L'Italia del 12 dicembre
Il secondo dopoguerra, l'epoca della ricostruzione e del miracolo economico, della Repubblica e del ritorno alla democrazia, nasce con la Liberazione e forse comincia a morire, il 12 dicembre 1969, con le bombe di Milano e Roma. L'Italia che si avvia alla fine di un decennio insieme straordinario e tormentato, che ha visto gli equilibri politici permettere la nascita del centrosinistra (e poi vederlo sfiorire, già dopo i giorni del "rumore di sciabole") e che sta per produrre i frutti di una straordinaria stagione riformatrice (le leggi su referendum, divorzio, statuto dei lavoratori, attuazione regionale che arriveranno nel 1970) è, in quei giorni che si avvicinano all'ultimo Natale degli anni Sessanta, incerta e inquieta. Come ricorda Paolo Morando nel suo "Prima di piazza Fontana" (Laterza, 2019), il 25 aprile era esplosa una bomba nello stand della Fiat alla Fiera campionaria di Milano. In quell'anno si erano verificate decine di attentati non cruenti, in uno stillicidio che non lasciava presagire nulla di positivo, ma che nell'opinione pubblica non sembrava neppure preludere alla strage del 12 dicembre. Eppure, appena sei giorni prima, il giornale inglese "The Guardian" aveva ipotizzato il realizzarsi di una "soluzione greca" in Italia (ad Atene si era insediato, con un colpo di Stato, il regime "dei colonnelli"); lo stesso quotidiano, il 14, definirà gli attentati di Milano e Roma come frutto della "strategia della tensione". Le voci di golpe, che già nel 1969 si diffondono, si faranno più intense nei cinque anni successivi, durante i quali - in effetti - qualche tentativo di sovvertire l'ordine repubblicano sarà esperito, senza successo (per limiti strutturali o a causa di qualche telefonata provvidenziale dell'ultimo minuto). Sta di fatto che il Paese del 12 dicembre, nonostante le vicende che lo hanno messo alla prova negli ultimi due anni (la contestazione giovanile, le proteste sindacali per i rinnovi contrattuali, gli scontri di piazza) non ha ancora perso la sua innocenza, la sua fiduciosa speranza in un domani migliore. Milioni di telespettatori attendono di assistere alle fasi finali di Canzonissima, programmate per i sabati successivi, con la lotta fra Massimo Ranieri e Gianni Morandi (che, per un tragico destino, cantano rispettivamente "Se bruciasse la città" e "Ma chi se ne importa"). Alle 16,37 del 12 dicembre, tuttavia, una potente esplosione devasta la sede della banca dell'Agricoltura, in piazza Fontana, a Milano, provocando diciassette morti e 88 feriti. Si parla, in un primo momento, dello scoppio di una caldaia, ma la realtà è molto diversa. Quel pomeriggio (come narra Mirco Dondi nel suo: "12 dicembre 1969”, Laterza 2018) è in atto un'offensiva contro la democrazia repubblicana: nel giro di un'ora, si registrano altre quattro esplosioni. A Milano, per fortuna, resta inesploso l'ordigno alla Banca commerciale; a Roma restano ferite tredici persone nel sottopassaggio che collega l'entrata di via Veneto della Banca nazionale del lavoro con quella di via di San Basilio, mentre scoppiano due bombe all'Altare della Patria e all'ingresso del Museo del Risorgimento (attiguo) provocando altri quattro feriti. Nulla è casuale, ormai è evidente che l'attacco è in corso, con modalità mai sperimentate in Italia nell'ultimo quarto di secolo. Di tutto ciò che ne seguì (la falsa pista anarchica, per coprire quella ordinovista veneta, la morte di Pinelli, poi - anni dopo - quella del commissario Calabresi, i depistaggi) si sono occupati i magistrati e gli storici (questi ultimi con maggior fortuna, perché i tempi e gli inghippi processuali hanno frenato la ricerca di verità giudiziarie, ma non l'opera di giornalisti e ricercatori). La "strage di Stato", come sarà definita dal titolo di un diffusissimo libro uscito poco tempo dopo i fatti di Milano, inaugura la stagione del terrorismo italiano, in particolare di quello nero, stragista, che colpirà a Brescia e a Bologna negli anni seguenti. Ma segna una prima svolta anche per chi - su altri versanti e con altre modalità - deciderà di intraprendere la "lotta armata" (fino al rapimento e all'assassinio di Aldo Moro). Quel 12 dicembre 1969, giusto cinquanta anni fa, l'Italia si ritrova all'improvviso diversa, debole, anche un po' impaurita, sebbene la risposta dei milanesi il giorno dei funerali delle vittime di piazza Fontana sia composta, seria, decisa nella difesa della democrazia. In quelle ore, in quei giorni, si confrontano il "partito della crisi", che avrebbe voluto elezioni anticipate al più presto per attuare una svolta moderata e rendere irreversibile la chiusura della stagione di centrosinistra e l'atteggiamento di chi comprende che al ricatto delle bombe bisogna rispondere in un modo diverso. Si parla, ancora oggi, di connivenze politiche, di più o meno taciti patti di scambio fra l'abbandono dell'ipotesi elettorale anticipata e la copertura di esecutori e mandanti della strage. Su questo punto gli storici sono ancora al lavoro. Come narra lucidamente ed efficacemente Miguel Gotor nel suo "L'Italia del Novecento" (Einaudi 2019), "in un libro-intervista del 2010, Maletti è stato esplicito, aggiungendo che, rispetto alla strage di piazza Fontana, c'era in atto, in Italia, una precisa strategia" avallata a livello politico nazionale e internazionale, che "lasciò un po' fatalisticamente che le cose prendessero il loro corso; (...) una bomba che può scoppiare, rompere un po' di vetri...". Non è chiaro se gli autori degli attentati avessero dato rassicurazioni ad esponenti politici circa la natura non stragista ma solo dimostrativa delle bombe (e poi, approfittando dell'occasione e contando sulla possibile proclamazione dello stato di emergenza, abbiano fatto esplodere gli ordigni per uccidere e scatenare il caos e una reazione politica più o meno "alla greca") o se le azioni siano state compiute per gli scopi effettivamente raggiunti, nella consapevolezza piena di qualche apparato dello Stato (qualcuno, di certo, sapeva). Tutte le vicende legate al 12 dicembre 1969 e alla stagione che ne seguì sono narrate in molti volumi appena usciti o in via di pubblicazione, fra i quali "L'Italia delle stragi" (Donzelli), "La maledizione di piazza Fontana" (Guido Salvini, Chiarelettere), "Piazza Fontana" (Gianni Barbacetto, Garzanti), "La bomba" (Enrico Deaglio, Feltrinelli) oltre che in un testo di Aldo Giannuli («Storia della "Strage di Stato": la strana vicenda di un libro e di un attentato», Ponte alle Grazie). Cinquanta anni dopo, le vicende di quei giorni tornano, inquietanti, ad ammonirci, a invitarci a fare i conti col nostro passato ma anche - in certo modo - col nostro presente.
di Luca Tentoni
di Michele Amicucci *