Le spine di Renzi
Non è un finale d’anno tranquillo, né tale sarà l’inizio dell’anno nuovo per il premier Renzi. La tela che ha tessuto con sufficiente pazienza e con una certa abilità si sta sfibrando. Il numero dei suoi avversari è molto alto ed egli non sembra riuscire a coagulare ampi consensi attorno a sé: intendiamo condivisioni un minimo convinte del suo disegno, non semplici posizionamenti in vista degli schieramenti per le lotte politiche.
La gestione della vicenda della legge di stabilità non è stata un capolavoro di strategia politica. Certamente la maggior parte delle colpe ricade su una classe politica famelica, che si mette al servizio di una miriade di piccole cause marginali, non tutte necessariamente riprovevoli (molte invero, sì), ma tutte poco degne di appesantire la situazione di una finanza pubblica già allo stremo. Il risultato, con il pasticciato intervento finale del governo, è la solita legge alla moda del vestito di Arlecchino, che promette e taglia, interviene, ma lascia anche correre. I lamenti di tutte le lobby piccole e grandi sono un rito scontato, ma questa volta la cacofonia offende le orecchie del pubblico e soprattutto ci mette in difficoltà coi nostri partner internazionali.
Quel che è emerso da questa vicenda è la conferma di un parlamento poco governabile e molto dominato da tutte le spinte populiste e da tutti i protagonismi individuali che si possono immaginare. Non certo un bel viatico per la scadenza della elezione del successore di Napolitano.
Qui tutto sembra concentrarsi sul trasformare quest’evento nella verifica della tenuta di Renzi: pur di impedire la sua conferma alla leadership sembra si stia coalizzando una armata Brancaleone che però manca di qualsiasi strategia veramente dotata di una visione. Alcuni membri più responsabili della vecchia classe politica se ne stanno accorgendo. Non può essere considerato un caso se Bersani ha fatto capire che liquidare Renzi per piombare nel caos di una successione non preparata equivarrebbe al famoso caso di quello che si castra per far dispetto alla moglie. Altrettanto significativo è che Berlusconi tutto sommato non si faccia ingabbiare da quelli che gli chiedono di alzare la posta: gioca a rendersi visibile, ma questo è ovvio, però poi fa sapere che alla fine lui è per trovare un accordo.
Alfano si lascia andare ad esprimere l’esigenza che si tenga maggior conto dell’apporto del suo gruppo, ma anche lui si dichiara pronto alla mediazione. Presumibile un atteggiamento simile da parte di quel che resta delle altre forze centriste.
E allora che problema c’è? Sulla carta questo fronte è più che sufficiente sia per eleggere al Quirinale un personaggio condiviso, sia per portare in porto le due riforme strutturali che identificano il marchio dell’era Renzi: la riforma elettorale e quella del Senato.
Come si sa il diavolo si nasconde nei dettagli e qui i dettagli sono tanti. Il primo è che quell’ampio arco di forze che abbiamo descritto sulla carta è in realtà percorso da molte tensioni. Gli avversari di Renzi si dividono in due gruppi: chi vorrebbe “addomesticare” la sua forza vissuta come selvaggia e sregolata, senza però comprometterla al punto da perdere la potenza d’impatto che ha rivelato; chi invece non tollera l’idea che qualcuno possa avere, sia pure in maniera confusa, raggiunto quegli obiettivi, se non di cambiamento di messa in seria discussione degli equilibri vischiosi del paese, obiettivi che essi hanno sempre predicato, ma mai davvero toccato.
Il fatto è che le due anime, che di per sé sono in opposizione fra loro, faticano a staccarsi, soprattutto perché la prima teme di essere fagocitata dalla logica del leader se non può tenerlo sotto ricatto con i contributi della seconda. Potrebbe sembrare che questo panorama riguardi solo il PD, dove è più facile individuare le due fattispecie, ma in realtà attraversa anche Forza Italia (con qualche personaggio, a partire dallo stesso Berlusconi, che sta a corrente alternata ora da una parte, ora dall’altra) e lo stesso variopinto “centro”.
E’ questa difficoltà a formare il blocco in senso lato di governo che lascia ampi spazi di manovra tanto ai grillini quanto a Salvini e ai suoi, a cui possono di volta in volta aggregarsi le forze che da sole non contano più molto come i vendoliani.
A nostro giudizio, Renzi sta sottovalutando un poco i guasti che può provocare questo clima, pensando che contino solo i reali rapporti di forza. Che quelli siano importanti non c’è dubbio, ma il clima in politica ha una sua capacità di coinvolgere. In una società dominata ancora più di quel che non si creda dai palcoscenici della politica-spettacolo (forse non tanto nella realtà quanto nell’immaginario di gran parte della classe politica) sarà fondamentale costringere il nostro sistema parlamentare a ritrovare la sua dignità e la capacità di offrire un luogo per la costruzione delle sintesi operative di fronte alla crisi.
Non abbiamo davanti “tempi lunghi”, perché la situazione internazionale non è affatto stabile, perché l’Europa si avvia a duri confronti interni fra le sue componenti, perché il nostro paese deve ritrovare subito quel tasso di fiducia che torni a farlo scommettere sul futuro. Dunque: quanto prima, tanto meglio.
di Paolo Pombeni
di Massimiliano Trentin *
di Rigas Raftopoulos *