Qatar annus horribilis
Un anno può stravolgere l’immagine di un Paese. Soprattutto se questo si trova in un Medio Oriente in continua fibrillazione. È quello che è successo al Qatar, stato del Golfo che nel giugno 2013 aveva attirato i riflettori del mondo in occasione del rarissimo cambio generazionale che stava compiendo. Con la regia della moglie,
l’emiro Sheik Hamad Bin Khalifa al Thani aveva infatti annunciato di abdicare a favore di suo figlio Sheikh Tamim. Quando è uscito di scena, Sheikh Hamad si è lasciato alle spalle un impero fondato sul soft power che aveva fatto sentire la sua influenza in tutta la regione.
A quindici mesi di distanza, Sheikh Tamim sembra però aver dilapidato quasi tutto l’appeal guadagnato dal padre negli ultimi decenni.
La prima scossa che ha fatto tremare il nuovo emiro è arrivata dall’Egitto, paese sulla cui “primavera” il Qatar aveva scommesso e investito enormi energie. Basta pensare al ruolo svolto da Al-Jazeera – tv satellitare nata a Doha- durante la rivoluzione del 2011 per capire il sostegno che l’emiro ha dato a piazza Tahrir. Solo pochi giorni dopo l’insediamento di Sheikh Tamim, l’esercito egiziano ha sottratto il potere alla Fratellanza Musulmana, confinandola nuovamente alla clandestinità. Poco dopo il discorso pronunciato dall’allora generale – ora presidente - Abdel Fattah al Sisi, l’esercito egiziano è entrato negli studi di Al-Jazeera per oscurarne in diretta la messa in onda. All’ex presidente egiziano Mohammed Morsi – membro della Fratellanza arrestato dai militari - non è rimasto neanche il tempo di congratularsi ufficialmente con il nuovo emiro del Qatar, stato che durante la sua presidenza aveva mostrato grande generosità nei confronti dell’Egitto.
Sheikh Tamim non ha potuto contare neanche sugli islamisti tunisini. Temendo di fare la stessa fine dei Fratelli egiziani, i leader di Ennahda hanno deciso di cedere parte del loro potere per dare vita a un governo tecnico che ha cercato di investire nella ricerca dell’unità nazionale.
A dare il colpo di grazia agli alleati islamisti del Qatar è stato il posizionamento dell’Arabia Saudita che ha definito la Fratellanza un’organizzazione terroristica, schierandosi dalla parte dei militari egiziani. Tutto ciò ha innescato una serie di rivalità all’interno della compagine dell’Islam sunnita. Affiancati dagli Emirati Arabi Uniti e dal Bahrein, i sovrani sauditi hanno messo il Qatar con le spalle al muro. A marzo, durante una riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, Ccg, i Saud hanno minacciato di staccare una volta per tutte la spina alla “sediziosa” Al-Jazeera, chiudendo gli uffici di Riyad.
La guerra fredda intra-sunnita, conclusasi con il ritiro degli ambasciatori di Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti da Doha, è stato solo uno dei fattori che ridotto l’influenza di Doha. A rovinare l’immagine del Qatar è stato anche lo scandalo legato alla coppa del mondo 2022. Oltre alle accuse di mazzette alla Fifa, il Qatargate che ha fatto parlare di più è stato quello relativo alle condizioni dei lavoratori impiegati nella costruzione degli impianti sportivi. A sollevare il polverone è stato soprattutto il quotidiano britannico Guardian che ha pubblicato dati precisi sullo sfruttamento degli immigrati nepalesi, spesso morti sul lavoro.
L’ininfluenza del Qatar è stata quanto mai visibile durante l’ultimo conflitto tra Hamas e Israele. Messo da parte dagli altri stati del Golfo, il Qatar ha potuto coordinare i suoi sforzi negoziali solo con la Turchia. Ciononostante, non solo Doha non è riuscita a mediare alcuna tregua, ma è stata anche accusata dall’Egitto di depistare il suo tentativo di negoziazione.
Anche se lo strappo all’interno del Ccg si è ricucito - almeno formalmente - grazie a un accordo firmato a fine novembre, il Qatar continua a essere considerato la pecora nera del Golfo, un’isola che dopo essere riuscita a mettersi in mostra attraverso la rivoluzione di Al-Jazeera sta perdendo tutto il suo smalto.
Per questo, quello appena trascorso, è stato definito da molti analisti come l’anno horribilus del Qatar. Ciononostante, è ancora presto per considerare Doha fuori dai giochi regionali. In una regione attraversata da diverse crisi, tocca a Sheikh Tamim mostrare dove il Qatar, paese che ospita il quartier generale dell’Us Central Command, può fare sentire la sua influenza. Probabilmente non quella dei suoi muscoli, ma ancora una volta quella del soft power.
* Ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI), e caporedattrice di Affarinternazionali.
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