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16 marzo 2024
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Adolfo Nicolás, un gesuita del nostro tempo

Claudio Ferlan - 23.05.2020
Adolfo Nicolás

Lo scorso 20 maggio è morto a Tokyo Adolfo Nicolás, trentesimo superiore generale della Compagnia di Gesù (l’ordine religioso cui appartiene papa Francesco). Nato a Villamuriel de Cerrato  nella odierna comunità spagnola di Castiglia e León il 29 aprile 1936, aveva trascorso buona parte della vita nelle Filippine e in Giappone, dove era tornato dopo aver lasciato la guida dei gesuiti nell’ottobre 2016.

In continuità con i propri predecessori, Pedro Arrupe  (1907-1991, generale tra 1965 e 1983) e Peter-Hans Kolvenbach (1928-2016, generale tra 1983 e 2008), Nicolás aveva infatti scelto di dimettersi. Se la decisione di Arrupe era stata strettamente vincolata a una grave malattia e a una sostanziale sua destituzione decisa da Giovanni Paolo II, Kolvenbach aveva invece lasciato volontariamente la carica, una volta compiuti gli ottant’anni. Aveva comunicato la sua intenzione due anni prima, per consentire un’adeguata preparazione alla successione e aveva specificato di aver ottenuto il consenso dell’allora papa regnante Benedetto XVI. Non possiamo escludere che il gesto abbia in qualche modo se non ispirato, quantomeno interrogato  Joseph Ratzinger. Identica decisione era stata presa da Nicolás, con le medesime tempistiche: preannunciate le dimissioni nel 2014 (con l’accordo di Francesco) e preparata così la comunità gesuitica alla successione, aveva lasciato spazio al dal 14 ottobre 2016 al nuovo preposito generale della Compagnia di Gesù, il venezuelano Arturo Sosa Abascal.

Proprio l’istituto delle dimissioni caratterizza dunque la storia recente dei gesuiti, fin da quando la XXXI Congregazione generale (1965-1966), l’organismo di vertice nell’organizzazione dell’ordine, aveva stabilito la liceità delle dimissioni del generale in presenza  di cause gravi le cui conseguenze avessero determinato incapacità a governare. Si tratta di un punto di particolare interesse storico, se pensiamo che all’epoca dell’approvazione pontificia (1540) della Compagnia, fondata per iniziativa di Ignazio di Loyola, proprio la nomina a vita del generale aveva caratterizzato il fastidio con cui certi ambienti della Chiesa cattolica del tempo avevano guardato al nuovo istituto. Consapevoli del mutare dei tempi e dell’accelerazione di tale mutamento intercorso nella seconda metà del secolo scorso, i gesuiti hanno cambiato le regole. Lo stesso Nicolás aveva analizzato la questione al momento di preannunciare le proprie dimissioni: consigliatosi con papa Francesco, aveva specificato come la struttura gerarchica dei gesuiti preveda che il generale sia affiancato da quattro assistenti; a loro si può chiedere un contributo attivo nell’aiutare il superiore a comprendere quando si avvicina il momento di lasciare. I progressi della medicina e l’allungamento della vita, aggiungeva Nicolás, non consentono di permettere che la complessità dell’organizzazione di un ordine attivo, dedito al servizio e al costante movimento possa rischiare di inciampare a causa della debolezza o della stanchezza del superiore generale.

Altro elemento di continuità nel generalato Nicolás è quello dell’attenzione riservata alle periferie. Come Arrupe, egli aveva esercitato il proprio ministero soprattutto in Giappone, Kolvenbach lo aveva fatto in Libano e Sosa in Venezuela. Lo spostamento del baricentro della Chiesa è stato colto con buon tempismo dagli eredi di Ignazio, che nel farlo si sono pure interrogati con grande anticipo rispetto alle gerarchie romane sulle risposte da dare alla questione dei rifugiati, un dramma che Arrupe colse nel suo sorgere già all’epoca della guerra del Vietnam e che Nicolás ha fatto proprio nel corso del proprio apostolato orientale e anche in tempi più recenti, sostenendo gli appelli di papa Francesco per il rispetto delle vite proprio dei rifugiati.

Quasi come un testamento del proprio pensiero, durante una visita alla Provincia dell’Africa Occidentale datata 2015 parlando con i gesuiti in Camerun, Nicolás ha tracciato l’immagine del gesuita odierno come un uomo in costante ricerca di comprensione e di senso, un uomo che emana tre aromi: «l’aroma di pecora, l’aroma di biblioteca e l’aroma del futuro». Il primo rimanda al vissuto del singolo e della comunità, che va cercato e sperimentato in ogni angolo del globo; il secondo a quello della riflessione profonda, che rimanda anche alla capacità di insegnare e formare attraverso l’apostolato intellettuale; il terzo a quello della «apertura radicale alla sorpresa di Dio».

Abbiamo dipinto questo breve ritratto di Adolfo Nicolás sotto il segno della continuità, riconoscendo negli ultimi cinquantacinque anni di storia della Compagnia di Gesù la capacità di percepire e assecondare i cambiamenti del tempo e dello spazio, una capacità caratteristica anche, a nostro parere, del pontificato del gesuita Bergoglio. Va sottolineato però come tale attitudine non sia così comune e condivisa all’interno della realtà complessa e multiforme della Chiesa cattolica, in alcune sue componenti (neppure troppo minoritarie) più attenta a guardarsi indietro che a scrutare l’orizzonte.