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Confusione a sinistra: come nei grandi scismi religiosi?

Paolo Pombeni - 11.10.2017
Renzi e Pisapia

La sinistra è tradizionalmente un campo sconvolto dalle lotte per l’ortodossia. Una volta c’era lo scontro fra socialisti e comunisti, poi c’è stato quello fra Pci e cosiddetti extraparlamentari (che peraltro, tutte le volte che ci sono riusciti, in parlamento non hanno mancato di andarci), poi la polverizzazione delle sigle nella confusione che seguì il crollo del comunismo reale, e adesso la querelle fra PD e scissionisti che, in buona compagnia, perdono tempo a discutere se Renzi sia davvero di sinistra.

Per capire quel che sta succedendo si deve appunto tenere conto che di lotte para-religiose per la difesa dell’ortodossia si tratta, oggi come ieri. La regola fondamentale in questi casi è che chi lascia la chiesa madre perché a suo giudizio è finita preda del demonio non può tornare indietro e fare la pace. Leggersi la storia della grande divisione protestante nel XVI secolo per capire: i concili, tardivi, servivano per rimettere ordine nella chiesa madre, non per far tornare all’ovile gli scissionisti.

D’Alema e compagni, che sanno il fatto loro, l’hanno capito benissimo e infatti sono schierati tetragoni contro la vecchia chiesa madre che ha eletto papa Renzi e sanno che se accettassero di tornare indietro accettando una alleanza col “demonio” cadrebbero inevitabilmente vittime della fatica domanda: ma allora perché mai vi siete scissi? La cosa curiosa non è che loro ragionino così, ma che ci sia chi pensava che potesse essere diversamente.

Continuando nel paragone, non è neppure sorprendente che gli autoproclamati difensori dell’ortodossia scindendosi dalla chiesa madre si candidino a raccogliere tutti i piccoli movimenti ereticali che si erano formati prima di loro, così come non meraviglia che alcuni di questi storcano il naso all’idea di sottomettersi ai nuovi riformatori rivendicando una loro primazia. Storie già lette.

Ora la questione è se la chiesa madre accetta la sfida degli scismatici, ammettendo che, come sempre, quando succedono queste cose qualche ragione non può mancare. Qui non è questione di accettare che si sia tradita l’ortodossia storica, ma viceversa essere capaci di ripensarla e di riproporla ripensata con forza, convincendosi semmai che bisogna rinnovare con coraggio i guardiani di quella ortodossia che gli scismatici hanno messo in questione. E lo si deve fare accettando che il vento del dubbio abbia percorso tutto il proprio “gregge” e che dunque si debba espletare una azione coraggiosa per riprendere contatto con i dubbiosi.

E’ quanto si sta facendo nel campo storico della sinistra italiana? Sì e no. Renzi ha indubbiamente capito, o almeno così si presenta, che il banale dogma del o con me o contro di me non è una grande risorsa. I suoi “cardinali”, inclusi quelli che avevano qualche velleità dissenziente, sembrano avere compreso che tagliare il ramo su cui si è seduti non è che sia una abile strategia. Ma il problema è che quei cardinali, consenzienti o critici che siano, non sono sufficienti per recuperare la leadership. Come appunto nei grandi scontri religiosi, agli scismatici bisogna opporre nuovi santi (il ricorso alle Sante Inquisizioni è sconsigliabile: si sa già che non serve a niente).

Nel nostro caso lo scontro “teologico” non avverrà in un Concilio, ma nelle urne elettorali: lì si deciderà se si possa ricostruire un polo di sinistra (nuova, perché rinnovata) competitivo con la destra tradizionale e coi populismi, o se la frammentazione sia destinata a stabilizzarsi in chiese concorrenti e di fatto inconciliabili.

E’ in questo contesto che Giuliano Pisapia (e i suoi autorevoli ispiratori) hanno avanzato la loro proposta, che, per continuare in questo divertissement storicizzante, vorrebbe essere la fondazione di una specie di monachesimo riformato, ma dentro il quadro delle antica ortodossia. Egli non ha i sacri furori di chi è convinto di avere abbandonato la casa del demonio e dunque non ha problemi ad offrirsi come cooperante alla riforma del campo della sinistra, non a caso definito “campo progressista”: un nome che ha una storia che non è quella del comunismo, vetero o neo che sia. Sa che c’è tutto un “ambiente” che avendo scommesso negli anni passati su un orizzonte appunto “progressista” come scelta culturale, fa fatica a sentirsi a casa sotto le bandiere di un PD che è ancora largamente un partito di apparati, di cerchi più o meno magici, ed è un partito che in fondo si è riconnesso ad una lunga tradizione leaderistica del vecchio PCI (forse qualcuno ricorderà gli slogan ritmati “Togliatti, Longo, Berlinguer” …).

L’incognita è come sempre quella dei numeri. Gli scismatici sommettono che le inquietudini della loro area di provenienza siano tanto forti da dar loro modo di fondare una solida nuova chiesa. Quello è il loro scopo e ovviamente al momento non si pongono il problema di come renderla protagonista di qualcosa di diverso da una lotta generalizzata contro il demonio: le forme che questo assume per loro non fanno differenza. Il riformatore monastico Pisapia scommette di poter richiamare sotto di lui la variegata tradizione “progressista” italiana, che si è sempre detto essere numericamente considerevole, senza peraltro che si ricordino casi in cui queste armate si sono fatte contare per la loro imponenza. Il papa ufficiale Renzi conta sulla forza di tenuta dell’istituzione di cui è a capo, ma sembra disponibile ad avviare forme di collaborazione con gli “esterni” (sì, il nome ricorda qualcosa nella storia italiana …) pur nel timore che quelli possano rafforzare qualcuno dei suoi cardinali più impertinenti (ma sono i suoi cardinali più fedeli che alla fine gli esterni non li vedono di buon occhio).

Come andrà a finire non si può prevedere giocando con qualche analogia storica.