini giusto per fare un po’ di scena, non trova sponde, ma, ripetiamo, la tesi che “un governo efficiente c’è già” è una pia bugia che ci si racconta per farsi coraggio.
Il fatto che non si riesca ad immaginare come uscire dall’impasse attuale non fa che rafforzare la convinzione che ci troviamo in una situazione assai precaria e questo è quasi il peggio che può capitare in un momento di emergenza. Non crediamo possa durare a lungo una situazione del genere, ma il fatto che non ci sia spazio per elaborare una via d’uscita razionale a questo pasticcio getta un’ombra oscura sul nostro futuro.
di Paolo Pombeni
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