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Che strana scienza

Stefano Zan * - 16.05.2020
Covid

Proviamo a mettere insieme le cose che sappiamo e quelle che non sappiamo del Covid 19, così come ci sono state raccontate in questi ultimi mesi dai diversi organi di informazione, nonché dalle comunicazioni ufficiali della Protezione Civile.

Non abbiamo ancora alcuna certezza su dove, come e quando sia iniziata la diffusione del virus (probabilmente) in Cina.

Non abbiamo alcuna certezza su dove, come e quando sia iniziata la diffusione del virus in Italia. Sono sempre più numerose le ipotesi che dicono che il mitico paziente 1 di Codogno non fosse affatto il primo contagiato in Italia.

Anche sui tempi e le modalità di contagio, su quando e per quanto tempo una persona che ha contratto il virus, magari in modalità asintomatica, sia contagiosa, ci sono diverse opinioni.

Sull’efficacia dell’uso delle mascherine, e di quali mascherine, si è discusso per settimane con pareri molto difformi fino a giungere alla conclusione, più da parte dei politici che degli specialisti, che era opportuno utilizzarle, tanto che qualche governatore le ha rese obbligatorie anche per strada.

I dati sull’andamento dell’epidemia forniti quotidianamente dalla protezione civile sono palesemente scarsamente attendibili. Non sappiamo quanti sono davvero i contagiati, che spesso sono asintomatici e comunque variano al variare del numero dei tamponi effettuati. Di conseguenza non possiamo nemmeno sapere quanti sono i guariti reali. Abbiamo notizie più precise sul numero dei ricoverati, soprattutto quelli in terapia intensiva, però sappiamo molto meno su quelli che si trovano nelle case di riposo. Il numero dei decessi, come dimostrano le rilevazioni Istat, non è preciso perché spesso non distingue tra le vere cause del decesso e talvolta non contabilizza coloro che muoiono al di fuori dell’ospedale. In più ci sono modalità e tempi diversi di registrazione dei dati da regione a regione che spiegano picchi inusuali tanto di deceduti che di guariti a seconda di quando vengono aggiornati i singoli dati. La cosa su cui possiamo probabilmente contare è che trattandosi di errori di rilevazione sistematici almeno i trend, se non i dati assoluti, siano attendibili.

Ci avevano garantito che dopo alcune settimane di sostanziale segregazione di massa avremmo assistito a un deciso picco della curva di diffusione del virus. Così non è stato e ad alcuni mesi di distanza non parliamo più di picco ma di plateau o di pianoro.

Nei virus tradizionale vale l’idea che chi è stato contagiato poi resta immune a lungo. In questo caso esistono diverse ipotesi ma nessuna certezza anche perché non sono pochissimi i casi di recidiva o di lunga positività al tampone.

Alcuni, anche basandosi sui dati epidemiologici, ritengono che i bambini siano naturalmente immuni dal virus. Altri però sostengono che comunque i bambini possano trasmettere il virus indipendentemente dal fatto di manifestare sintomi evidenti. Nel dubbio, per ben due mesi sono stati i più segregati.

Sui farmaci già esistenti e sulla loro efficacia a contrastare il virus si apre un mondo in cui un numero veramente elevato di farmaci viene utilizzato in via assolutamente sperimentale e casuale. Per alcuni partono delle ricerche sistematiche con la supervisione delle Agenzie Nazionali per il Farmaco, per altri si procede per prove ed errori nella speranza di avere un qualche risultato, anche micro, soddisfacente. Sugli effetti collaterali di molti di questi farmaci non c’è, almeno al momento, una grandissima attenzione. L’utilizzo del plasma incontra gli stessi problemi creando veri e propri schieramenti tra gli entusiasti e gli scettici

I test sierologici dovrebbero permettere di verificare se uno è stato contagiato dal virus e se ha sviluppato i relativi anticorpi. Anche in questo caso però ci sono opinioni diverse sul loro utilizzo e sulla loro utilità per costruire una sorta di patentino immunitario che piacerebbe molto alle regioni che dovranno ospitare numerosi turisti, possibilmente senza farsi contagiare. In più pare che la più parte di questi test non sia affidabile in quanto si registrano numerosi casi di falsi (positivi o negativi).

Qualcuno ipotizza che nelle ultime settimane il virus sia diventato meno aggressivo come confermerebbe l’andamento delle curve epidemiologiche che altri invece fanno risalire alle politiche di lockdown. E qualcuno ha anche avanzato l’ipotesi che con la bella stagione e il caldo il virus potrebbe regredire per poi ripresentarsi in autunno ai primi freddi, come fanno le influenze normali. Ovviamente non tutti sono d’accordo.

Per supportare il governo nelle scelte relative alla fase due il Comitato Tecnico Scientifico ha elaborato una serie di scenari possibili, fino a prevederne 92. Ora la metodologia degli scenari è una vecchia metodologia applicata da tempo ad una pluralità di campi che vale a due condizioni: a) che il numero degli scenari sia limitato (poche unità); b) che ciascuno scenario sia accompagnato da una stima probabilistica del suo verificarsi. Un elenco sterminato di possibilità in astratto possibili non ha niente a che fare con la logica degli scenari e non è di alcun aiuto per la elaborazione delle politiche pubbliche.

Da ultimo non va dimenticato quello strano ectoplasma che è l’Organizzazione Mondiale della Sanità che nel corso degli ultimi tre mesi ha detto tutto e il contrario di tutto. Con l’etichetta che si ritrova molti sono indotti a pensare che sia l’organizzazione che raggruppa i migliori medici e le migliori competenze di tutti i paesi del mondo. Così non è. E’ una delle tante agenzie della Nazioni Unite in cui operano non i migliori specialisti bensì i medici-diplomatici che su ogni tema devono garantirsi il consenso dei paesi finanziatori e soprattutto di quelli che hanno eletto gli attuali vertici.

 

  1. La prima cosa che emerge da questo semplice elenco è lo straordinario livello di ignoranza (nel senso proprio dal verbo ignorare) che connota tutta la comunità scientifica sulle caratteristiche salienti del virus e della sua diffusione. La cosa è per certi versi sorprendente perché se è vero che si tratta di un virus nuovo è pur vero che si tratta pur sempre di un corona virus che non appare sulla scena mondiale per la prima volta, anche se è la prima volta che si diffonde in maniera così significativa nel mondo occidentale. Dire che anche i cosiddetti esperti ne sanno davvero poco mi pare una constatazione di fatto più che un giudizio sulla professionalità degli specialisti del settore, per altro in molti casi formatisi più sui libri che sul campo.

  2. Se è vero, come ricordava di recente Panebianco sul Corriere della Sera, che la scienza è il regno del confronto, del dubbio, delle ipotesi, delle verifiche empiriche per arrivare a posizioni più o meno condivise e consolidate (almeno temporaneamente come ci spiega Khun) è altrettanto vero che la varianza delle posizioni espresse in questi mesi dagli addetti ai lavori sembra in molti casi un pò eccessiva rispetto a un patrimonio base di conoscenze comuni e consolidate sul quale innestare posizioni e opinioni in parte differenti partendo però da una matrice comune.

  3. L’altra impressione è che, sul fronte sanitario, ci sia una notevole distanza e quindi una scarsa comunicazione tra front line e back office. Da un lato ci sono gli operatori in prima linea: medici ospedalieri e medici di medicina generale sul territorio che sono costantemente in contatto anche fisico con i malati; dall’altro ci sono i medici da ufficio che valutano dati, numeri, prove di laboratorio, statistiche ecc. e che non entrano in contatto diretto con i pazienti: virologi, epidemiologi, infettivologi, ecc. Da quanto abbiamo visto sembra che non ci sia stata e non ci sia nemmeno oggi quella interazione costante tra gli uni e gli altri che forse consentirebbe di governare meglio il problema in tutte le sue sfaccettature.

  4. L’ultimo aspetto rilevante è quello della comunicazione. Da un giorno all’altro un numero rilevante (se rapportato all’universo di riferimento) di specialisti, o considerati tali, si è trovato alla ribalta della cronaca: o perché faceva parte di uno degli innumerevoli comitati tecnico scientifici ai vari livelli (nazionale o regionale) o perché, a prescindere dal tipo di specializzazione, comunque veniva sistematicamente intervistato dai giornali e dalle televisioni. Il risultato è che nel momento in cui, nella prima fase dell’emergenza, la politica si è affidata mani e piedi alla scienza, la scienza, almeno sul piano della comunicazione, si è presentata con una tale pluralità di voci ed opinioni differenti da rappresentare una vera e propria Babele che ha disorientato e disorienta il cittadino comune che non sa più a chi credere. Normalmente, in tutte le discipline, il confronto tra opinioni e tesi diverse avviene tra gli addetti ai lavori utilizzando sempre gli stessi canali: le riviste scientifiche, i congressi, i convegni, ecc. In questo caso il confronto è stato pubblico nel senso che ciascun presunto specialista si è sentito in diritto/dovere di offrire la sua opinione e le sue convinzioni a tutti i cittadini, senza un previo confronto approfondito con la comunità scientifica di appartenenza.

 

Da un punto di vista più strettamente tecnico ci sono alcuni aspetti che lasciano perplessi sul rigore scientifico delle molte cose che si sono dette e fatte in questi mesi. La prima è un’impostazione meccanicistica invece che probabilistica delle analisi e delle previsioni. Tutti, nessuno escluso, ci hanno detto che dopo alcune settimane di lockdown avremmo assistito al picco dei contagi e a una rapida discesa della diffusione del virus. Così non è stato ma gli specialisti anziché riconoscere il loro errore di previsione si sono inventati il plateau, il pianoro, per spiegare ex post cosa succedeva. Una visione probabilistica avrebbe consentito di fare più di una ipotesi, condizionata ovviamente dall’andamento di più variabili. Ma anche la prospettazione di 92 scenari possibili in astratto, senza alcuna stima delle probabilità del loro verificarsi, indica un atteggiamento meccanicistico di stretta correlazione causa-effetto che difficilmente è in grado di cogliere la complessità di molti fenomeni.

Infine, la cosa più sorprendente è la disinvoltura con la quale a partire da dati certamente non affidabili, completi, esaustivi, si è continuato a costruire indici, indicatori, rapporti, tassi, coefficienti, ecc. dimenticandosi che i dati di base, i famosi numeratori e denominatori, non erano appunto certi e affidabili. Prendiamo il tasso di letalità della pandemia assumendo che il numero dei decessi, ancorché non preciso in assoluto, indichi comunque un ordine di grandezza sostanzialmente attendibile. Ma se rapportiamo questo dato (circa 30.000 persone) ai contagiati ufficiali della Protezione Civile (circa 230.000 persone) la letalità e altissima (13%). Se lo rapportiamo all’ipotesi dell’Imperial College (sei milioni di contagiati) la letalità è infinitamente più bassa. Dal momento in cui nessuno dei due dati è probabilmente attendibile sarebbe opportuno astenersi dal creare indici e indicatori che non hanno alcun valore scientifico ma che comunque disorientano il lettore sprovveduto. Ragionare come se i dati di base fossero buoni, quando si sa che non lo sono, non solo è poco scientifico ma è anche pericoloso se su questi indicatori si costruiscono le politiche pubbliche di contrasto alla diffusione del virus.

 

 

 

 

* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni. Il suo blog è ww.stefanozan.it