Suggestioni per una scuola del futuro (ma anche del presente…)
Nella prefazione al libro “Nascita di una Pedagogia Popolare”, Elise Freinet, moglie di Célestin, scrive: “E’ il perenne problema del fanciullo, con le pressanti esigenze del suo presente e del suo avvenire, che determina l’accrescersi della massa di artigiani dediti all’opera educativa. Così si foggia senza pretese il bel mestiere dell’insegnante, così si costruisce una pedagogia valida per tutti i figli del popolo e non per una ristretta minoranza di privilegiati”.
Proprio partendo da questa frase, secondo me, ci si deve muovere per cercare di capire che cosa “dovrebbe” essere la scuola e soprattutto cosa occorra realmente ai bambini per imparare. Tenendo conto del contesto in cui viviamo, sempre più caotico e denso di problematiche socio-culturali, è necessario individuare azioni pedagogiche, metodi d’insegnamento e strategie che si adattino al momento attuale. Sicuramente, a differenza di allora – si parla della Francia negli anni ’50 del secolo scorso – i bambini hanno acquisito una maggiore consapevolezza riuscendo a ritagliarsi, forse loro malgrado, una maggiore attenzione.
Se da un lato, almeno in apparenza , sono diventati più autonomi grazie all’avvento delle tecnologie – anche se mi viene da pensare che probabilmente lo erano ancor di più quando sapevano utilizzare le mani per costruirsi giochi da usare in strada – dall’altro, purtroppo, sono sempre più spesso in balìa di un mondo dove il tempo è il vero motore di tutto, con i genitori che tendono ad impegnarsi di più per realizzare i loro sogni di “ex adolescenti” piuttosto che quelli dei figli. Anche la società è mutata notevolmente, ancor più da quando sta assumendo connotati multiculturali. L’incrocio tra culture diverse che si sta verificando in questi ultimi decenni è senza dubbio positivo e arricchente ma necessita, soprattutto da parte della scuola, di un occhio di riguardo.
Come affrontare, quindi, disagi infantili sempre più frequenti imputabili alla disgregazione delle famiglie, alla “debolezza” dei genitori e anche alla migrazione? La scuola deve in qualche modo operare uno sforzo per mettere in discussione e rivedere tutte le attività della routine quotidiana – più o meno rigidamente regolate dagli obiettivi da raggiungere – e mettere questi temi al primo posto. Solo in questo modo, e considerando il bambino come perno principale di tutta l’azione educativa, si può pensare di ovviare in parte a tante lacune. Anche il metodo di insegnamento deve essere in qualche modo rivisto, soprattutto in quelle realtà territoriali dove, per situazioni di degrado ambientale e di povertà culturale, i bambini hanno bisogno di essere maggiormente stimolati ad un approccio culturale più elevato.
Spesso, proprio in queste situazioni e in presenza di alunni con grosse difficoltà di apprendimento, si tende invece “ad abbassare il tiro”, a “facilitare” troppo quel che si propone. Dal mio punto di vista questa è una pratica deleteria e come tale da evitare perché non determina una crescita significativa ma fossilizza su livelli troppo bassi. E allora, pensando a quelle classi in cui sono presenti bambini di tante “sfumature” diverse, perché non valorizzare le lingue d’origine, perché non coinvolgere le famiglie e renderle partecipi della crescita dei loro figli cercando di condividere esperienze di vita e culture diverse? Perché non costruire una didattica veramente a misura di bambino, in cui il libro e la lettura – prima ed essenziale fonte di conoscenza – siano al centro di tutte le scelte didattiche ed educative? Perché non utilizzare una didattica attiva, dove il bambino è il vero motore dei suoi apprendimenti? Perché non predisporre un ambiente, simile ad una “casa”, in cui possa sentirsi accolto? Perché non lasciare più spazio alla discussione e alla conversazione, dilatando il tempo scuola in modo che ci sia la possibilità di esprimere le proprie idee e condividere con gli altri le proprie emozioni?
Molti potranno anche pensare che queste siano solo suggestioni di qualcuno che non conosce la scuola. Ad un certo punto della mia personale esperienza di insegnante, che operava – e opera – in una particolare situazione ambientale e sociale, ho avvertito “l’obbligo” di rivedere quelli che un tempo consideravo punti fermi del mio modo di fare scuola. Ed è stato così – mettendomi e mettendo tutto in discussione – che sono riuscita a cambiare rotta e a trovare alcune risposte a tutti questi “perché”. Sinceramente non penso proprio di essere diventata brava – un’insegnante non finisce mai di imparare –, ma altrettanto onestamente ritengo di aver fatto qualche passo in avanti per migliorare la motivazione e gli apprendimenti dei miei alunni.
* Insegnante di scuola primaria, sperimenta da anni il Metodo Naturale di Célestin Freinet e il plurilinguismo in una classe multiculturale, si occupa di intercultura e di narrativa dell'infanzia
di Paolo Pombeni
di Massimo Bucarelli *
di Angela Maltoni *