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Una politica ancora sospesa nel vuoto

Paolo Pombeni - 19.02.2015
Matteo Renzi e Alexīs Tsipras

Ci si interroga se le due crisi che si sono affacciate con prepotenza sulla scena politica, quella libica e quella greca, siano o meno in grado di imprimere una svolta all’impasse in cui sembrava essere precipitata la nostra politica dopo le baruffe della scorsa settimana alla Camera. Si tratta ovviamente di due fenomeni molto diversi fra loro, a cui forse sarebbe da aggiungere la crisi ucraina, non fosse che da quest’ultima l’Italia sembra più lontana.

Entrambe le crisi hanno un certo impatto sull’opinione pubblica. Gli avvenimenti in Libia preoccupano come è ovvio sia per il concretizzarsi di una minaccia jihadista alle porte di casa nostra, sia per la possibilità che quanto sta accadendo accentui la pressione delle ondate migratorie sulle nostre coste. Non è dunque solo per comprensibili motivi geostrategici e per reminiscenze storiche che il nostro governo non può rinunciare ad avere un ruolo importante in questo contesto.

I partiti sembrano avere colto la situazione e difatti, pur con accenti e retoriche diverse, tutti stanno attenti a non apparire come coloro che boicottano l’unità nazionale di fronte ad un pericolo largamente percepito. Naturalmente non possiamo sottovalutare il peso e l’impatto dei vari “distinguo” che vengono proposti: nessuno vuole che Renzi tragga giovamento da questa emergenza e dunque spesso si mettono in campo ragionamenti che non sono fondati. Nonostante questo la necessità di gestire la crisi creatasi con gli ultimi avvenimenti in Libia ha ridato forza e centralità al governo ed ha messo in difficoltà i suoi avversari.

Tutto si complica con la crisi greca. L’Italia si trova infatti in una situazione ambigua. Da un lato è il terzo creditore della Grecia che ci deve ben 40 miliardi. Rinunciare a quel credito, sia pure esigibile solo virtualmente viste le condizioni attuali, sarebbe complicato per il nostro bilancio nazionale: anche solo l’iscrivere palesemente quella cifra o parte di essa come perdita non sarebbe senza conseguenze. Dal lato opposto però il governo Renzi non vuole appiattirsi sulle posizioni rigoriste della Germania e dei suoi alleati, anche se al tempo stesso non ha né voglia né forza per mettersi di traverso rispetto ai risultati che questi ricercano. Si aggiunga che in Italia la simpatia verso Tsipras e il suo governo è diffusa anche oltre gli stretti ambiti dell’estrema sinistra, sicché al premier non dispiace l’idea di acquisire qualche consenso in quelle aree presentandosi come l’alleato ragionevole su cui la Grecia può contare per avere il tempo di risolvere i suoi guai.

Presentando le cose in questo modo si potrebbe avere l’impressione che il quadro politico di casa nostra possa ricomporsi poiché  la attuale “emergenza” dà modo sia agli oppositori degli attuali equilibri di uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati con il tentativo di bloccare le riforme, sia al premier di fare qualche concessione per cancellare l’impressione che voglia vincere a base di colpi di mano.

In realtà tutto è molto più complicato e non solo perché gli “animal spirits” della politica non hanno voglia di placarsi. La scadenza vera che incombe non è il dibattito sulla riforma costituzionale a marzo, ma è la tornata di elezioni regionali in primavera. Per Renzi come per tutti i suoi oppositori (a prescindere dalle loro collocazioni parlamentari) quello è un momento di prova pubblica: si misureranno i tassi di fiducia di ognuno e si vedrà chi può davvero contare su forza e leadership necessaria per porsi davvero al centro del gioco.

Il governo non conta più, almeno per il moment, sulla spinta quirinalizia. Mattarella per ora vuole tenere fede alla sua immagine di uomo al di sopra delle parti. Ciò significa che per le opposizioni (incluse quelle interne al PD) il momento appare propizio per sferrare un attacco che ridimensioni un leader che, a stare ai sondaggi, è ancora largamente in testa. Si tratta di forze già in crisi di nervi davanti all’ipotesi che passata la nuova legge elettorale sia inevitabile infilarsi in qualche grande ammucchiata. Per questo le fibrillazioni rimangono e anche in casa PD il disorientamento è largamente diffuso, tanto al centro quanto in periferia.

Affrontare in queste condizioni la sfida delle regionali è un bel rischio, ma non è evitabile, come è facile comprendere. Il fatto è che le regionali sono ancora lontane qualche mese e con le accelerazioni impresse dalla situazione attuale è un tempo lungo che non consente di stare a vedere e rimandare le decisioni. In più l’implementazione di alcune riforme è inevitabile: c’è da perfezionare il Jobs Act (con una disoccupazione giovanile ancora intollerabile), ci sono la riforma fiscale e quella della pubblica amministrazione che non si capisce che fine faranno.

Insomma la politica non può continuare a stare sospesa nel vuoto illudendosi di riempire l’intervallo con qualche scenetta nei talk show e in genere sui media. Renzi esagera quando vuole chiudere tutto molto in fretta, ma ha ragione a pensare che il tempo di menare il can per l’aia è finito da un pezzo.