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29 novembre 2023
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Grandi manovre nel vuoto

Paolo Pombeni - 22.01.2015
Miguel Gotor

La politica sta diventando sempre più una versione del gioco del “Risiko”, ma non è una bella notizia. In un momento in cui alcuni sanno e altri almeno intuiscono che si va definitivamente disfacendo quel vecchio universo politico che si era riciclato, con opportuni restauri, nella cosiddetta seconda repubblica è purtroppo inevitabile che scoppi una specie di scontro generalizzato per decidere chi si collocherà nei ranghi della nuova classe dirigente. E’ per questo che riforme costituzionali ed elezione del nuovo presidente della repubblica sono strettamente collegate e non solo perché sono entrambe occasioni per mettere alla prova la tenuta dell’attuale leadership di Renzi.

La riforma elettorale così come si viene configurando non è solo un modo per inserire nel sistema un meccanismo maggioritario. Quello si sarebbe potuto avere anche attribuendo il premio alla coalizione vincente, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Coalizione significa infatti non solo aggregare partiti che puntano insieme ad uno stesso obiettivo di governo, ma anche negoziare un accordo fra vari partiti (grandi e piccoli) con reciproci poteri di condizionamento per non dire di veto.  Con un sistema frammentato come quello attuale e con la difficoltà dei partiti, specie di quelli piccoli, di rinunciare alle proprie impuntature identitarie ogni coalizione, specie se obbligata da ragioni elettoralistiche, rischia di trasformarsi nel classico nido di vipere. Del resto basterebbe ricordare come sono finiti i due governi Prodi, per capire verso quale orizzonte finiremmo per marciare.

Se si ragiona in quest’ottica è facile capire perché Berlusconi ha accettato di sostenere il premio alla lista. Infatti in una competizione elettorale oggi Berlusconi per fare una coalizione con qualche speranza di successo non potrebbe fare a meno della Lega, che però è ormai sostanzialmente forte come FI e certo non è un partito “ragionevole”. Una coalizione con Salvini, in cui poi dovrebbe imbarcare anche NCD e Fratelli d’Italia, non è uno strumento di successo, ma un incubo terribile. Meglio ritagliarsi il ruolo di “opposizione di Sua Maestà” nella speranza che questo mantenga ad FI il consenso di quote significative delle classi dirigenti del paese, che certo non possono imbarcarsi tutte armi e bagagli sulla nave di Renzi.

Sempre guardando le cose in quest’ottica si capisce perché la minoranza PD, specie quella della nuova generazione raccolta da Bersani nell’ultima fase della sua leadership, si senta perduta. Un PD maggioritario col premio sarebbe nelle mani del leader, che potrebbe sempre ricordare che se si butta giù lui crolla il palco, perché il consenso elettorale poi lo si manterrebbe solo se si avesse a disposizione un nuovo leader con altrettanto “appeal”: esattamente quello che manca alla minoranza. Solo in un contesto di coalizione la minoranza PD potrebbe contare sull’appoggio degli alleati minori a sinistra ed avere lei l’arma del ricatto sulla possibilità di far cadere il governo.

Il disegno in extremis del sen. Gotor di resuscitare questa logica da vecchia DC (dove infatti le correnti si combattevano grazie alle alleanze che ciascuna stabiliva con  partiti delle coalizioni di governo) permettendo che in sede di eventuale ballottaggio (oggi giudicato probabile per la flessione del PD nei sondaggi) ci potessero essere “apparentamenti” è stato, per fortuna, battuto. Chi ha una idea di cosa succederebbe in questi casi non può che stupirsi di quanto quelli che sono ossessionati dalle possibilità di corruzione della politica non capiscano meccanismi elementari che incentivano voti di scambio, perché davvero nessuno è così ingenuo da immaginare che i partiti esclusi dal ballottaggio si apparenterebbero con senza chiedere nulla in cambio i due che competono.

Sconfitte nel tentativo estremo di boicottare la riforma elettorale, tutte le forze contrarie all’attuale ascesa dell’alternativa renziana riverseranno le loro capacità di azione nell’impedire un esito del voto per l’inquilino del Colle che rafforzi una gestione oculata della transizione che abbiamo davanti. Ciò è naturalmente miope e anche abbastanza gretto, ma non è questo il punto. Infatti quel che dobbiamo chiederci è perché Renzi abbia meno potere di contrastare questo giochetto di quanto ha mostrato di avere nel gestire la battaglia per l’approvazione della riforma elettorale.

Anche qui il discorso è banale: perché adesso Berlusconi gioca in una diversa posizione. A cosa punta infatti l’ex Cavaliere? A nostro giudizio ad intestarsi la candidatura vincente (si veda il suo sostegno all’ipotesi di Giuliano Amato). Se ce la facesse non avrebbe tanto una speranza di ottenere la famosa “agibilità politica” (nessun inquilino del Quirinale con la testa sulle spalle rischierebbe la sua credibilità su un terreno minato e franoso come quello), quanto potrebbe condizionare elettoralmente Renzi, che apparendo succube di Berlusconi, potrebbe perdere quella quota di elettorato “radical-populista” senza cui la sua distanza dai M5S e da altri competitori potrebbe assottigliarsi e dunque al ballottaggio sarebbe costretto a promuovere una coalizione sottobanco.

Il gioco può apparire astuto, ma in realtà è semplicemente bizantino. Tutti infatti sembrano ignorare che non si sta giocando una partita di Risiko fra i partiti e le correnti della attuale politica, ma si dovrebbe stare cercando di costruire una strada grazie alla quale l’Italia possa inserirsi nella sperabile rinascita degli equilibri economico-politici internazionali (e di conseguenza interni) a cui senza troppo clamore si sta già lavorando in molte sedi.