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18 maggio 2024
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Sarà un autunno caldo?

Paolo Pombeni - 18.08.2015
Risiko Europa

Chiedersi come sarà la ripresa autunnale è il classico gioco delle previsioni di mezza estate. Agosto è per tradizione il mese dei ballon d’essai politici, fatti un po’ per conservarsi uno spazio sui media un po’ per tastare il terreno senza rischi. Quest’anno la regola è stata rispettata, con una specificità: le prove che attendono la politica italiana nella seconda fase del 2015 sono particolarmente impegnative.

La prima questione dirimente sarà infatti verificare se la ripresa economica fa dei passi avanti. Pretendere che decolli, visto il contesto internazionale, è sperare contro ogni speranza, ma dei passi avanti percepibili sono necessari. Senza questi il governo Renzi rischia molto, perché se si contrae ulteriormente il favore di cui gode (in questo momento non malvagio, al netto del peso di una fascia sempre più grande di cittadini che hanno abbandonato l’interesse per la politica) le sue capacità di resistere all’attacco concentrico di oppositori interni ed esterni diventano ridotte.

Infatti la forza attuale del premier si basa su due pilastri. Il primo è la minaccia di ricorrere ad elezioni anticipate dove ha ancora la possibilità di giocare il ruolo centrale come unica alternativa forte alle derive populiste di Salvini e di Grillo (ma senza fiducia nella ripresa economica la partita diventerebbe impervia). Il secondo, che sembrerebbe in contraddizione con questo, è la scarsa propensione dei ceti dirigenti del paese a correre l’avventura di un cambio di governo. Non che Renzi incontri favori incondizionati fra questi ceti, perché anzi le sue tentazioni a far tutto da solo sono fortemente criticate, ma le incognite che si aprirebbero con una sua caduta sono considerate pericolose proprio in vista di una possibile ripresa economica.

Dunque il premier-segretario ha ragione a far filtrare sulla stampa che lui è tranquillo e non si cura dei rumors che invadono le cronache? Messa così, si tratterebbe di una prospettiva semplicistica, non fosse altro perché non tiene conto del fatto che la politica è più irrazionale di quel che non si pensi, sicché può sempre saltar fuori un imprevisto che manda a rotoli tutti i calcoli.

La questione più spinosa nel risiko attuale rimane quella della riforma del Senato. Non è difficile capire che l’attuale classe politica teme non poco una riduzione drastica di alcune centinaia di posti. Nessuna offerta, se non il mantenimento dell’elettività diretta della seconda Camera, può salvarne almeno una parte. Se infatti si rimarrà alla prospettiva di elezioni legate alle designazioni dei consiglieri regionali (lo si faccia con elezioni interne ai consigli o con listini) l’attuale classe senatoriale avrà grandi difficoltà ad inserirsi nelle liste future. Ormai anche le rappresentanze regionali sono sistemi autonomi che rispondono a logiche diverse da quelle nazionali (e lo si è anche già visto). Dunque non stupisce che in Senato ci sia, ammantata sotto nobili argomentazioni, una maggioranza contraria all’ipotesi di decretare la prima scomparsa.

Dunque Renzi non ha chance? Anche qui la situazione è più complessa. Mandare all’aria la riforma Boschi significa sfiduciare il governo attuale e dunque aprire scenari molto incerti, incluso quello di uno scioglimento anticipato della legislatura. Anche in questo caso, fra il resto con un Senato che avrebbe una legge elettorale che non è ancora chiarissimo quale sarebbe e come funzionerebbe, la gestione e l’esito delle candidature sarebbe molto incerto.

La minoranza PD però sembra al momento irremovibile nelle sue pregiudiziali e certo se alla fine si squagliasse per paura delle conseguenze decreterebbe la propria fine e non sarebbe una fine gloriosa. Il quesito è se quella parte dell’opposizione che teme un ricorso anticipato alle urne sarà disponibile a venire in soccorso del governo. In fondo il vero calcolo del governo sembra essere questo: Berlusconi non ha interesse ad andare al voto per favorire Salvini ed uscirne ridimensionato ed un po’ dei suoi voti potrebbero essere sufficienti per riequilibrare i dissidenti PD. Non sarebbe neppure necessario che ciò avvenisse in forma ufficiale (i franchi tiratori possono esistere anche per far stare in piedi un governo avversario), ma molti in Forza Italia fanno intendere che se si deve andare su quella strada tanto varrebbe farlo con un negoziato aperto da cui guadagnare quel che è possibile.

Il fatto è che anche in questo caso si avrebbe una piccola rivoluzione parlamentare. Infatti a questo punto il tradizionale centro-destra colerebbe definitivamente a picco, perché Salvini e l’estrema destra romperebbero con Berlusconi, così come l’estrema sinistra, dentro e fuori il PD, sarebbe costretta a prendere atto della vittoria di Renzi.

Naturalmente lo scenario della sfiducia implicita al governo in carica rimane una delle possibilità in campo, ma in quel caso difficilmente ci risparmieremmo un scioglimento delle Camere ed una campagna elettorale a colpi di populismo sfrenato. I tempi sarebbero però incerti, perché la tentazione di far slittare le elezioni a primavera per farle coincidere con la tornata di amministrative sarebbe forte, ma questo comporterebbe il varo di un “governo tecnico d’affari” per gestire il paese in questo intervallo che presumibilmente sarebbe almeno di sei mesi.

Una prospettiva da brivido per chi sa immaginarsi cosa significherebbe l’individuazione di un governo di questo tipo e la sua vita nel quadro di un parlamento ancora più in subbuglio di quanto non sia oggi.