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Scelte fiscali coraggiose

Gianpaolo Rossini - 15.04.2020
Paradisi fiscali

Ci sono scelte fiscali e finanziarie da considerare in condizioni emergenziali e che non necessitano di negoziazioni a livello europeo. Ma occorre battere terreni nuovi senza paura, come fece il Governo degli Stati Uniti durante la Grande Depressione negli anni 30 del secolo scorso.

Il primo è quello della residenza in paradisi fiscali di imprese italiane. Miliardi di gettito ogni anno finiscono in Olanda, Lussemburgo, Inghilterra, Austria, Slovenia e altri paesi i quali ci fanno una concorrenza fiscale che a volte somiglia a grassazione. Uno studio del 2018 di Fatica e Gregori, ricercatori della Commissione Ue, evidenzia cospicua elusione fiscale nelle sedi in Lussemburgo e altri “paradisi” di banche italiane, tedesche e di altri nazionalità. Il fenomeno non riguarda  solo gli istituti di credito ma tutti i settori produttivi con cifre poderose. Cosa fare? Una via d’uscita potrebbe essere l’offerta a tutte le aziende italiane con sede legale all’estero le medesime condizioni del paese ospitante per un periodo di 5 anni in Italia. Alla fine dei 5 anni le imprese rientrate sarebbero assoggettate allo stesso regime fiscale delle imprese italiane con la possibilità di accordi specifici legati a piani di sviluppo e di investimenti in Italia. Per le imprese che non accettassero questa offerta di sanatoria l’agenzia delle entrate dovrebbe iniziare indagini accurate per accertare la quota di fatturato prodotto su suolo italiano onde tassarlo in maniera coerente con le regole italiane. Per le multinazionali che operano con filiali legalmente autonome in più aree particolare attenzione andrebbe dedicata ai prezzi di trasferimento (transfer price). Un impegno da rafforzare e che già oggi l’Agenzia delle Entrate si è assunta contro la pratica di gonfiare il prezzo di un bene o servizio prodotto da una filiale in paese a bassa tassazione e “venduto” ad un'altra filiale in paese a tassazione più alta. Una mossa che sposta profitti eludendo la tassazione dello stato più severo nel quale spesso la filiale della multinazionale mostra scarsi utili o perfino perdite.

Il secondo terreno da percorrere è quello del recupero di risorse finanziarie di italiani congelate a volte anche in forme bizzarre. Il Mef ha in cantiere titoli di stato più appetibili per spingere i risparmiatori a detenere una maggiore quota di Bot e BTP nei loro portafogli. Con una pubblicità convincente i risultati non mancheranno. Ma non basta. Occorre qualcosa di più coraggioso che faccia concorrenza vera ai paradisi fiscali. Si potrebbe allora consentire a persone e imprese di aprire conti anonimi (o cifrati secondo il linguaggio che prevale a Nord delle Alpi)  presso banche italiane e banco posta. Su questi conti dovrebbe essere consentito trasferire contante senza limiti con l’obbligo di non prelevarne quote superiori al 10% per 12 mesi. All’utente dovrebbe chiesto di investire almeno il 50% dell’ammontare depositato in titoli di debito pubblico con maturità superiore ai 3 anni smobilizzabili prima della scadenza solo pagando una penale del 5% del valore. Questi buoni emessi dal MEF dovrebbero avere tagli a partire da 1000 euro, destinati esclusivamente al sistema bancario che li cede ai titolari di conti anonimi. Dopo 5 anni il conto anonimo potrà essere trasformato in conto nominale senza incorrere in indagini fiscali.  L’Italia può adottare una tale politica in quanto emergenziale impegnandosi ad abbandonarla dopo 5 anni.  Le due misure proposte sono forti e non ortodosse. La loro temporaneità e la pesantezza della situazione possono però giustificarle.