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Verso un nuovo sistema partitico?

Luca Tentoni - 16.11.2019
sondaggi elezioni comunali 2017

La difficoltà che si incontra nel circoscrivere il periodo che comunemente è definito "Seconda Repubblica" non sta nell'individuazione dell'inizio del nuovo assetto (1993-'96) ma nello stabilirne la fine (se è avvenuta nel 2011-'13 o nel 2018; se sta avvenendo; se deve avvenire). Una delle caratteristiche della Seconda Repubblica è stata rappresentata dal bipolarismo (con due schieramenti ampi ed eterogenei e pochi partiti rilevanti fuori dai blocchi, tranne la Lega nel 1996 e l'Udc nel 2008) strutturatosi con le elezioni regionali del 1995 e rimasto sostanzialmente stabile nel corso di quindici anni. Persino l'uscita del Carroccio dal centrodestra berlusconiano e l'espulsione dell'Udc dalla Cdl non hanno mutato la struttura ad esito binario della competizione: nel '96 se ne è avvantaggiato il centrosinistra, mentre nel 2008 l'esito è stato comunque favorevole al centrodestra. Le elezioni politiche del 2013 hanno visto la presenza di tre soggetti o poli sostanzialmente sullo stesso piano, fra il 25 e il 30% (centrosinistra, centrodestra, M5s) più un quarto raggruppamento minore di centro (Monti-Scelta Civica, Udc, Fli). La rapida dissoluzione di quest'ultimo (2014, in coincidenza con l'affermazione del Pd alle europee) ha portato, nel 2018, alla conferma dell'assetto tripolare, con il M5S (32,7%) e il centrodestra (37%) oltre il 30%, mentre il centrosinistra guidato dal Pd è rimasto intorno al 23%. Il voto del 2019 (europee) e i più recenti sondaggi ci restituiscono un tripolarismo sbilanciato, nel quale il competitore più forte ha fra il 40 e il 50% dei voti potenziali (restringendo la coalizione a Lega e FdI o allargandola a FI) e gli altri due viaggiano fra il 15-17% (M5S) e il 20-22% (il Pd in coalizione con Leu o con Iv). La situazione che si sta venendo a creare ricorda - accentuando le distanze fra i primi due blocchi - quella del 1994, quando la "doppia alleanza" berlusconiana (FI-Lega al Nord, FI-AN al Centrosud) ebbe il 42,8% contro il 34,3% dei Progressisti (Pds-Altri) e il 15,7% del Patto per l'Italia (PPI-Segni). Allora le lunghezze di vantaggio del raggruppamento di destra su quello di sinistra erano 8,5; oggi sono almeno 20 o 25, mentre la percentuale del terzo polo (ieri i centristi, oggi il M5s) è più o meno la stessa. Vista in questo modo, la situazione sembra prefigurare un'uscita dalla Seconda Repubblica molto simile all'esordio, stanti i rapporti di forza. Anzi, prefigura quasi un nuovo assetto, con un blocco dominante e maggioritario (il centrodestra) contro due molto più piccoli (uno dei quali, il M5S, appare in declino come il Patto per l'Italia nel '94, sia pure per motivi molto diversi; a tal proposito va ricordato che la Dc aveva avuto il 29,7% nel '92 e il PPI l'11% nel '94, perdendo 18 punti in due anni, mentre il M5S è passato dal 32,7% del 2018 a circa il 17% delle europee, con quasi il 16% in meno in un anno). È per questo motivo che le prossime elezioni regionali hanno un valore politico generale molto rilevante: non per le note questioni contingenti (la sorte di governo e maggioranza) ma perché potrebbero (in caso di disfatta del centrosinistra) chiudere la stagione del bipolarismo regionale e comunale (che non è mai diventata tripolare, localmente) aprendo la via ad una "Terza Repubblica" caratterizzata da un polo dominante, seguito (a lunga distanza) da un centrosinistra poco competitivo e da un M5s fuori gara. In questo caso, l'anno di chiusura della Seconda Repubblica potrebbe essere il 2020, cioè il momento nel quale il bipolarismo (vigente a livello locale per 25 anni, ma solo 15 a livello nazionale) e il tripolarismo (solo nazionale, dal 2013, quindi nella fase finale del periodo storico) saranno superati da una competizione strutturalmente sbilanciata a favore di un polo. In prospettiva, si potrebbe immaginare quest'ultimo come un soggetto politico non più plurale, ma federato (con FI da una parte e Lega e FdI dall'altra) o integrato (se FI resterà fuori o se l'età avanzata di Berlusconi spingerà i suoi elettori a ridislocarsi altrove). La situazione appare destinata ad evolversi in direzione di una ristrutturazione del sistema dei partiti, sia per le difficoltà del M5s (ormai bloccato a destra, quindi non più in grado di svolgere la sua funzione "pigliatutto"), sia per quelle del Pd (che deve far emergere la sua nuova fisionomia e il suo progetto per il futuro, se ne ha uno), sia per la scomposizione e ricomposizione di un centro che (fra Italia viva, Forza Italia e altri minori) sembra molto più frammentato che ricco di consensi. La stessa distribuzione territoriale dei voti ai partiti di sinistra e di destra sembra intaccare i rapporti di forza tradizionali in modo forse non ancora irreversibile, ma molto marcato. Infine, l'ormai consolidata concentrazione dei voti di centrosinistra nelle zone centrali o medio-alto borghesi delle città, che fa da contraltare all'affermazione della destra (in parte, del M5s) nelle zone periferiche sembra tracciare ormai una nuova linea (esclusione/inclusione), un nuovo cleavage potenzialmente in grado di rendere molto complesso, nel tempo, un ritorno di competitività della coalizione imperniata sul Pd.