Sfida all’Europa?

Ormai si parla sempre più apertamente di una sfida all’Unione Europea da parte dei due partiti di governo. C’è qualche andirivieni retorico, giusto per alzare un po’ di polvere, ma la sostanza è piuttosto chiara. In risposta le forze di opposizione all’attuale maggioranza riscoprono un europeismo di maniera, aggiustato ovviamente dalla precisazione che comunque questa Europa andrà rifatta.
Non è però ben chiaro come gli uni e gli altri intendano davvero muoversi in un contesto che è gravido di incognite e che non lascia intravvedere molte occasioni di formare realistici blocchi di forze unite da obiettivi comuni.
Iniziamo dai partiti al governo. Scommettono che il futuro parlamento europeo sarà dominato da componenti di orientamento ben diverso da quello attuale. Anche se ciò avvenisse, e non è detto perché le elezioni europee sono delle cabale, non c’è prova che si tratterebbe di forze che poi convergerebbero su linee comuni. L’attesa che esse si uniscano a smantellare la costruzione attuale è ingenua. La UE è un formidabile centro per manovre politiche e per cavare risorse a proprio vantaggio. Come sempre succede, i nuovi dominatori vorranno semplicemente usare a proprio vantaggio queste opportunità e scopriranno di essere in conflitto fra di loro. Cancellare l’euro per tornare alle monete nazionali è un’operazione a rischio che creerebbe tensioni economiche per una fase di transizione che non si sa immaginare quanto lunga. Davvero si pensa che i “sovranisti” dei paesi del Nord, tedeschi in testa, vorrebbero mettere a rischio le loro economie per consentire all’Italia di avere la soddisfazione di un ritorno generalizzato alle valute nazionali? E i paesi dell’Est che dalla UE ricevono ottimi sussidi vi rinunceranno per sventolare la bandiera antieuropea?
Sono domande banali che peraltro hanno risposte piuttosto scontate. Una UE con un diverso equilibrio politico dominante è possibile, ma si tratterà in quel caso di una situazione in cui si aprirà un’aspra battaglia per il controllo dei poteri e delle risorse di Bruxelles da parte dei nuovi vincitori, piuttosto che un virtuoso percorso di riforma degli organismi comunitari. Sarebbe una situazione in cui l’Italia non si troverebbe bene, perché indebolita da una situazione economica più che complicata e da una classe dirigente non esattamente di prima grandezza.
Certo si può ridurre tutto ad una strategia elettorale con cui Salvini e Di Maio raccolgono nuovi e rinnovati consensi inventandosi un nemico che è poi facile dare in pasto ad una opinione pubblica che non va per il sottile nel dare a qualche “diavolo” le responsabilità per infelice situazione attuale. Si tratta però di una strategia che ha il fiato corto perché, ammesso e non concesso che davvero funzioni per raccogliere più voti, la UE sarà in campo anche dopo le elezioni del prossimo maggio e con quella bisognerà fare i conti essendo impossibile che venga smantellata su due piedi. E allora si pensa che la nuova commissione, comunque composta, sarà disponibile a lasciarci creare squilibrio economico che poi ricadrà sui nostri partner che quella commissione avranno messo in piedi?
Purtroppo le opposizioni che giustamente criticano l’avventurismo antieuropeo della maggioranza non sono capaci di mettere in campo una credibile strategia alternativa. I sogni del grande fronte da Macron a Tsipras non tengono in alcun conto il fatto banale che quelli sono a modo loro altrettanto “sovranisti” dei Salvini, Le Pen e compagni: si battono per mantenere un certo sistema di potere europeo che li avvantaggia non per promuovere qualche sogno di Europa alla Spinelli. Nessuno di loro ha alle spalle un paese così solido e coeso da consentire grandi fughe in avanti: la crisi ha squassato tutti i sistemi politici delle nazioni europee e i rispettivi leader di questo devono tenere conto.
Attualmente per quel che si capisce (la politica a livello di UE è un gioco per iniziati) si sta cercando piuttosto di posizionarsi per occupare le caselle interessanti e di potere: dalla Banca Centrale Europea, alla presidenza della Commissione, a quella della Unione e via elencando. In questo che corre il forte rischio di diventare un gioco al massacro le alleanze non si intrecciano sulla base della condivisione di qualche slogan, di destra, centro o sinistra che sia. Ci vogliono nuclei dirigenti nazionali forti ed autorevoli con alle spalle sistemi solidi che possano scambiarsi garanzie su interessi reciproci.
Qui l’Italia appare piuttosto debole. Se si eccettua Salvini, che, al di là della valutazione che se ne voglia dare, è riuscito a garantirsi uno spazio di grande visibilità (grazie, va detto, alla attiva collaborazione dei suoi avversari internazionali), le altre espressioni delle attuali nuove classi dirigenti italiane non sono esattamente modelli di autorevolezza e credibilità. A complicare le cose sta il fatto che avendo l’attuale governo lavorato molto per scassare la tenuta del nostro sistema non si dispone neppure di un retroterra che possa fare da supporto alle ambizioni italiane.
E’ uno scenario che dovrebbe far riflettere anche se non sarà così. Quando è l’ora del confronto demagogico finisce che non c’è spazio per niente altro.