Ultimo Aggiornamento:
07 settembre 2024
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Partiti, l'era della precarietà

Luca Tentoni - 24.03.2018
Di Maio e Salvini

Sebbene in misura ridotta rispetto al passaggio fra il 2008 e il 2013, anche le elezioni del 4 marzo scorso hanno fatto registrare una volatilità elettorale superiore al 25%. Un italiano su quattro (nella stima più prudente) ha cambiato voto rispetto alle politiche precedenti. Nel 2013 la volatilità si era attestata poco sotto il 40%. È una caratteristica tipica della Seconda Repubblica: nata dopo il terremoto elettorale del 1992 (soprattutto al Nord) e del 1994 (generalizzato ma più incisivo al Sud), l'epoca caratterizzata dallo scontro fra due (1996, 2001, 2006, 2008) o tre poli (1994, 2013, 2018) ha avuto un periodo centrale di stabilizzazione, anche se con una carsica tendenza al movimento che non è mai del tutto scomparsa. È vero: la Prima repubblica non aveva rapporti di forza del tutto cristallizzati, perché la Dc ha oscillato fra il 35,2% del 1946 e il 48,5% del 1948, per scendere al 40,1% nel 1953, risalire al 42,4% nel 1958, per poi finalmente assestarsi sul 38-39% nel periodo 1963-1979; così il Pci, che nel '76 è passato dal 27,2% al 34,4% e nel '79 è ridisceso al 30,4%. Quel che però sembrava eccezionale e strabiliante nei primi quarantacinque anni di Repubblica è diventato ordinaria amministrazione dal 1992 in poi. Prima ci fu un crollo della Dc (dal 34,3% al 29,7%) nell'anno in cui la Lega salì dallo 0,5% all'8,7% (1992). Poi, però, quella abitudine "sedentaria" dell'elettore medio si è trasformata in una mobilità che prima (fino al 2008) è restata nei recinti dei due poli maggiori e che poi (negli anni Dieci) è diventata un vortice. Si può dire che anche per i partiti sia ormai lontana l'epoca del "contratto a tempo indeterminato", che legava idealmente a vita l'elettore fedele al suo partito. L'era della precarietà ha colpito non solo la società e il lavoro ma anche le forze politiche. Nelle "tranquille" elezioni del 1996, per esempio, Alleanza nazionale guadagnò in un sol colpo il 2,1% rispetto al 1994: un progresso inferiore a quello della Lega nel 1992, ma superiore rispetto a tutti quelli degli anni Ottanta (pari solo al +2,1% del Pri 1983). Nel 2001, però, An perse il 3,6% tornando a quota 12. Il tutto, perché nel centrodestra c'è sempre stata una notevole osmosi fra i partiti. Forza Italia, che nel 1994-1996 aveva avuto circa il 21%, si ritrovò nel 2001 al 29,4%, per poi crollare nel 2006 (dopo il tonfo alle regionali dell'anno prima) al 23,7%. La Lega, poi, è il partito che ha visto i suoi consensi oscillare in modo più marcato rispetto agli altri partiti: dallo 0,5% all'8,7% nel 1992, arriva al 10,1% nel 1996 ma crolla al 3,9% nel 2001, per risalire vertiginosamente all'8,3% del 2008 (politiche) e al 10,2% delle europee 2009, salvo ripiombare nel 2013 al 4,1% (risalendo un po' nel 2014 - 6,2%) prima del balzo del 2018 (17,3%). A sinistra il fenomeno è stato meno eclatante, ma non si può non rammentare il crollo dell’area comunista (dall'8,2% del 2006 al 3,1% della Sinistra Arcobaleno) e l'altalena dell'Italia dei valori: dal 3,9% del 2001 al 2,3% del 2006, per arrivare al 4,4% (2008), salire all'8% (europee 2009) e scomparire addirittura dalle schede elettorali nel 2013. C'è poi il caso dei partiti centristi, che con Monti raggiungono nel 2013 un 10,7% inferiore solo al dato di Ppi e Patto Segni del 1994, ma che nel 2018 si dissolvono nei due poli (dove, peraltro, la Civica popolare-Lorenzin ha avuto lo 0,5% e Noi con l'Italia l'1,3%). In un'epoca nella quale nessun polo ha mai vinto le elezioni per due volte di seguito (hanno prevalso, nell'ordine: centrodestra 1994; centrosinistra 1996; centrodestra 2001; centrosinistra 2006; centrodestra 2008; centrosinistra 2013, ma solo alla Camera; centrodestra 2018, col primato per numero di voti, senza però avere la maggioranza dei seggi) il colpo di grazia ad un sistema "liquido" lo ha dato l'ingresso del M5S. I Cinquestelle hanno anch'essi subito fortissime oscillazioni: dal 25,5% del 2013 al 21,2% dell'anno successivo (europee) fino al 32,7% del 4 marzo scorso. Così il Pd, passato dal 33,2% del 2008 al 26,1% delle europee 2009, al 25,4% delle politiche 2013, poi salito al 40,8% nel 2014 (europee) e precipitato al 18,7% nel 2018. E Forza Italia, già Pdl, che nel 2008 aveva il 37,3% dei voti ma nel 2013 solo il 21,5%, nel 2014 (europee) il 16,8% e adesso appena il 14%. Anche l'astensione non è riuscita a mantenersi stabile, ma - tranne la sostanziale "pausa" fra il 2006 e il 2008 - è passata dal 13,9% del 1994 al 27,1% del 2018 (con schede bianche e nulle: dal 19,9% al 29,5%). Alcuni hanno affermato - azzardando - che il 4 marzo è nata la Terza Repubblica. In realtà si è semplicemente confermata la tendenza alla "fedeltà precaria" emersa durante gli anni Novanta e Duemila, diventata sempre più forte dal 2008-2009 in poi (non a caso, come si diceva, nel decennio della crisi economica e sociale che ha travolto il Paese). In una logica di breve respiro, prevale nettamente chi sembra dare una risposta più convincente. Ma si tratta di una fiducia a tempo, revocabile alla prima occasione. Senza più roccaforti e rendite di posizione, tutto è sempre in gioco. Il Pdl 2008 prima e il Pd 2014 poi lo hanno scoperto a proprie spese. Ora la sfida riguarda Lega (+10,2% rispetto al 2013) e M5S (+7,2%).