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Di scommessa in scommessa

Stefano Zan * - 23.05.2020
Stazioni termali chiuse

Ci sono due linee guida, due principi, se volete due filosofie di fondo, che hanno ispirato le scelte del Governo contenute nel Decreto Rilancio approvato dal Consiglio dei Ministri e in attesa della conferma del Parlamento. Possiamo definirle come: il principio del risarcimento e quello del ritorno al passato, entrambi molto semplici nella loro formulazione essenziale.

Il principio del risarcimento dice che poiché molti cittadini (persone, famiglie, lavoratori, imprese e imprenditori) hanno perso per alcuni mesi una parte o tutto il loro reddito, a causa delle limitazioni imposte dal Governo per contenere la diffusione del virus, è giusto che lo Stato li risarcisca. Questo comporta o una compensazione monetaria diretta, o un prolungamento/allargamento degli ammortizzatori sociali, oppure, infine, una riduzione del prelievo fiscale.

E’ difficile contrastare la correttezza, sia sul piano economico del sostegno a chi si è ritrovato senza reddito, che sul piano morale del rispetto del principio di equità, di questa prospettiva che presenta però non pochi limiti. Il primo dei quali è legato ad una equazione molto semplice: poco per tanti fa comunque tanto. In altri termini: contributi minimi moltiplicati per una platea molto vasta di destinatari fanno comunque un cifra enorme che pesa sul bilancio dello Stato. Tutti i destinatari sanno e pensano che le cifre che hanno ricevuto o riceveranno non li ricompensano affatto di quanto hanno perduto, ma nello stesso tempo l’impegno finanziario dello Stato non ha precedenti nella storia del nostro Paese e peserà a lungo sulla dimensione del suo indebitamento. Altri due aspetti in qualche modo critici sono da un lato il carattere necessariamente a pioggia degli interventi che hanno beneficiato anche chi, forse, non ne aveva realmente bisogno e, dall’altro lato che gli impegni assunti ad oggi rendono difficile ipotizzare ulteriori interventi di sostegno nel corso di quest’anno anche qualora se ne ravvisasse l’opportunità. Ad esempio cosa succederà a fine agosto quando scadrà per milioni di persone la cassa integrazione? I supporti europei (SURE, MES, Recovery Fund) potranno dare una mano, ma comunque parziale e limitata perché, nella maggior parte dei casi si tratta di prestiti che, per quanto a tassi agevolati e con scadenze lunghe, prima o poi andranno rimborsati.

Anche la prospettiva del ritorno al passato è semplice da esplicitare: pur con le dovute cautele e le opportune precauzioni riapriamo tutto quello che abbiamo chiuso ai primi di marzo in modo che l’economia riprenda vigore. Anche se ormai nessuno ipotizza una ripresa con una curva a V si tratta di un’operazione certamente necessaria ma altrettanto certamente non sufficiente fondata su una scommessa, che potremmo chiamare del break even point, che alcuni vinceranno ma altri perderanno.

Quando si dice che nulla sarà più come prima, ammesso e non concesso che un mero ritorno al passato possa essere auspicabile, occorre aver presente che tutte le attività economiche, nei mesi a venire, si troveranno di fronte a un calo consistente della domanda tanto interna che internazionale. Alcuni, e non sono pochi in giro per il mondo, hanno avuto e avranno ancora una sostanziale diminuzione del reddito a disposizioni. Altri, più fortunati, comunque in questi mesi hanno ridotto la loro propensione al consumo e ci vorrà del tempo prima che riprendano a spendere in maniera significativa, sempre ammesso che la sobrietà nei consumi non sia diventata nel frattempo un’attitudine prudenziale che inciderà in qualche misura sulla piena ripresa della domanda.

Non va dimenticato poi che c’è una grande differenza tra i diversi tipi e settori di attività: se per parrucchiere ed estetiste è plausibile pensare ad una ripresa a pieno ritmo, molto meno chiaro è quello che succederà al commercio non alimentare.

Per alcune attività economiche, tra l’altro, al momento non è prevista alcuna apertura: discoteche, spettacoli musicali, stazioni termali, ecc. che nell’insieme rappresentano una parte non marginale del Pil e dell’occupazione.

In ogni caso per tutte le imprese che hanno riaperto il 4 o il 18 maggio è iniziata davvero una vera e propria scommessa i cui ingredienti fondamentali sono, oltre all’andamento prossimo-futuro della domanda, i costi (e/o le mancate entrate) legate al rispetto delle norme vincolanti del distanziamento e dell’igienizzazione: per molte imprese (bar, ristoranti, negozi, ecc.) questo si traduce in un calo strutturale del numero dei clienti che potranno essere serviti rispetto a prima e quindi ad un sostanziale squilibrio tra costi e ricavi. Nessun dubbio che gli imprenditori ci metteranno tutto il loro impegno per salvaguardare quanto hanno ad oggi costruito e probabilmente alcuni di loro troveranno soluzioni nuove e alternative per arricchire la loro formula di business. E in questo saranno fortemente motivati dal fatto che le alternative sono davvero poche: se saranno costretti a chiudere faranno fatica a trovare un qualsiasi altro lavoro come dipendenti.

Dopo l’estate si tireranno le somme e si capirà chi è in grado di proseguire e chi invece dovrà arrendersi al fatto che se i ricavi non superano i costi, conviene comunque chiudere.

A fronte di uno scenario di questo genere, realistico e non pessimistico, le politiche pubbliche dovrebbero cambiare radicalmente la loro filosofia di fondo (quella che le ha caratterizzate nella prima e seconda fase dell’emergenza) per concentrarsi su due altri pilastri.

Il primo è quello di massicci investimenti pubblici e privati (mobilitando anche l’enorme risparmio privato) in tutti quei settori che possono garantire occupazione e innovazione. Bisogna creare nuove imprese, nuovo lavoro, nuova occupazione perché il ritorno al passato non sarà certamente sufficiente e di qui a qualche mese sarà molto chiaro.

Il secondo è quello di una profonda rivalutazione, semplificazione, riforma di molti degli istituti e delle procedure che caratterizzano il nostro sistema istituzionale: fisco, welfare, istruzione, sanità, competenze Stato-Regioni. Gli strumenti con cui abbiamo affrontato l’emergenza hanno dimostrato tutti i loro limiti sia nei modi che nei tempi con cui hanno operato. Non è pensabile affrontare le difficoltà del prossimo futuro con la stessa strumentazione con la quale abbiamo operato fino ad oggi pagando costi elevati tanto in termini di efficienza che di efficacia.

La terza fase è già iniziata e prima ce ne rendiamo conto e cominciamo ad operare con una nuova filosofia di fondo meglio è, magari senza dar vita a nuovi, numerosi e pletorici comitati tecnico-scientifici. Anche questa è una scommessa, ma questa riguarda tutti noi e non solo gli imprenditori.

 

 

 

 

* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni. Il suo blog è ww.stefanozan.it