Prigionieri delle ideologie
Parlare di ideologie per preconcetti e fissazioni trasformati in slogan elettorali è senz’altro tecnicamente sbagliato. Ma di questi tempi in cui l’uso di un linguaggio appropriato è ridotto al lumicino anche quella roba lì può essere fatta passata per ideologia. Comunque la si voglia mettere resta il fatto che la politica italiana, specie quella del governo, è bloccata da un sostrato di rappresentazioni propagandistiche su cui si è costruita la raccolta del consenso elettorale. E poiché come sempre accade il consenso ottenuto a base di slogan è volatile tutti vivono nella preoccupazione che il vento cambi direzione.
L’elenco delle materie in cui le pseudo-ideologie delle varie parti paralizzano una seria presa in carico dei problemi è presto fatta. Si può cominciare da due casi eclatanti, la TAV e il Venezuela.
Sulla telenovela della alta velocità fra Torino e Lione ormai siamo alle comiche finali, con i Cinque Stelle che non sanno più cosa inventarsi per fare i bulli senza poter esibire il famoso documento sulla valutazione costi-benefici, documento che deve sempre uscire, ma non esce mai. È sempre più evidente che si tratta di quelle che a torto potrebbero essere definite questioni di principio: M5S a dire che quei soldi sono buttati e che è meglio spenderli altrove (come se fosse possibile, ma non lo è), la Lega a sostenere che le grandi opere vanno implementate perché servono allo sviluppo. Di mettersi a ragionare seriamente su cosa costi in termini politici perdere la faccia di fronte all’Europa in queste polemiche miserabili non si parla ed è questo il grave: mette a nudo una classe politica che è vittima delle sue fantasiose rappresentazioni di un mondo che non esiste.
Del resto lo si vede sul tema del Venezuela. Anche qui la politica estera è in mano a personaggi che si sono formati (si fa per dire) sugli slogan dei movimenti irrazionalistici che hanno animato la scena politica italiana per decenni: “Cuba sì e yankee no”. Va bene che non sia sempre detto che il trend dominante sia quello giusto, ma è altrettanto ridicolo pensare che sia per definizione sbagliato: se i principali paesi europei, fra loro non esattamente omogenei, si staccano da Maduro, è sensato che l’Italia faccia il bastian contrario non si sa bene in nome di cosa? Quella di favorire il dialogo fra le parti è una storiella a cui non può credere nessuno che abbia un minimo di conoscenza delle questioni.
Sin qui sembrerebbe che siano i Cinque Stelle i soli ad essere vittime del loro pseudo ideologismo, perché su quei punti la Lega mostra maggiore realismo. Su altre questioni però non è che il partito di Salvini dia prova di altrettanta capacità. Prendete la questione del governo del fenomeno migratorio, dove per ingigantire lo slogan del “fermiamo l’invasione” (che non c’è) ci si lancia in interventi che sfasciano quel poco di buono che si era fatto per cercare di gestire l’immigrazione già presente sul nostro territorio. Ancora una volta: non si tratta di essere ciechi su tante debolezze di queste operazioni, perché chi ha lucrato sull’assistenza c’è stato e via dicendo, si tratta semplicemente, come si diceva una volta con un poco di saggezza, di non buttare il bambino con l’acqua sporca. Invece no: bisogna fare gli intransigenti a prescindere, cosa che porta nell’immediato voti, ma che ci lascerà poi con problemi enormi le cui conseguenze peseranno sul nostro futuro.
Qualcosa di simile si dica sul tema delle autonomie differenziate alle regioni. Assistiamo anche qui ad una miope battaglia fra chi deve difendere in astratto una para-indipendenza di alcune regioni e chi si straccia di nuovo le vesti per un povero Mezzogiorno che verrebbe spogliato di risorse a vantaggio dei “ricchi nordisti”. Ben pochi si impegnano in un discorso serio che dovrebbe tenere conto che il Sud ha contribuito non poco con inefficienze e corruzioni ad alimentare la voglia para-secessionista di una parte del Nord, ma altresì che dovrebbe vincolare le autonomie regionali ad essere inquadrate in un discorso di solidarietà nazionale per cui le efficienze che possono derivare dalla loro maggiore capacità di governo devono poi essere usate per promuovere un equilibrio a livello nazionale.
Si potrebbe continuare nel sottolineare il blocco che questi pseudo-ideologismi producono nella politica italiana. Essi riguardano altrettanto le opposizioni, specie quelle di sinistra che sono altrettanto prigioniere dei loro idoli ereditati da una cultura passata da cui anche qui si fatica ad uscire. Sappiamo però che tutto è congelato da un susseguirsi di scadenze elettorali: questa settimana le regionali in Abruzzo, poi ci saranno quelle in Sardegna e a marzo quelle in Basilicata. Infine a maggio le Europee rese ormai mitiche dalle attese alimentate tanto dai politici quanto dal sistema mediatico.
Nell’incertezza su come si distribuiranno i consensi ogni parte spinge l’acceleratore sul bullismo pseudo-identitario. La contesa riguarda soprattutto M5S e Lega, preoccupati, i primi di vedere confermato un calo significativo di consensi, i secondi di non confermare pienamente una crescita strepitosa che li ponga al centro della ricostruzione dei futuri equilibri politici.
A tutti andrebbe ricordato che le vittorie elettorali non servono a nulla se poi non si è in grado di affrontare davvero i problemi di un Paese come il nostro che non naviga in acque tranquille. Sappiamo però che sono prediche inutili: sono state fatte anche alle maggioranze e opposizioni della prima e della seconda repubblica senza produrre effetti apprezzabili.
di Paolo Pombeni
di Nicola Melloni *
di Francesco Provinciali *