Non disprezzo né sufficienza, ma argomenti ragionevoli contro i Cinque stelle

Quasi non passa giorno di questa campagna elettorale senza che si ironizzi sugli svarioni lessicali, gli errori sintattici e grammaticali, l’ignoranza in materia di storia e geografia del candidato premier del Movimento 5stelle Luigi Di Maio. Si capisce il richiamo giornalistico che questi errori esercitano, si capisce anche che gli avversari del movimento siano irresistibilmente portati non solo a sottolinearli ma a rimarcarli come prova della inadeguatezza del personale politico grillino. Pure, non credo che mettere l’accento su questi aspetti sia produttivo dal punto di vista elettorale. In altre parole, anche se Di Maio ed altri esponenti pentastellati inanellassero da adesso fino al 4 marzo un numero di strafalcioni ancora più consistente di quelli accumulati finora, questo non avrà conseguenze negative sul risultato elettorale del movimento; forse, anzi, ne aumenterà i consensi. Cerchiamo di capire perché.
Anzitutto va considerato quello che possiamo definire l’effetto Mike Bongiorno. In un articolo pubblicato più di cinquanta anni addietro, intitolato appunto Fenomenologia di Mike Bongiorno, Umberto Eco rilevava che il successo del presentatore televisivo dipendeva anche dalla sua apparente inadeguatezza. La esibita modestia intellettuale, le gaffes ingenue sviluppavano nei telespettatori un senso di superiorità che favoriva il gradimento di Bongiorno. Nel nostro caso la modestia è più reale che esibita ma l’effetto è del tutto simile. A rafforzare questa deriva si aggiunge poi ciò che possiamo definire la pulsione anti casta. Se è passata nel senso comune l’idea che quello del politico sia un mestiere disprezzabile, o forse inutile, non c’è da stupirsi che molti cittadini ritengano normale eleggere un incompetente dichiarato nella convinzione, al tempo stesso rancorosa e superficiale, che non potrà fare peggio chi lo ha preceduto.
Non va, ovviamente, dimenticato che a far da collante ultimo a tali pulsioni c’è la lunga crisi economica da cui l’Italia è uscita in modo assai più incerto e lento di altri paesi. Il fatto che il PIL sia finalmente tornato al segno positivo non trova riscontro nel vissuto di gran parte degli elettori, che non si sentono per nulla rassicurati dalle notizie sulla ripresa, anzi ne diffidano perché non vedono migliorata la propria situazione.
In altre parole, pensare di contrastare l’onda di risentimento che sostiene il consenso ai pentastellati con la presunzione di superiorità culturale è illusorio; quella che si manifesta è una rivolta contro le élite, in un simile clima anche le sgrammaticature vengono percepite come un aspetto positivo.
Più utile, forse, può risultare mettere l’accento sulla debolezza e la pericolosità delle proposte politiche pentastellate. Fra i punti qualificanti del programma elettorale di Di Maio e soci c’è la richiesta di cancellare la riforma Fornero, cioè l’unica riforma strutturale che abbiamo fatto negli ultimi decenni per contenere la spesa pubblica e per evitare che il costo del debito ricada sulle prossime generazioni. È stato calcolato che la cancellazione della Fornero costerebbe centoquaranta miliardi solo nel primo anno. Anche un altro cavallo di battaglia del movimento, il reddito di cittadinanza, avrebbe costi assai elevati con un effetto depressivo sulla nostra economia. Peraltro le coperture proposte per questa proposta fanno capire la scarsa affidabilità del movimento sul piano della collocazione internazionale dell’Italia. Per coprire la spese del reddito di cittadinanza i pentastellati propongono di ridurre la spesa militare per oltre quattro miliardi. In un mondo non più bipolare, con l’Unione europea che non si è dotata, e non si doterà a breve, di una politica estera comune, le spese militari non sono un lusso o uno spreco ma una necessità non eludibile per il nostro paese. In questa campagna elettorale più che mai occorre appellarsi alla ragionevolezza e non cedere alla tentazione della presunta superiorità intellettuale.
* Insegna presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Federico II di Napoli
di Gianpaolo Rossini
di Maurizio Griffo *
di Paolo Costa *