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Presunto innocente

Stefano Zan * - 23.10.2019
Contribuenti onesti

L’idea che i contribuenti italiani si dividano nettamente in due grandi categorie, i contribuenti onesti e gli evasori, è palesemente infondata, così come è infondata l’idea che colpendo (solo) i grandi evasori avremmo risolto tutti i problemi. Non esistono infatti, o sono davvero un numero ridottissimo, i contribuenti onesti. Anche i lavoratori dipendenti e i pensionati che subiscono alla fonte le ritenute sui loro redditi e quindi non evadono in entrata diventano evasori in uscita ogni volta che pagano in nero una qualsiasi prestazione. Infatti la prestazione in nero è sempre il frutto di una complicità tra il fornitore e il cliente. Una prestazione diciamo a titolo di esempio di 1.000 euro prevede che il cliente paghi l’IVA (normalmente al 22%) e il fornitore paghi l’Irpef sul reddito percepito (diciamo, in media, circa il 30%). Allo Stato andrebbero dunque circa 500 euro. Pagando in nero il cliente diventa automaticamente evasore IVA mentre il fornitore (che l’IVA la scaricherebbe) diventa evasore Irpef. La perdita per lo Stato è ingente su ogni prestazione in nero.

Basta fare un elenco approssimativo delle prestazioni che spesso sono pagate in nero per avere una idea di cosa parliamo: bar, ristoranti, taxi, artigiani, commercianti, professionisti, colf, badanti, case in affitto per le vacanze, ecc. Certo si tratta di cifre contenute, da pochi euro a qualche migliaio, che però riguardano un numero assai elevato di prestazioni e di persone, e, come diceva Totò, è la somma che fa il totale. In base al principio matematico che - poco per molti è uguale a molto per pochi- ci rendiamo conto che la somma della micro evasione sistematica e diffusa porta ad un risultato probabilmente non troppo diverso da quello della grande evasione. Quanti sono i contribuenti onesti in entrata che mai e poi mai pagano una prestazione in nero quando è evidente il vantaggio immediato? È certamente vero che se tutti pagassero le tasse tutti pagheremmo meno tasse. Ma è altrettanto vero che questa è una teoria. Nella pratica, anche per l’attore razionale e onesto è meglio un uovo oggi che una gallina domani visto che nel frattempo quelli che possono evadere in entrata continuano a farlo sistematicamente e visto che in molti casi la condizione del pagamento in nero è indispensabile per ottenere la prestazione. Razionalità individuale e razionalità collettiva non coincidono.

Il contribuente forzatamente onesto in entrata pagando in nero alcune prestazioni riesce ogni anno a risparmiare qualche centinaia/migliaia di euro. Il lavoratore autonomo, il professionista, il commerciante, quando può, decide individualmente quanto è giusto fatturare e dichiarare. Le norme fiscali sono un punto di riferimento che viene poi interpretato più o meno liberamente dai singoli. L’evasione fiscale quindi non è (solo) un reato di pochi ma è un costume socialmente diffuso che si fonda sulla complicità interessata dei due contraenti e riguarda in misura maggiore o minore tutti i contribuenti. Non esiste quindi la dicotomia onesti-evasori ma esiste un continuum che vede a un polo il contribuente onesto sia in entrata che in uscita (vorrei conoscerlo) e all’altro polo l’evasore totale. In mezzo la stragrande maggioranza dei cittadini, in qualche modo, poco o molto evade. Ovviamente le prestazioni al nero si pagano in contanti che, per definizione, non sono tracciabili e la corresponsabilità nell’evasione impedisce che questi comportamenti vengano denunciati perché il cliente dovrebbe ammettere la sua colpevole complicità.

Il risultato di tutto questo è che la lotta all’evasione è tecnicamente difficile e socialmente poco pagante perché una parte consistente degli elettori evade regolarmente e non ama particolarmente i partiti e i governi che vogliono contrastare davvero l’evasione. E su questo molte lobby sono particolarmente attive nel sostenere le nobili ragioni dei loro associati.

In realtà con le tecnologie già oggi disponibili (le nuove carte e i nuovi pos, gli smartphone, l’home banking anche dal cellulare) sarebbe possibile fare a meno del contante per pagare quasi tutte le transazioni, anche quelle di basso importo. Il problema è solo quello delle commissioni bancarie, ma per l’utente sarebbe molto più semplice girare solo con una carta e un telefonino senza dover prelevare soldi, contarli, aspettare il resto, controllarlo, ecc. Sono davvero sorprendenti coloro che pagano in contanti prestazioni regolarmente fatturate anche di un certo importo. O sono sprovveduti e ignorano le nuove tecnologie oppure hanno del nero da smaltire.

Ma il contante è ancora indispensabile per: pagamenti di prestazioni in nero, pagamenti di pizzi e mazzette, comprare droghe, andare a puttane (che anche volendo non possono fatturare), giocare d’azzardo, lasciare mance, fare la carità. Oppure servono alle mitiche “vecchiette” che non hanno dimestichezza con le nuove tecnologie per fare la spesa.

Una concezione meno manichea (buoni vs. cattivi) del problema dell’evasione e la consapevolezza di quanto sia socialmente radicata potrebbe aiutare a capire in che modo e con quali strumenti sia possibile contrastarla, sempre ammesso (e non sempre concesso) che esista davvero la volontà politica di farlo.

 

 

 

 

* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni. Il suo blog è ww.stefanozan.it