Rivedere la didattica in un’ottica interculturale
Pluralità di colori, linguaggi, sonorità, forme, ritmi, codici e fedi connotano ormai lo scenario sociale italiano: un caleidoscopio etnico che riflette identità e appartenenze i cui contorni sono sempre più sfumati per il gioco di mescolanze culturali continue nel lavoro, nel gioco, nella vita.
Anche la scuola è sempre più un crocevia di culture. La presenza di alunni non italofoni, fenomeno in crescita per l'incalzare di problemi economici, religiosi, politici e bellici, pone una sfida pedagogica, culturale e organizzativa assai stimolante ma impegnativa per i numerosi interrogativi e bisogni a cui occorre dare risposta. Il pericolo più grosso – visto che in molte scuole si toccano percentuali di bambini provenienti dall’estero superiori al 60% con una forte concentrazione in alcune classi – è quello delle cosiddette classi “ghetto”. Un fenomeno contrastato dalla maggioranza degli insegnanti, che nonostante i numeri riescono a progettare attività di accoglienza coinvolgendo al meglio la totalità degli alunni, anche se presente in alcune situazioni limite. Altrettanto rischioso – come dicevano alcuni anni fa i sociologi Pierre-André Taguieff e Michel Wieviorka – “è cadere nella “pedagogia del cous-cous” o “folklorizzare” la cultura degli allievi stranieri fino a considerare le culture altre come culture radicalmente irriducibili alla nostra,con le quali è pertanto impossibile qualsiasi relazione”.[1]
Su questi punti estremamente delicati e sul rischio di emarginazione della maggioranza dei bambini, italiani e non, occorre riflettere anche perché in molte realtà scolastiche, tra cui quella dove lavoro, la maggioranza dei bambini “chiamati stranieri” sono nati in Italia e sono in attesa del riconoscimento giuridico di una cittadinanza “dovuta”. Quindi l’azione didattica necessita di una serie di pratiche educative completamente diverse rispetto alle fasi di “emergenza”. Ed è ancor più necessario un impegno organico e un’azione strutturale capaci di sostenere l’intero percorso scolastico di tutti gli alunni, a prescindere dalle loro provenienze geografiche, che possa però crescere “cittadini” accoglienti e tolleranti in un’ottica di rispetto e valorizzazione delle lingue e delle culture d’origine. Molti dei nostri bambini parlano perfettamente l’italiano e nella maggioranza dei casi usano la lingua materna solo ed esclusivamente tra le mura domestiche. Parallelamente, nelle classi vengono inseriti bambini provenienti da paesi con difficili situazioni politiche, che parlano lingue minoritarie e necessitano di attività di prima alfabetizzazione e di un’adeguata mediazione educativa. Questo in una realtà scolastica dove le risorse economiche scarseggiano e i comuni – responsabili dei servizi di mediazione culturale – sono sempre più in affanno e continuano a ridurre il numero delle ore e degli interventi. Come dice Mariangela Giusti, “il pensiero pedagogico ha il compito di rendere visibili a tutti i bambini presenti nelle aule e, più in generale, alle giovani generazioni gli aspetti meno evidenti degli universi culturali dei compagni di classe che provengono da altrove e vivono fra noi. Rendere visibili tali universi significa conoscerli, portarli in superficie, far emergere i pensieri, i punti di vista altrui, le abitudini, gli atteggiamenti sconosciuti degli altri, di chi proviene da altrove, di cui non sappiamo quasi niente ma che abbiamo il dovere, la responsabilità di conoscere”[2].
Insegnare in classi multiculturali impone l’essere disposti a considerare il multiculturalismo – secondo l’antropologo francese Marc Augé - non tanto come “la coesistenza di culture nomadi decretate uguali in quanto a dignità”, quanto piuttosto come “la possibilità offerta di attraversare universi culturali diversi[3]” e implica molto impegno e forte determinazione.
Innanzitutto penso sia necessario avere ben chiaro il concetto di multiculturalità, capirne i possibili risvolti educativi, cercando nella didattica di evidenziarne e valorizzarne le potenzialità. Considerando quanto la totalità dei bambini possa essere arricchita da concetti interculturali che abbiano al centro la possibilità di stringere relazioni tra ogni individuo e la pluralità delle culture presenti nella classe. Questo è basilare in un paese come il nostro storicamente multiculturale e plurilingue perché nato in tempi relativamente recenti dalla fusioni di realtà molto diverse tra loro. Basti pensare al divario – anche solo apparente – tra nord e sud, alla moltitudine delle tradizioni popolari, alle diverse lingue e dialetti, alle varietà linguistiche dell’italiano e alle lingue delle minoranze culturali.
L’intercultura – in uno scenario italiano di questo tipo - gioca un ruolo fondamentale nell’approccio didattico ed educativo in quanto si presta non solo a colmare le differenze culturali ma anche a sopperire ai bisogni che via via si presentano e a valorizzare le differenze con lo scopo di ricompattare e condividere valori basati sui principi universali e sui diritti dell’infanzia e dell’uomo.
A mio avviso la scuola dovrebbe considerare l’alunno il fulcro da cui partire per il progetto didattico, ancor più se non italofono. Tutta la didattica dovrebbe essere calibrata ad hoc – quasi “cucita” – sulle conoscenze già acquisite e dovrebbe tenere presente lo sviluppo della personalità senza cancellare la cultura e l’ambiente socio-culturale d’origine. Il bambino non italofono dovrebbe essere motivato ad apprendere, non dovrebbe quindi “essere costruito” uguale a noi, ma – attraverso la valorizzazione della lingua e della cultura madre – crescere “con noi” senza sentirsi diverso.
[1] P.A. Taguieff, Il razzismo, Cortina Milano, 1999
M. Wieviorka, Il razzismo, Laterza, Milano-Bari, 2000
[2] Mariangela Giusti, La scuola e la riflessione pedagogica interculturale, in Arrivare non basta. Complessità e fatica della migrazione, a cura di Mara Tognetti Bordogna, Franco Angeli, Milano, 2007
[3] Marc Augé, Nuove identità. Multiculturalismo addio. Ora riscopriamo il ruolo dell’individuo –Tratto da Cultura e alienazione, Università di Perugia, 2007
* Insegnante di scuola primaria, sperimenta da anni il Metodo Naturale di Célestin Freinet e il plurilinguismo in una classe multiculturale, si occupa di intercultura e di narrativa dell'infanzia
di Paolo Pombeni
di Guido Samarani *
di Angela Maltoni *