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Scenari in movimento?

Paolo Pombeni - 06.09.2017
Di Maio e Salvini a Cernobbio

All’avvio della ripresa autunnale gli scenari entro cui si muove la politica italiana sembrano piuttosto diversi da quelli che avevano contraddistinto la precedente fase dell’anno in corso. E’ vero che le incognite internazionali sono di difficile lettura, perché dove ci porterà la crisi innescata dalla Corea del Nord non è al momento prevedibile, e non si tratta di una variabile di poco conto. Poi c’è la situazione all’interno della UE che si rimetterà in moto dopo il risultato delle elezioni tedesche il 24 settembre: non si tratta solo di registrare la probabile vittoria della Merkel, ma di vedere, e ci vorrà qualche tempo, con quale coalizione governerà il suo quarto mandato, perché da ciò dipendono gli andamenti della sua politica europea.

Tradizionalmente però le nostre forze politiche non incentrano i propri interessi su questi temi, ma si arrovellano sugli equilibri possibili per la gestione del governo di casa nostra. Normale, almeno in parte, in una fase ormai sempre più pre-elettorale con le classi dirigenti del paese che si interrogano su chi sarà il futuro reggitore delle politiche del prossimo esecutivo. E qui non è solo questione dei nomi dei possibili futuri premier, ma anche di quale potere essi potranno avere rispetto alle maggioranze che li dovranno sostenere.

Ora la mutazione di clima è sensibile. Se fino a prima dell’estate prevaleva una visione negativa del futuro (scarsa crescita, difficilissima gestione della situazione migranti, ecc.), oggi il trend sembra invertirsi. L’economia cresce più del previsto, anche se è bene non eccedere in euforia, sul governo delle migrazioni si sono fatti notevoli passi avanti (salvo future inversioni di tendenza), stiamo riguadagnando posizioni al tavolo europeo. Dunque la propaganda sfascista delle opposizioni di destra e di sinistra perde mordente, anche se è bene ricordare che fenomeni come il populismo sono percorsi carsici che si inabissano e rispuntano senza troppi problemi.

Curiosamente il governo in carica gode di un buon momento, mentre questo non vale per la maggioranza che lo sostiene. Dipende dal fatto che quello di Gentiloni viene sempre più fatto passare per una sorta di esecutivo atipico: non lo si può definire “tecnico” perché è fatto di politici, non è formalmente un “governo del Presidente” non essendo generato dal Colle e mantenendo il Quirinale un atteggiamento il più possibile distaccato per quanto al tempo stesso solidale. Certamente però non è un governo appieno politico, perché il partito di maggioranza che lo sostiene, cioè il PD, non si capisce se lo consideri fino in fondo un pezzo della sua strategia di lungo periodo o solo una soluzione di transizione in attesa di altro.

La questione non è affatto secondaria, perché incide direttamente sulla gestione della prossima campagna elettorale. In astratto con i buoni risultati che si stanno ottenendo è il governo in carica che dovrebbe presentarsi per la riconferma agli elettori (ovviamente non in blocco, ma nei suoi ministri chiave e con maggiore caratura). Questo avviene normalmente nei sistemi costituzionali per così dire classici. In concreto invece la situazione non è “normale”, perché a capo di questo governo non c’è, come appunto dovrebbe essere nei sistemi classici, il leader del partito di maggioranza, ma un politico che in quel partito non ha personalmente né ruolo, né peso. In più lo statuto del PD prevede che il candidato premier alle elezioni sia il segretario del partito, cioè il suo leader, e anche questo rientrerebbe in astratto nello schema della normalità politica del costituzionalismo occidentale.

Non sappiamo ancora come si scioglierà questo ingorgo, con un PD assai poco coeso, ma soprattutto in difficoltà nel trovare supporto nelle classi dirigenti del paese, le quali, lo si vede da tanti segnali, stanno prendendo in considerazione di adattarsi a tutti i possibili scenari futuri, inclusi quelli più problematici come un governo a guida Cinque Stelle o Lega. Le due forze hanno ovviamente fiutato il vento e giocano spregiudicatamente su tutti i tavoli. Di Maio e Salvini vanno dagli imprenditori a Cernobbio a presentarsi come responsabili e fanno intendere che fra propaganda ed azione di governo ci saranno non poche differenze. Però la Lega in Veneto fa passare una legge demente sulla questione dei vaccini per compiacere l’antiscentismo dilagante in quote purtroppo non piccole della popolazione e M5S ha una politica arrembante in molti contesti, per non  parlare di quel che scrive e lascia scrivere sul blog di Grillo.

La situazione insomma se si schiarisce sul fronte della crisi economico-sociale rimane confusa su quello politico e della pubblica opinione. Soprattutto non si tiene conto che la registrazione dei cambiamenti sul primo fronte non è immediata da parte dell’opinione pubblica e che dunque sono duri a morire i pregiudizi su una Italia in sfacelo che ha bisogno solo di azzerare tutto.

Se questo favorisce le opposizioni di destra e i Cinque Stelle, ormai in competizione fra loro, dovrebbe costringere il riformismo italiano (ammesso che esita ancora) a stringere una alleanza forte per il rilancio del paese. E’ ciò che dovrebbe fare il PD uscendo dall’orizzonte delle sue diatribe interne e mandando al diavolo una estrema sinistra che incupita nei suoi ideologismi non riesce a cogliere il cambiamento dei tempi. Renzi ha il problema di ricostruire quella alleanza delle forze riformatrici garantendo che non si tratta semplicemente di far vincere le elezioni al suo partito, ma di varare una intesa necessaria per un salto di qualità nel riassetto del paese da molti punti di vista.

Una impresa tutt’altro che semplice.