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27 marzo 2024
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Un’altra puntata della telenovela governativa

Paolo Pombeni - 08.06.2019
Conferenza stampa Conte

Più che a una vicenda politica, quella di questo governo assomiglia ad una puntata del mitico Beautiful, dove si susseguono rotture, tradimenti e riconciliazioni. Dunque non è facile capire se la pace scoppiata tra Salvini e Di Maio possa considerarsi una svolta (personalmente ne dubitiamo).

La situazione è piuttosto quella che deriva da un evidente impasse che mescola il risultato delle urne di maggio con la estrema difficoltà di sciogliere la legislatura (non parliamo del trovare maggioranze alternative in questa). Salvini ha ottenuto un grosso successo e Di Maio una pesante sconfitta che cambiano la prospettiva degli equilibri interni alla coalizione, ma non incidono sulla situazione parlamentare. Tuttavia chi sarebbe in teoria avvantaggiato dall’attuale geografia delle Camere, cioè M5S che ha una larga prevalenza sulla Lega in termini di seggi, non può sfruttarla, perché non se la sente di andare ad una crisi con elezioni anticipate da cui uscirebbe sicuramente ridimensionato, probabilmente in modo molto significativo. In parallelo la Lega non sa bene se da un nuovo ricorso alle urne potrebbe guadagnare abbastanza da poter essere veramente egemone in una nuova situazione, sicché valuta le convenga godersi questa egemonia virtuale che già esercita con un alleato disarticolato.

Aggiungiamoci, come è già stato detto più volte, che una fine immediata della legislatura non è possibile: bisogna aspettare almeno fino al 20 luglio, poi ci sarebbe un interregno estivo inevitabilmente paludoso e in questi mesi non si combinerebbe niente. Non una buona condizione per presentarsi agli elettori da parte di partiti di governo che amano proclamare a dritta e a manca che hanno “realizzato” molte cose. Dunque meglio andare avanti, con la reciproca concessione di altre “bandierine” da piantare sulla mappa delle vittorie, più d’immagine che di sostanza, ma tant’è in una politica che ragiona solo in termini di comunicazione.

A stare a quel che si intuisce Salvini guadagnerebbe di più del suo dirimpettaio, che sembra essersi arreso sui temi più incandescenti tipo la TAV (la flat tax è una roba demagogica che non stupisce possa trovare ascolto anche in casa pentastellata). Qualcosa sarà però sicuramente dato anche a Di Maio, perché i temi non mancano: pensiamo per esempio al nodo della crisi del CSM, che è materia in cui può ritagliarsi un ruolo il ministro Bonafede.

Non dimentichiamoci di sottolineare come l’incontro di giovedì fra i due dioscuri miri anche a mandare un segnale a Conte, che aveva cercato di ritagliarsi uno spazio di autorevolezza reclamando un suo ruolo autonomo nella crisi. I due marcano di fatto il territorio e vogliono rendere evidente che il gioco è nelle loro mani e lo fanno anche trovando una intesa in chiave di contrapposizione con la Commissione Europea, cioè sul terreno che il premier aveva cercato di fissare come un “dominio riservato” per lui e per Tria. È vero che Conte si era subito affrettato a far sapere da Hanoi, il giorno stesso dell’incontro Salvini-Di Maio, che l’accoglienza degli inviti di Bruxelles a ristrutturare la spesa pubblica non avrebbe incluso i due totem del reddito di cittadinanza e di quota 100, ma era esattamente quello che ribadivano, con ben maggiore ruvidezza, i due vicepremier, che anzi parlavano di risolvere tutto con tagli alla spesa che però escludessero quello che si può chiamare il sistema di welfare.

Sorvoliamo sul fatto che è come dire che sia possibile risolvere il famoso problema della quadratura del cerchio: se si escludono le spese non ulteriormente comprimibili tipo la pubblica sicurezza o la manutenzione delle strutture, non c’è spazio per tagli significativi fuori del sistema del welfare, specie sanitario (e infatti le regioni hanno subito alzato la voce). I continui fallimenti delle strategie di spending review qualcosa dovrebbero pur avere insegnato. Nella tattica comunicativa della maggioranza di governo non si bada alla sostanza, ma alla percezione: ci sono cose che vengono immediatamente colte dalla gente (tipo pagare meno tasse) e cose che ci vorrà tempo perché certe disfunzioni vengano attribuite alla politica dei tagli (tipo la contrazione dei servizi sanitari, su cui pesa spesso un giudizio di scarsa efficienza a prescindere). Nell’equilibrio già scassato dello sviluppo del paese e della qualità della sua vita saranno però scelte politiche che peseranno, eccome, specie sulle classi più deboli, che ormai non sono più soltanto quelle marginali, ma anche quelle un tempo definite “medie”.

Al momento però il confronto con la UE tiene banco, solletica gli orgogli nazionalistici, funziona da capro espiatorio, dunque può fungere da paravento che nasconde alla vista la complicata coabitazione delle due componenti della maggioranza. Al premier viene ricordato che non deve illudersi di avere spazi per rilanciare un suo ruolo (e forse un suo futuro): se Di Maio deve trovare una sponda quella non può che essere un Salvini consapevole di quanto il capo politico 5S possa essere un utile partner di governo. Del resto dopo questa non esaltante prova di presenza governativa i Cinque Stelle non possono aspirare a nulla di più, anzi devono temere di avere molto meno (a parte la questione della sopravvivenza o meno del loro attuale gruppo dirigente una volta che si fosse conclusa questa legislatura).