Scuola e dintorni: educazione a 360°
Intervista di Michele Iscra a Francesco Provinciali

Francesco Provinciali, che da qualche tempo collabora a Mente Politica, ha pubblicato un libro di riflessioni sullo stato attuale della scuola. L’autore ha alle spalle una lunga carriera “fra i banchi”: prima come docente, poi come direttore didattico, infine come ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione. I suoi rapporti con il mondo dei giovani non si sono però interrotti con il suo pensionamento, perché continuano nel prezioso e difficile lavoro che svolge come giudice onorario presso il Tribunale dei minori di Milano.
Il volume, di cui a lato riproduciamo la copertina, ha una interessante prefazione di Giuseppe De Rita, che ne sottolinea il valore e l’utilità in questo tempo di turbolenze e di disorientamenti nel mondo della scuola. Abbiamo dunque chiesto a Francesco Provinciali di rispondere ad alcune domande in merito agli obiettivi che si è posto con questo lavoro.
Dott.Provinciali, c’è qualcosa di autobiografico in SCUOLA e DINTORNI?
Credo che ciascuno di noi conservi un ricordo “buono” della sua esperienza scolastica: gli insegnanti, i compagni, le cose apprese. Unisco a questo l’esperienza professionale vissuta che mi consente alcune valutazioni, avendo fatto parte di quel mondo come scolaro, insegnante, direttore didattico e ispettore.
Che messaggio vuole dunque comunicare con il suo libro sulla scuola?
C’è una bellissima definizione di Cesare Scurati, che fu collega e noto pedagogista: “La scuola è il posto di lavoro dove si intrecciano relazioni umane”. A questo mi sono sempre ispirato perché la scuola è luogo di apprendimento, conoscenze, dialogo, riflessione. Ricordo che mio padre – insegnante – mi diceva sempre che per un alunno il primo passo negli studi consisteva nell’andare a scuola volentieri. Il resto sarebbe venuto da sé.
Perché ha scelto il titolo “Scuola e dintorni”?
Un tempo la scuola gestiva – anche senza volerlo- una sorta di monopolio educativo. Oggi sono subentrate altre agenzie formative, ci sono nuovi alfabeti e saperi, l’ingresso a scuola delle tecnologie sta cambiando modi e tempi di apprendimento. Bisogna prendere atto di questa realtà, anche se non sempre conduce a risultati positivi.
Quali sono i pericoli potenziali di queste innovazioni metodologiche e di contenuto?
Il timore è che la scuola da sola non riesca a governare il cambiamento, servono alleanze leali, specie con le famiglie. Gli insegnanti hanno bisogno di serenità, fiducia, in genere sanno fare il loro mestiere. Ma non tutto quello che entra a scuola è positivo, i processi educativi vanno gestiti con sapienza e lungimiranza.
Ho notato un’esponenziale crescita della burocrazia: troppe circolari, troppe riunioni inutili, troppi progetti effimeri, persino troppa autoreferenzialità. Se vogliamo che la scuola incida nell’educazione dei ragazzi dobbiamo rimettere al centro la figura del docente, nella sua classe, coi suoi alunni. Il resto è corollario: può essere utile ma solo se supporta l’insegnamento.
Cosa manca alla scuola di oggi?
E’ utile distinguere tra educazione e istruzione. La prima è un processo formativo globale, che prepara alla vita. Un tempo si parlava di “buona educazione”. L’istruzione consiste in una formazione finalizzata all’apprendimento della cultura trasmessa e rielaborata. Io trovo che sarebbe utile che la scuola sapesse realizzare una buona “educazione sentimentale”. Quella che riguarda la persona, i valori, le regole, la formazione integrale del ragazzo anche in rapporto alla vita e al prossimo. Il mio insegnante tipico-ideale è quello che sa suscitare il “gusto” di imparare, che dà motivazioni: penso al Prof. Keating nel film “L’attimo fuggente”. “Capitano, mio capitano!”
Quanto incidono le nuove tecnologie negli apprendimenti?
Un tempo scienza e tecnica erano “neutri”, si usavano per uno scopo. Ora stanno diventando preponderanti. Ci sono bambini che vanno alla scuola primaria con lo smartphone, ci sono ragazzi che lo usano in classe e non sempre per imparare. In Finlandia è stato abolito il corsivo per apprendere a scrivere per sostituirlo con il tablet: io credo che sia un errore perché usare la penna permette di esprimere attraverso la scrittura una propria personalità. Infatti stanno ‘fiorendo’ i corsi di bella calligrafia. In Francia è stato reintrodotto il “dettato” come materia obbligatoria, in Gran Bretagna altrettanto per le tabelline fino a quella del 12. Insomma ci sono diversi approcci: io credo che valga il detto antico: “in medio stat virtus”.
Si legge che smartphone e tablet modifichino anche i comportamenti e gli stili di vita.
È così, a scuola e altrove. Lo smartphone è un mezzo e come tale va usato, non un fine. La mente umana non potrà mai essere sostituita dalla tecnologia. Ricordo Rita Levi Montalcini: “l’immaginazione è più importante della scienza codificata”. E anche Einstein: “La fantasia è più importante della conoscenza”.
E poi ci sono usi distorti dei cellulari: lo noto ascoltando i ragazzi nella mia esperienza di giudice onorario al tribunale per i minori di Milano. Spesso gli atti di bullismo sono favoriti da un uso distorto degli smartphone, fino al vero e proprio cyberbullismo.
Che scuola sogna?
Una scuola che formi persone, dove trovino spazio le regole, i valori, i sentimenti, l’apprendimento del silenzio e della riflessione come vie necessarie alla formazione del pensiero critico.
Dove lo studio sia un diritto ma anche un dovere. E dove non venga mai meno il rispetto per l’istituzione e i suoi insegnanti.
Il libro è “no-profit: i proventi delle vendite verranno devoluti per l’assistenza ai bambini autistici. Per acquistarlo in versione CARTACEA consultare questo link:
* Studioso di storia contemporanea
di Paolo Pombeni
di Bruno Settembrini *
di Michele Iscra *