Shinzo Abe, la “normalizzazione” giapponese e i Tre Principi sull’esportazione di armi
Il Giappone ha compiuto di recente un altro passo importante verso il definitivo superamento del pacifismo post bellico e in direzione della cosidetta “normalizzazione” della propria politica estera e di difesa. Questo passo consiste nel rilassamento dei Tre Principi di Esportazioni delle Armi. Per inquadrare questa riforma nel panorama della politica estera e di sicurezza giapponese e più in generale nell’ambito dell’evoluzione dello scenario strategico dell’Asia Orientale è necessario chiarire cosa sono i Tre Principi di esportazione delle Armi e più in generale cosa vuol dire per il Giappone diventare una “nazione normale”.
Questo concetto è stato coniato da Ozawa Ichiro (all’epoca esponente di punta del Partito Liberal Democratico , poi “king-maker” del Partito Democratico del Giappone). Secondo Ozawa, il Giappone doveva abbandonare la sua identità di “paese amante della pace” (heiwa kokka) e diventare futsu no kuni, nazione normale. Ovvero in grado di provvedere alla propria sicurezza, partecipare a missioni di peace-keeping, promunovere i propri interessi in modo attivo, cooperare nel settore di difesa e sicurezza con paesi diversi dagli Stati Uniti. Questo implica superare gran parte dei “sette limiti” auto-imposti che avevano caratterizzato il Giappone post bellico (no truppe all’estero, no proiezione di potenza, no armi offensive, no uso dello spazio per fini militari, no armi nucleari, non più di 1% del PIL per la difesa, no esportazione di armi). Questi limiti, insieme alla clausola pacifista inserita nell’articolo 9, definivano l’identità pacifista giapponese e limitavano drasticamente la politica di difesa e il ruolo giapponesi nell’alleanza con gli Stati Uniti.
I Tre Principi sull’esportazione di Armi sono stati uno dei cardini della politica estera e di difesa Giapponesi nel dopoguerra. I Tre Principi approvati nel 1967 prevedevano che il Giappone non esportasse armi a paesi comunisti, sotto embargo ONU, o con possibilità di essere coinvolti in conflitti. Il divieto è stato ampliato a tutti gli stati dal 1976.
I Tre Principi avevano, come tutti i sette limiti una duplice funzione: ideale e strategica. Il Giappone “paese amante della pace” non poteva di certo alimentare conflitti all’estero vendendo armi. Inoltre, vendere armi avrebbe ri-animato il complesso militare industriale che aveva avuto grandi responsabilità nel periodo bellico. Nella guerra fredda i Tre Principi avevano una funzione “anti-intrappolamento”. Gli Stati Uniti premevano per un maggiore coinvolgimento del Giappone nel contenimento del comunismo. I Tre Principi così come gli altri limiti “pacifisti” permettevano al Giappone di respingere le richieste americane, evitando il rischio di coinvolgimento attivo in conflitti quali quello del Vietnam. Non a caso molti di questi limiti sono stati approvati tra la fine degli anni 60 e 70.
Come detto il Giappone nel periodo succeccessivo alla guerra fredda ha iniziato il suo processo di “normalizzazione” e di progressivo abbandono del pacifismo. Ciò non significa che abbia intrapreso una politica di riarmo o aggressiva. Ciò significa che i sette limiti che caratterizzavano il pacifismo giapponese sono stati lentamente superati. Di conseguenza le forze armate giapponesi (che ancora oggi si chiamano Jeitai, ovvero Forze di Auto-difesa e non esercito in omaggio alla tradizione pacifista) posso svolgere compiti che prima erano proibiti dalle norme interne. Alcuni di questi compiti sono la partecipazione a missioni di peace-keeping, esercitazioni congiunte con altre forze armate, difesa delle vie di comunicazione marittima, partecipazione a missioni anti pirateria. Inoltre, il superamento graduale dei sette principi permette una maggiore integrazione tra le forze giapponesi e le truppe americane stanziate in Estremo Oriente.
Il paese si è mosso in questa direzione in modo costante dagli anni 90 e non solo dopo il ritorno al governo di Abe. I maggiori passi in avanti sono stati compiuti con l’approfondimento dell’alleanza nel 1997, poi durante il governo Koizumi e anche durante l’amministrazione del Partito Democratico del Giappone.
La normalizzazione, da un lato, ha reso la politica estera e di difesa giapponese molto più attiva. Tokyo, ad esempio, ha iniviato truppe in Iraq nel 2004 e ha aperto una base a Gibuti con funzioni anti-pirateria. Dall’altro ora non può più sfruttare i limiti auto-imposti come “scusa perfetta” per respingere le richieste Americane per una maggiore convisione dei costi dell’alleanza.
Il rilassamento dei Tre Principi di Esportazione delle armi di conseguenza diventa molto importante. Ora il Giappone può esportare armi se ciò “rafforza la pace e la sicurezza del paese e della regione.” Il rilassamento dei Tre Principi implica che il Giappone può fare due cose distinte: esportare alcuni tipi di armamento verso altri paesi e “co-produrre” armamenti insieme con altri stati.
L’export bellico giapponese va in direzioni diverse. Da un lato c’è la co-produzione di elementi dello scudo anti-missile. Il Giappone sta cooperando con gli USA dal 2003 quando il governo ha approvato una legge apposita in materia, in deroga ai Tre Principi. Poi ci sono le nuove partnership con paesi dotati di alto livello di sofisticazione tecnologica nel settore militare come Regno Unito e Francia. Queste cooperazioni sono funzionali allo sviluppo di sistemi sofisticati e all’integrazione delle conoscenze dei paesi europei con il Giappone.
Un terzo tipo di destinazione dell’export è quello verso paesi asiatici. In questo caso le motivazioni sono soprattutto politiche. Le esportazioni giapponesi sono dirette a paesi come l’India o le Filippine che hanno avuto problemi di sicurezza e dispute territoriali con la Cina. Quindi esportare armamenti verso questi stati è un segnale della solidarietà politica di Tokyo.
In conclusione, questa riforma segna un altro passo importante verso un superamento del pacifismo post bellico e verso una politica di difesa più attiva. Questo però non rende il Giappone né revisionista né militarista, piuttosto rende possibili pratiche, come la co-produzione e l’esportazione di armi, comuni per la gran parte dei paesi occidentali.
* Professore a contratto, Scuola di Scienze politiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna