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Hollande ovvero il fatalismo della “crisi perpetua”

Michele Marchi - 21.08.2014
François Hollande

Dall’entourage del presidente Hollande emerge una frase, attribuita all’inquilino dell’Eliseo. Pare che egli sia solito ripetere, da almeno due anni, una massima che più o meno suona così: “nulla accade mai come previsto”. Ci sono due possibili letture di questa affermazione. Da un lato i detrattori di Hollande, oramai la stragrande maggioranza, la interpreta come l’ennesima boutade. In realtà egli si sbaglierebbe per l’ennesima volta. Tutto ciò che sta accadendo al Paese, perlomeno sul fronte economico-sociale, era ampiamente preventivabile. Solo la scelta di continuare a negare l’evidenza ha potuto nascondere la pessima situazione economica. Dall’altro lato i pochi commentatori e fedelissimi che credono ancora in lui, considerano le parole di Hollande l’ennesimo tentativo di spingere un’opinione pubblica sfiduciata e arrabbiata fuori dalle secche della stagnazione e del declino.

 

Via il velo economico


Se si osservano le vicende d’Oltralpe con un minimo di distacco si può notare che la pausa agostana sta avendo come effetto principale quello di rivelare al mondo una serie di “segreti di Pulcinella”.

Prima di tutto i dati relativi alla crescita. Dopo un primo trimestre anemico, il secondo lo ha eguagliato: sei mesi di crescita “zero” sono alle spalle e se ne attendono altri due di livello simile, tanto che la previsione di  per il 2014 è stata abbassata dal misero 1%, al ridicolo 0,5%. Non è recessione, ma si tratta di qualcosa di molto simile. Tutto ciò significa anche archiviare il rientro, entro il 2015, al 3% nel rapporto tra deficit e Pil e di conseguenza una quasi certa nuova procedura di infrazione in arrivo da Bruxelles.

 

Via il velo politico


Da un punto di vista politico i dati di agosto 2014 costituiscono forse l’ultimo gradino nella parabola discendente dell’inquilino dell’Eliseo. L’estate 2014 si porta via anche gli ultimi miraggi gelosamente custoditi da Hollande. Dopo la promessa non mantenuta di “invertire la curva della disoccupazione” nel 2014 e quella del 14 luglio 2013 (“la ripresa è dietro l’angolo”), ora Hollande deve ammettere a denti stretti che, di fronte ad una crescita anemica, Parigi non solo non riuscirà a rientrare sotto il 3% entro il 2015, ma rischia seriamente di perdere la quinta posizione mondiale in termini di ricchezza economica a favore della “perfida Albione”.

Il 15 agosto dal forte di Brégançon, dove ha trascorso alcuni giorni di riposo, Hollande ha cercato, dopo un incontro con il Primo ministro Valls, di rassicurare i francesi. La coppia si è definita “lucida e sincera” e soprattutto pronta a dire al Paese “tutta la verità”. In un’intervista a Le Monde di oggi si è poi detto determinato nel voler procedere sulla linea del “patto di responsabilità” (in parte in realtà bocciato dal Conseil constitutionnel) e sulla strada delle riforme.

Già si potrebbe discutere se la sincerità “assoluta” debba essere considerata una dote per un vero leader politico. Nello specifico Hollande non può poi permettersi di ricordare al Paese in maniera esplicita quali sono i mali della sua economia. E questo perché dovrebbe evidenziare le tre nefaste caratteristiche del sistema economico transalpino, che egli, ad oggi, ha solo superficialmente intaccato. I francesi lavorano troppo poco, non investono (e oramai non consumano più) e sono scarsamente competitivi. Ne deriva una bilancia commerciale costantemente in deficit e un calo progressivo nella capacità di produzione industriale.

 

Europeizzare l’anemia?


Di fronte ad un quadro così sconfortante, il ministro della Finanze Sapin cerca di attaccarsi all’ancora europea. Egli legge i pessimi dati francesi del secondo semestre 2014 accostandoli a quelli, anche peggiori, di Berlino (-0,2% nel secondo trimestre 2014). La conclusione di Sapin è semplice quanto azzardata: il rischio stagnazione non è solo francese, ma è una patologia europea. E di conseguenza occorre porre la questione al prossimo Consiglio europeo di fine agosto. La proposta di Sapin è stata più o meno direttamente bocciata dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann. La sua recente intervista a “Le Monde” è inequivocabile e dovrebbe essere letta con attenzione anche dalla coppia Renzi-Padoan. Inutile che Parigi chieda a Berlino meno austerità e più crescita, se non mette mano alle necessarie riforme strutturali che la Germania ha completato ad inizio XXI secolo. Weidmann conclude, ancora più sferzante: è una mera illusione quella che vorrebbe una spinta determinante alla crescita proveniente dall’esterno. Ciascuna realtà economica nazionale deve crearsi prima di tutto al suo interno l’ambiente favorevole alla crescita, in termini di innovazione tecnologica e flessibilità, del mondo del lavoro.

 

I timori della rentrée


Cosa può temere un presidente il cui livello di gradimento raggiunge a stento il 20%? In fondo la sconfitta di Hollande è già totale. Sul fronte economico i dati di metà agosto sono la conferma della sua fallimentare politica economica. Sul fronte politico la fine dei “miraggi” significa anche il capolinea per la sua retorica: non ha più alcun senso fare sfoggio di ottimismo. Se possibile però la rentrée 2014 potrebbe essere un incubo anche peggiore di quella 2013. L’anno passato Hollande presentò il conto dell’aumento delle tasse e puntuale poi giunse la sanzione elettorale alle amministrative di primavera. Questa volta a saltare in aria potrebbe essere la sua stessa maggioranza. È vero che Hollande ha poco da temere da un’opposizione caricaturale, ancora appesa al filo dell’annuncio del probabile ritorno sulla scena politica da parte di Nicolas Sarkozy. Dopo aver perso i verdi, sta però per smarrire anche l’appoggio dei radicali di sinistra. Ancora più pericolosa è infine la fronda della sinistra PS, perlomeno se lo sparuto drappello di deputati a lui apertamente contrari dovesse raccogliersi attorno ad una leadership autorevole. I nomi che circolano sono quelli dell’attuale ministro dell’economia Arnaud Montebourg, sempre più critico rispetto alla coppia Hollande-Valls, e della sfidante di Hollande alle primarie e attuale sindaco di Lille, Martine Aubry.

Ci sono grosse possibilità che quello a venire sia un nuovo autunno caldo per Hollande, almeno quanto per il “nostro Renzi”. Con il solito piccolo, ma significativo vantaggio, per l’inquilino dell’Eliseo. La carta dello scioglimento dell’Assemblea nazionale. La chiusura anticipata della legislatura significherebbe, quasi certamente, la quarta coabitazione della storia della V Repubblica. Ma garantirebbe due chances insperate al presidente socialista. La destra divisa e minacciata dal FN dovrebbe farsi carico della gestione dell’attuale lunga congiuntura di crisi. Il presidente stesso potrebbe ritagliarsi un ruolo autonomo in vista di una ricandidatura per il 2017 che, allo stato attuale, risulta altrimenti piuttosto improbabile.