Se la storia potesse avere un peso …

Tra le varie effervescenze agostane c’è adesso il dibattito attorno alla proposta dell’on. Fioroni di intitolare l’edizione di quest’anno della Festa dell’Unità ad Alcide De Gasperi. Un po’ perché la proposta è bizzarra, un po’ perché bisogna pur scrivere di qualcosa, i giornali hanno dato spazio alla faccenda. Ne è uscita l’immagine di un ceto politico ed intellettuale, almeno per quel che riguarda gli interpellati dai giornali, diciamo non proprio all’altezza dei tempi.
Ci si consenta di aprire con una notazione curiosa. Tutti hanno discusso della proposta Fioroni, che alla fine è pur sempre la trovata di un singolo, ma, se non ci siamo distratti, non è stato messo in rilievo un fatto ben più singolare: in alcuni giornali nazionali è apparsa una inserzione pubblicitaria piuttosto corposa in memoria di De Gasperi firmata e pagata dal gruppo parlamentare PD. A noi è sembrato qualcosa di ben più significativo.
Ciò su cui vale la pena di discutere non è la bizzarria di dedicare una kermesse che mischia l’intrattenimento gastronomico-musicale con un po’ di talk show della politica-spettacolo alla memoria di qualche illustre personaggio del passato, quanto la reazione che ciò ha suscitato. Perché in realtà i temi forti del contendere (si fa per dire) sono stati due: il primo se fosse più o meno ragionevole dedicare una festa “comunista” alla memoria di un avversario storico del comunismo; il secondo se la proposta non testimoniasse il fatto che il PD di oggi è una specie di riedizione della vecchia DC per di più in mano ad ex democristiani.
La banale osservazione che sorge spontanea di fronte ad entrambi i punti è che si tratta di approcci sopravvissuti a loro stessi, mentre sarebbe bene, come dice la Scrittura, lasciare che i morti seppelliscano i loro morti. Infatti le attuali feste dell’Unità non hanno con la vera tradizione del popolo comunista maggior rapporto di quanto l’attuale partitello socialista ce l’abbia col PSI di Prampolini. Certo fra i volontari, agée bisogna dirlo, le vecchie mitologie del “noi”, puri e dalla parte della storia, contro gli “altri”, che erano dalla parte sbagliata (e anche corrotta), sopravvivono, ma sono folklore, non cultura. D’altra parte considerare Renzi, Delrio, Guerini e via elencando come ex democristiani che si sono impadroniti del vertice del PD, assomiglia alle polemiche ottocentesche che consideravano Turati e altri vertici socialisti “borghesi” e dunque non veramente titolati alla funzione dirigente di un partito “proletario”.
Il problema più serio da affrontare, se davvero si vuole dare un peso ed un significato all’esperienza storica, se la si vuole considerare uno strumento di educazione per il presente, è cosa ci sia da leggere nella esperienza politica di De Gasperi, così come in quella di Togliatti o di tanti altri. Ad oltre mezzo secolo di distanza dai grandi eventi di cui furono protagonisti, star lì a speculare sulle etichette sotto cui condussero le rispettive battaglie è un evento poco sensato, come sarebbe chiedersi se Dante Alighieri sia stato un grande poeta perché era ghibellino.
Ciò che è molto interessante oggi, per restare alla considerazione della strana coppia De Gasperi-Togliatti, riuniti da anniversari simbolici (il 19 agosto sessant’anni dalla morte del primo, il 21agosto cinquant’anni dalla morte del secondo), è riflettere sullo spessore politico che rivestirono le loro azioni, dove si unirono realismo, capacità di analisi dei contesti storici, e anche progettazioni politiche che li misero anche in contrapposizione con i loro mondi di riferimento (De Gasperi con le gerarchie e l’integralismo di Gedda; Togliatti con i conati rivoluzionari di settori del PCI e anche, pur in maniera più coperta, con la dirigenza staliniana dell’URSS).
Il capolavoro politico dello statista trentino fu, a giudizio di chi scrive, la gestione della transizione del sistema politico italiano ad una liberaldemocrazia compiuta. Egli, che aveva osservato da vicino il crollo di sistemi storicamente consolidati come l’impero asburgico e la debolezza della repubblica di Weimar che non era riuscita a legittimarsi superando il trauma del dissolvimento del sistema monarchico, lavorò con una cautela ed una abilità notevoli per portare il proprio paese ad uscire da una impostazione sociale e di classi dirigenti che non aveva retto la prova della storia senza che ciò comportasse le tensioni di un passaggio giacobino.
A merito di Togliatti rimarrà il fatto di avere trasformato il partito comunista italiano da una ipotetica avanguardia rivoluzionaria, in un partito non solo di massa, radicato nella specificità del tessuto sociale italiano, ma profondamente parlamentare e di conseguenza inevitabilmente avviato, al di là delle retoriche identitarie di facciata che durarono a lungo, all’integrazione nella liberaldemocrazia.
Poiché oggi siamo di nuovo di fronte ad un passaggio storico altrettanto complicato, per quanto assai diverso da molti punti di vista, una riscoperta delle virtù del realismo politico, della strategia dei passi consecutivi, della costruzione paziente della legittimazione del sistema pur nella dialettica delle diverse posizioni, sarebbe un bel risultato.
Che la sede migliore per farlo sia una kermesse tipo la Festa dell’Unità può essere discutibile. Ma se si inizia a percorrere questa strada sarà comunque positivo, dovunque lo si faccia.
di Michele Marchi
di Giovanni Bernardini
di Paolo Pombeni