Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Lezioni siciliane?

Paolo Pombeni - 08.11.2017
Nello Musumeci

Tutti a scrutare come antichi aruspici le viscere delle elezioni siciliane per indovinare cosa ci aspetterà in futuro nella politica italiana. Ovviamente sarebbe stupido sostenere che si tratti di elezioni con valenza puramente locale, ma ci pare altrettanto ingenuo sostenere che si tratti del preludio certo di quel che avverrà alle prossime elezioni nazionali. Passerà molta acqua sotto i ponti e bisognerà vedere cosa trasporteranno quelle acque.

Quel che vale la pena di esaminare è se quanto successo ci può indicare o meno alcune linee di tendenza che vanno al di là delle peculiarità siciliane. Il primo dato è sicuramente l’ampiezza dell’astensionismo. Siamo stati sotto il 50% ma a testimoniare che non è solo questione sicula c’è il dato contemporaneo delle amministrative ad Ostia dove si è stati sotto il 40%. Sommessamente ricordiamo che nelle ultime regionali in Emilia Romagna il 23 novembre 2014 aveva votato il 37,1%. Nelle amministrative dello scorso giugno solo nel caso di Cuneo si è superato di poco il 50% al primo turno, altrove si è rimasti sotto, talora anche sotto il 30%.

Non lo diciamo solo per rimarcare il fatto, rilevantissimo, che la volontà di partecipare direttamente alla scelta delle proprie classi dirigenti è drammaticamente in calo. Può dipendere da scarsa affezione per la politica, ma anche, temiamo altrettanto, dalla convinzione che ormai ciò che interessa i cittadini è garantito o non è garantito a prescindere da chi siede nei palazzi dei governi. Vorremmo invitare a riflettere sul fatto che quanto è successo smentisce il mantra che è stato rilanciato da quasi tutta la classe politica: drammatizzando e radicalizzando il confronto recupereremo quei milioni di elettori delusi che disertano le urne. Specialmente Mdp ci ha afflitto con questa motivazione che, almeno alla prima prova, è risultata inesistente.

Dunque forse tutti i partiti potrebbero fermarsi a pensare che le loro continue intemerate, gli attacchi e le denunce sparse a piene mani non è che poi facciano guadagnare più di tanto. Si dirà: ma M5S ha raddoppiato i suoi consensi, Salvini si è insediato al Sud, Mdp ha dato un potente calcio negli stinchi a Renzi. Bene, ma per farci cosa?

Piuttosto si è visto come il sistema delle coalizioni funzioni fino ad un certo punto e questo dovrebbe far suonare qualche campanello d’allarme in vista delle prossime elezioni con la legge Rosato. Certo in questo caso i partiti si sono cautelati impedendo il voto disgiunto fra uninominale e proporzionale, mentre in Sicilia ciò era possibile, sia pure per quel che riguardava i candidati governatori. Il risultato è che si visto quanto conti la personalità del candidato: il pallido rettore Micari ha preso un 10% in meno rispetto alla somma dei voti delle liste che lo sostenevano, mentre il candidato grillino Cancelleri ha preso l’8% in più rispetto ai voti raccolti dal suo partito, segno evidente che circa un 8% dei votanti PD hanno scelto il pentastellato per far argine al candidato del centrodestra. Con la legge Rosato qualcosa di simile nell’uninominale non potrà succedere, ma resta da vedere se non avendo questa possibilità i votanti PD (rimaniamo al caso citato) avrebbero comunque votato Micari o non sarebbe semplicemente passati armi e bagagli a Cancelleri portando un voto anche ad M5S.

L’altro aspetto da esaminare è il proliferare di liste. In questo caso il sistema siciliano come quello Rosato premia la frammentazione, ma questa non porta automaticamente sulla scena soggetti reali, quanto piuttosto operazioni di puro tatticismo politico (per non dire di peggio). Comunque lo si voglia leggere, il caso siciliano mostra come le operazioni di frammentazione abbiano ormai il fiato corto dal punto di vista veramente politico. Non solo il partitino di Alfano è sotto la soglia del 5% ed è una secca sconfitta per un politico che aveva avuto in Sicilia una cospicua riserva di voti. Gli scissionisti del PD sono stati solo un elemento di disturbo che non ha portato ad alcuna fiammata della famosa rinascita dell’Ulivo o come la si voglia chiamare.

Adesso arriveranno le speculazioni tipiche di ogni dopo voto: tutti daranno di quanto è successo l’interpretazione più conveniente per proiettarsi con successo nell’agone delle prossime elezioni politiche, ma non uno dei problemi che erano in campo è stato risolto. I pentastellati rimangono succubi della loro scelta di non fare alleanze e di una fisionomia politica che li inchioda ad un cospicuo, ma pur sempre circoscritto successo fra gli elettori “arrabbiati” (anche se qualche tentativo di salire su un carro vincente lo si vede in giro …). Il centrodestra vince, ma non abbastanza e soprattutto non scioglie le sue tensioni interne. A sinistra si è incartati: il PD si dichiara disposto ad ampie alleanze, ma non sa con chi farle, perché comunque, ammesso anche che gli scissionisti tornassero sui loro passi, non sarebbe abbastanza (e crediamo che gli elettori accoglierebbero con sconcerto convergenze dell’ultima ora). Bersani e compagni non sanno come uscire dall’immagine che si sono costruiti di chi ha rotto col PD perché è brutto e cattivo (buona scuola, jobs act, ecc.): di conseguenza devono pretendere abiure dal partito di Renzi che non solo sono ovviamente impossibili, ma che se mai venissero fatte semplicemente farebbero crollare un pezzo significativo del consenso di quel partito senza che Mdp lo possa davvero sostituire col recupero degli astensionisti, recupero rivelatosi una chimera.

Insomma un bel pasticcio.