Anche le parole sono pietre
Non sappiamo ovviamente come andrà a finire il Consiglio dei Ministri di mercoledì 8 maggio, perché questo articolo sarà pubblicato prima che si sia svolto. Il presidente Conte ha dichiarato che affronterà e risolverà il caso Siri, ma che non ci sarà nessuna “conta” (cioè non si voterà facendo spaccare il CdM fra leghisti e pentastellati) e non ci sarà nessuna crisi di governo. Sull’ultimo punto si dichiarano preventivamente d’accordo Di Maio e Salvini, anche se l’uno chiede esattamente il contrario dell’altro.
Quale sarà il coniglio che estrarrà dal cappello Conte-Silvan non lo sappiamo: le scappatoie che consente un uso avvocatesco di leggi e regolamenti sono varie. Quel che crediamo di sapere è che si illude chi continua a pensare che le parole siano acqua fresca che scorre via e non lascia segno. La lunga sceneggiata a pro di occupazione del palcoscenico mediatico è indubbiamente riuscita, perché si parla solo di quella e tutte le altre forze politiche sono state relegate sullo sfondo. E’ divenuta tanto importante da spingere il presidente Conte ad approfittarne per uscire dal suo cono d’ombra e costruirsi una parte di co-protagonista: a quale fine non è chiaro, a parte quello, intuibile, di uscire in maniera dignitosamente di scena quando il suo governo cadrà.
C’è chi continua a ritenere che peraltro questo governo andrà ancora avanti per un certo periodo, perché si giudica improbabile che lo si faccia cadere di botto dopo la chiusura delle urne europee: significherebbe affrontare uno scioglimento anticipato della legislatura con voto in autunno a ridosso della approvazione seguente di una legge finanziaria molto ardua da scrivere.
Il fatto è che le variabili che possono entrare in campo sono molte e saranno destinate a pesare. Non ci sarà solo da tenere conto dei consensi che i due azionisti di governo raccoglieranno il 26 maggio nelle elezioni per il parlamento europeo. Quelli sono voti indicativi, ma se si giudica a partire dai risultati delle tornate precedenti non tali da predeterminare l’andamento di elezioni nazionali. Peserà di più il combinarsi di quelle percentuali con quanto i partiti raccoglieranno nelle contemporanee elezioni amministrative che coinvolgono una buona porzione dell’elettorato nazionale e che includono anche una elezione regionale, quella del Piemonte, territorio chiave per via della questione TAV.
È da quanto emergerà dagli orientamenti delle amministrative che si potrà cogliere se il cambiamento di vento che si percepisce a livello di “opinioni e sentimenti” si è radicato anche fino a determinare uno sconvolgimento della distribuzione dei consensi fra le classi dirigenti locali. Sinora i risultati di amministrative e regionali hanno lasciato intendere che questo cambiamento c’è stato, anche se non è chiarissima la sua dinamica. Per dirla con una certa brutalità: non abbiamo capito se la Lega avanza con le sue forze, o se una quota significativa di classi dirigenti locali ha scelto di schierarsi con la Lega favorendone la vittoria.
Non è una questione da poco e la domanda è avvalorata dal fatto che sinora per lo più la Lega, non a caso all’interno di coalizioni di centrodestra (cioè di formazioni che già avevano rappresentato in passato una certa scelta delle classi dirigenti locali nella fase del berlusconismo montante), si è imposta in regioni e comuni fuori della sua tradizionale area di insediamento. Questo non è invece riuscito ai Cinque Stelle, che non sembrano in grado di superare lo stadio del partito di agitazione, anzi sono costretti a tornare a battere su quel tasto nella speranza di non subire perdite troppo significative.
Ci sono però anche altre variabili di cui andrebbe tenuto conto. L’incognita maggiore si trova sul versante dell’economia. I numeri segnalano qualche miglioramento, ma si tratta di riprese guidate dall’export più che da dinamiche dell’economia dei consumi interni e questo avrà il suo peso nel determinare nella gente la percezione o meno di un miglioramento. Se poi il contesto internazionale, vuoi per la guerra commerciale USA-Cina, vuoi per le varie tensioni militari che non si acquietano, inducesse un’altra frenata, sarebbe difficile per qualsiasi governo far conto su un adeguato consenso popolare. Aggiungiamoci che a seconda di come andranno le elezioni europee avremo a novembre-dicembre una nuova Commissione UE, ma che ad oggi appare improbabile che sia fatta in modo tale da consentire ai paesi membri avventure finanziarie disinvolte.
Se si tiene conto di questo scenario futuro, si capisce bene come le sceneggiate fra i due partner di governo non possano essere liquidate come intermezzi da avanspettacolo. Anche le parole sono pietre e dopo averne spese di pesanti a dritta e a manca, dopo essersi reciprocamente delegittimati, dopo essersi lanciati in proclami di ogni genere, non sarà possibile continuare come prima, cavandosela con un’alzata di spalle che invoca la comprensione del “popolo” per le esigenze inderogabili dello spettacolo.
Troppi politici credono ingenuamente al detto popolare: “passata la festa, gabbato lo santo”, per significare che quello che si dice nell’emozione suscitata da un certo contesto non vincola nessuno e tutti lo sanno. Vorremmo ricordare quanto ha nociuto loro credere in passato (ma anche oggi) al detto andreottiano che il potere logora chi non ce l’ha.
di Paolo Pombeni
di Gabriele D'Ottavio
di Stefano Zan *