Flat tax: voto di scambio n.2 e dintorni
Il reddito di cittadinanza può essere visto come una forma di voto di scambio tra il partito di governo che lo sostiene e chi beneficia del provvedimento. La flat tax, tanto cara alla Lega e ad una parte del partito di Berlusconi, appartiene alla stessa categoria di interventi. Si vuole infatti cercare un sostegno elettorale che duri nel tempo tra le categorie medio alte di contribuenti, primi beneficiari della flat tax. Un premio generalizzato per legare al partito di Salvini ceti che in parte votano Lega e che in parte volgono il loro consenso soprattutto a sinistra. La flat tax costa molto dal punto di vista del gettito e rischia di scardinare in maniera irreversibile i conti pubblici già in zona rischiosa. Non stimola la crescita perché esiste già per le imprese e per le categorie professionali autonome che sono quelle più dinamiche. E quindi non farà altro che aumentare il risparmio delle famiglie a spese del crescente disavanzo pubblico. L’unica esigenza a cui la flat tax potrebbe andare incontro è quella della semplificazione. Ma non c’è nessuna garanzia che questo avvenga perché per questo occorre eliminare o raggruppare molte imposte, come quelle locali, che la flat tax non sfiora neppure. Così come viene proposta potrebbe addirittura produrre un aumento dell’evasione fiscale soprattutto se è associata alla eliminazione di gran parte delle detrazioni fiscali, molte delle quali sono servite a far emergere reddito sommerso nei settori dell’artigianato e delle imprese di piccole dimensioni. Cancellazione delle agevolazioni fiscali e flat tax potrebbero avere un impatto fiscale veramente insostenibile per il nostro paese. Il quale ha invece bisogno di politiche intelligenti e mirate. Invece di buttare denaro indiscriminatamente per la flat tax bisognerebbe aumentare gli stipendi di medici, ingegneri e altri professionisti nel settore pubblico in modo da impedirne la fuga all’estero e favorire il rientro di tanti che hanno fatto le valigie e che sono disponibili a tornare. Ma sulla strada del ritorno o della riemersione occorre occuparsi anche di capitali, soprattutto italiani, nel Bel Paese. Per fare questo occorre catturare la fiducia dei connazionali che ne sono detentori, in Italia, in paradisi fiscali e in zone grigie. Il che potrebbe anche aiutare non poco il servizio del debito pubblico. Ci sono infatti strade che varrebbe la pena di esperire previo però avvallo delle autorità monetarie contro le quali non è il caso di muoversi pena costi altissimi per il nostro paese sul piano finanziario. Si potrebbero riservare alcune emissioni di titoli pubblici a coloro che vogliano regolarizzare fondi all’estero, nelle cassette di sicurezza o in altre stravaganti collocazioni che non possono altrimenti entrare nel circolo dei pagamenti legali se non al piccolo dettaglio. Uno schema potrebbe essere il seguente. Il tesoro emette Buoni a 1 a 2 e a 3 anni nei tagli consueti. Quelli a 3 anni li vende a 105 e dopo tre anni rimborsa al portatore 100, quindi con una tassa – non un tasso d’interesse – nominale di circa 5%. Quelli a 2 anni li vende a 110 impegnandosi al rimborso sempre di 100 alla scadenza, quelli a 1 anno li vende a 115 con rimborso a scadenza di 100. Questi titoli non dovrebbero essere cedibili prima della scadenza ma solo dati in garanzia al sistema bancario per prestiti e mutui a condizioni stabilite dalla Banca d’Italia. In tale modo si potrebbe fare emergere una buona fetta di preziose risorse congelate soprattutto in contante rendendo un po’ meno costoso il servizio del debito pubblico. E attraverso il sistema bancario si potrebbero mobilizzare risorse per investimenti. Sarebbe una piccola tassa su risorse che una normale patrimoniale non riuscirebbe mai a raggiungere, ma che, anzi, ne ingrosserebbe i ranghi.
di Luca Tentoni
di Gianpaolo Rossini
di Francesco Provinciali *