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Dal passato una lezione per il presente

Luca Tentoni - 16.05.2020
Ugo La Malfa

La pausa forzata legata all'epidemia di Covid-19 ci ha "costretti" a ripensare non solo al nostro modello di società, ma alla comunicazione, al rapporto fra Stato e regioni e fra Stato ed economia, oltre al ruolo del sapere e degli esperti, dei corpi intermedi, dei partiti e dal dovere della classe politica di non ridursi a passiva "follower" degli umori espressi dai sondaggi ma di riprendere l'iniziativa. Tutto questo sarà ancora più importante nei prossimi mesi, quando la crisi economica scaricherà sulla società italiana un misto di miseria, di disoccupazione e di tensioni. Del resto, già oggi "la nostra società si divide in due vaste zone. Nell'una, ci sono coloro che hanno un patrimonio, un reddito, un lavoro, e che sembrano voler difendere con ogni mezzo e con energico spirito corporativo quello che hanno. Alla porta di tale zona si affolla l'altra, costituita da disoccupati, giovani e adulti, da categorie debolissime, da abitanti di zone depresse. Se le forze politiche e sociali continuano ad occuparsi soltanto della prima zona, secondo i propri interessi politici, di classe o di ceto, trascurando la seconda, non usciremo dal problema. anzi lo vivremo in senso sempre più drammatico". Queste parole sono state pronunciate da Ugo La Malfa nel 1977 ("Intervista sul non governo", a cura di Alberto Ronchey, Laterza, pagina 126). Da allora, i partiti sono molto cambiati, perdendo per certi versi la presa sulla società, ma per altro verso rivolgendosi - parzialmente e spesso in modo del tutto strumentale - alla seconda parte della società, quella negletta e sconfitta. Il sovranismo e il populismo non sono state altro se non ricette pronte che la parte meno protetta e più debole ha accettato - talvolta con entusiasmo, nelle urne - sia a causa dei soggetti politici che avevano guardato altrove, sia perché c'erano e ci sono "imprenditori di consenso" che hanno avuto e hanno la capacità di raccogliere la protesta e farne uno strumento per arrivare al "potere" (non al governo: quest'ultimo è cosa più complessa, perché governare è mediare e rispondere con realismo, impegno civile e competenza alle istanze, facendo sintesi, mentre andare al potere è solo guidare un gregge, ancor meglio se lo guida dove questo vuole più o meno confusamente essere condotto). L'Italia della Seconda Repubblica - nella quale, come si comprende, c'erano sintomi prodromici negli anni Settanta della Prima - non è più, certo, quel regime "ortopedico e didattico" (com'è stato autorevolmente definito, forse anche per spiegare - se non giustificare - la politica "prêt-à-porter" nata col berlusconismo nel '93-'94 e diffusa rapidamente in altri soggetti politici, fino a rovesciare il rapporto e a fare dei corpi intermedi delle spugne capaci di assorbire tutto dalla società senza filtrare, senza mediare, senza fare sintesi, portando formalmente la voce del popolo al potere, realizzando in realtà in pochi leader la maggior concentrazione di potere mai vista) nel quale i partiti indicavano una via a masse fidelizzate e fideistiche. È mancato, in Italia, un tempo come oggi, un linguaggio schietto e crudo della realtà, un approccio realistico che mettesse gli elettori davanti ad uno specchio, mostrando loro le contraddizioni e i problemi che non volevano vedere o non volevano affrontare se non con soluzioni tanto facili quanto dannose e "di pronta beva". Nell'"Intervista sul non governo", ben quarantatré anni fa, Ugo La Malfa proseguiva: "la differenza tra i partiti di massa (Dc, Pci, Psi) e noi (il Pri) sta nel fatto che abbiamo impiegato dieci o quindici anni a educare i nostri iscritti e i nostri elettori a un pensiero rigoroso, in base ad un'analisi seria dei problemi della società. I partiti di massa hanno fatto molta ideologia [oggi sarebbe meglio dire demagogia, n.d.r.], hanno sparso nelle masse convinzioni non rispondenti alla realtà dei problemi che pone la nostra società. Da qui la crisi e da qui la difficoltà dei partiti di massa, quando si accingono a cambiare strada, di far comprendere il loro pensiero alle masse". Non è, questo, un monito attuale? Quanti continuerebbero a votare per il M5s se accettasse il Mes, se rinunciasse al reddito di cittadinanza? Quanti voterebbero Lega se dicesse che l'Europa è la sola che ci può far uscire da questa situazione e che non è il caso di minacciare l'uscita da Ue ed euro ad ogni momento (senza contare l'atteggiamento verso gli immigrati, che vanno bene se sono forza lavoro sottopagata e poco tutelata, ma poi debbono essere invisibili, perché nei quartieri poveri dove vivono non sempre sono accettati dai poveri nostrani e perché elettoralmente paga chiedere di rimandarli tutti "a casa loro", salvo perdere badanti, colf e braccianti che fanno il "lavoro sporco" a pochi euro)? In sintesi, se un tempo i partiti che aspiravano a grandi consensi erano prigionieri dell'ideologia, oggi sono prigionieri delle "bolle" che hanno creato ma che hanno anche adottato, pur di crescere elettoralmente. Gli imprenditori dello scontento sanno di vendere spam, ma sanno anche che la richiesta è enorme, perché molti - disperati - pensano che lo spam sia come la Theriaca veneziana, che secoli fa era considerata l’antidoto per eccellenza per combattere i veleni e in generale alcune malattie. Quando torneremo ad avere una classe politica che (non episodicamente e non con pochi esponenti di buona volontà) tornerà a rifiutare la demagogia (che è l'ideologia del nostro tempo), ricominciando - come diceva La Malfa - a sforzarsi a educare (non è una parola tabù, è un concetto che va sviluppato bene, non in modo paternalistico o dittatoriale ma con la generosità che la politica deve esprimere e possedere) gli "elettori a un pensiero rigoroso, in base ad un'analisi seria dei problemi della società"? Ci saranno una fase tre o una fase quattro nella quale questo problema sarà finalmente posto oppure la storia non ci insegna nulla? Se il Paese deve fallire, è meglio che lo faccia con consapevolezza e dignità (e magari avendo esperito ogni via per evitare il peggio) anziché ballare sul Titanic della fascinazione dei social e della demagogia per poi meravigliarsi dello scontro, del naufragio e della fine.