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27 marzo 2024
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Rapporto OCSE: saldo negativo per l'Italia tra fuga di cervelli e nuovi ingressi

Francesco Provinciali * - 15.06.2019
Fuga di cervelli

È stato appena licenziato un Rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) che fornisce dati preoccupanti per l’Italia circa il saldo uscite/nuovi ingressi nell’area dei “talenti” potenzialmente utilizzabili nel contesto di professioni altamente qualificate.

Un saldo negativo in quanto la cd. “fuga dei cervelli” in esodo dal nostro Paese non è compensata da un equivalente trend in entrata e ciò a motivo di un evidente sbilanciamento tra le opportunità offerte all’estero per chi emigra rispetto a quel mix di fattori che potrebbero costituire per chi fa ingresso in Italia un corrispettivo e reciproco motivo di scelta prioritaria.

Il piatto pende sul versante “exit” e non ci sono contrappesi sul piatto opposto per il mix di ragioni che l’Istituto parigino analizza in un’ottica comparativa tra Paesi aderenti, dati alla mano.

Gli studi più recenti dell’Istat e del Censis sulla emigrazione culturale hanno già evidenziato per conto loro un progressivo impoverimento nelle professioni “alte” dovuto al trend crescente degli esodi dei neo laureati alla ricerca di un impiego corrispondente al livello di studi. In particolare una Ricerca ISTAT del 2018 aveva evidenziato come a fronte di una spesa complessiva del 4% del PIL per la formazione dell’intera popolazione – pari a circa 69 miliardi di euro, sia in crescita la tendenza a perdere – al termine del ciclo di studi - giovani altamente qualificati, con competenze specialistiche e skill avanzati.

In parole povere, a fronte di costi sostenuti dall’Italia per la loro formazione, i giovani talenti con un trend crescente che aumenta di anno in anno, di fatto esportano le loro competenze in Paesi strutturalmente più ricettivi e in grado di offrire opportunità lavorative più adeguate al know how raggiunto al termine del ciclo di studi. Lo stesso Censis negli ultimi due Rapporti (51° e 52°) aveva evidenziato come l’ascensore sociale fosse fermo senza prospettive di ripartenza in una situazione economica schiacciata sulla stagnazione: chiaramente ciò finisce per favorire la ricerca all’estero di posti di lavoro ad alta qualificazione.

Ebbene il Rapporto OCSE di questi giorni non solo conferma questo trend (qualcuno ha già evidenziato come il fenomeno migratorio più rilevante in Italia sia in effetti quello dei cervelli in uscita) ma aggiunge – sul piatto opposto della bilancia il dato relativo al decremento dei talenti in entrata, che potrebbe in teoria compensare sul piano economico l’esodo dei laureati a cui si aggiunge quello delle alte professioni.

Se di compensazione si può parlare ciò riguarda infatti la migrazione Sud/Nord interna al Paese: un fenomeno avviato nel dopoguerra e nonostante i vari Ministeri per il mezzogiorno avvicendatisi allo scopo di colmare sperequazioni economiche, di risorse, di offerte di lavoro, di start-up e di imprese, rimasto sostanzialmente immutato nel suo trend divergente, radicando se mai il gap esistente e le polarizzazioni.

Tutte le regioni hanno un saldo migratorio negativo di laureati italiani a livello internazionale, compreso il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna (che pure sono le Regioni che hanno avanzato richiesta di autonomia): esse – come già evidenziato - compensano i mancati ingressi di talenti dall’estero con i “guadagni” legati alla mobilità interregionale proveniente dal sud. I laureati peraltro in termini percentuali emigrano più della media degli italiani (come si evince dal citato Rapporto ISTAT 2018 e come ripreso contestualmente dal Sole 24 ore): in totale dal 2008 al 2016 ben 623.885 nostri connazionali sono espatriati.

Ma il fenomeno più allarmante riguarda i laureati e gli studenti post-universitari, le professioni ad alta specializzazione e le imprese (molte delle quali lasciano l’Italia per ragioni di imposizione fiscale e a motivo del fatto che l’welfare sociale sembra più premiante verso le fasce sociali più povere attraverso una datata deriva di politiche dei “bonus” una-tantum  piuttosto che di agevolazioni e incentivi alle imprese stesse: ciò determina una radicalizzazione delle povertà con sfumature interne diversificate mentre restano irrisolte le dinamiche orientate alla creazione di nuovi posti di lavoro).

Nello specifico si osserva che il brain drain presenta un saldo negativo sia in termini quantitativi (più uscite che ingressi) che qualitativi: si allontano sostanzialmente i “migliori” ciò che potrà determinare a lungo andare un “impoverimento globale” del sistema Italia: sotto il profilo economico in senso stretto ma anche in termini di appiattimento e di omologazione culturale.

Ciò fa il paio – come detto- con le derive raccolte ed analizzate dal Censis negli ultimi Rapporti, anche sul coté del “sentiment” e delle aspirazioni collettive: l’impoverimento economico (tangibile dal confronto tra le buste paga medie italiane e quelle di altri Paesi dell’UE, per non parlare degli USA) oltre alla perdita del potere d’acquisto innesca anche fenomeni di abbandono, sfiducia, minimizzazione dell’esistente e delle prospettive di crescita che oscillano nello spazio angusto di pochi decimali. La differenza tra meno 0,1 e più 0,1 è del tutto irrilevante sul piano formale e sostanziale: si tratta di una stagnazione che lambisce la recessione ma non accarezza prospettive di risalita. Si tratta di una sorta di vero e proprio “blocco sociale”.

Un Paese che ha un saldo negativo nella gestione dei talenti è un Paese che non decolla, forse un Paese lentamente in svendita, che perde competitività e slancio, avvitato su se stesso e soffocato da una legislazione proliferante e da una burocrazia soffocante, entrambe parenti strette di una politica autoreferenziale e incapace di prendere decisioni.

Pare estremamente preoccupante il raddoppio degli esodi tra i giovani negli ultimi anni, in crescita percentuale tra i dati complessivi degli “esodati”.

Ciò determina un saldo negativo del capitale umano ad alta specializzazione e maggiormente qualificato: è di tutta evidenza come questa migrazione di talenti finisca con l’impoverire e livellare la dotazione di risorse per la crescita, l’innovazione e la creatività. Nel tracciare la fisionomia della migrazione di talenti a livello dei Paesi aderenti all’Organizzazione,  il Rapporto OCSE tiene conto di sette variabili di valutazione in ciascun contesto: la qualità delle opportunità offerte, il regime fiscale in rapporto al reddito proposto, le prospettive globali del sistema-Paese che riceve, l’ospitalità offerta ad es. anche alla famiglia di chi vi si trasferisce, lo sviluppo infrastrutturale del Paese, l’accoglienza nei cfr. dell’immigrazione e la qualità complessiva di vita. Tali variabili sono declinate su tre target di ingressi potenziali: i lavoratori ad alta qualificazione, gli studenti universitari e gli imprenditori e le start-up. Le restrizioni agli ingressi introdotte da Trump penalizzano gli Usa a favore ad esempio di Australia, Svezia, Svizzera, Nuova Zelanda, Canada, tra le professioni altamente qualificate, settore dove l’Italia è seguita solo da Grecia, Messico e Turchia. Ciò potrebbe verificarsi anche nel Regno Unito all’esito definitivo della Brexit. Gli USA riprendono quota nella capacità di attirare imprenditori, in questa fase di crescita economica interna ed espansione del mercato del lavoro ma solo dopo Canada, Nuova Zelanda, Irlanda e Svizzera. L’Italia non è ancora fanalino di coda ma il saldo negativo talenti in uscita/talenti in entrata ci pone orientativamente sul lato opposto del diagramma, soprattutto per le “alte professioni” che sembrerebbero non trovare nel ns. Paese un incentivo professionale e sociale stimolante e in grado di produrre un effetto moltiplicatore degli ingressi.

Recupera posizioni l’Italia tra gli studenti universitari nella prospettiva di occupazione al termine degli studi (ma ciò va correlato alle citate dinamiche di crescita economica: se il Paese non riparte, una volta laureati i giovani cercheranno lavoro altrove) mentre risultano favorite USA, Canada e Australia per l’uso dell’inglese,  poi la Svizzera, la Germania e la Norvegia per le agevolazioni fiscali specie per gli studenti-lavoratori, fattispecie non consentita invece in Turchia e Cile dove non è permesso lavorare mentre si studia.

Il Rapporto sostanzialmente si ferma all’analisi di questi dati.

Ma ci sono – a latere – due variabili che occorrerà ben presto considerare partendo dal punto di vista del nostro Paese: e qui è chiamata in causa la competenza e la lungimiranza della politica.

La prima riguarda le prospettive che si vorranno dare i Paesi aderenti all’U.E. considerando l’Europa posizionata in uno scacchiere sempre più competitivo e globalizzato. La domanda è: che Europa vorremo?

La seconda variabile è centrata sulle politiche espansive della Cina: a partire dagli accordi sottoscritti, alla strategia espansiva che punta dritta al cuore del vecchio continente – orfano del sostegno degli USA, in epoca di “trumpismo” – e al “miraggio africano”, che comincia dai banchi di scuola dove la seconda lingua da studiare è il cinese, prosegue con l’urbanizzazione e continua con l’indotto lavorativo.

Il mondo si sta tingendo di giallo: questo è il vero “nuovo” che avanza.

 

 

 

 

* Ex dirigente ispettivo MIUR