Le democrazie e la crisi economica (1)
Dopo aver approfondito, negli interventi dedicati al voto del 4 marzo in Italia, gli aspetti relativi alla formazione e alla distribuzione del consenso nel nostro Paese, passiamo ad occuparci di un orizzonte più vasto: le democrazie dell'Europa del Sud. In Spagna, Grecia, Portogallo e Italia la crisi economica del 2008 e il decennio convulso che l'ha accompagnata e seguita hanno prodotto trasformazioni sia nel sistema dei partiti, sia nel rapporto fra cittadini e istituzioni, sia sulla partecipazione politica. In questo breve, nuovo viaggio, articolato in due puntate, la nostra analisi sarà agevolata dalla lettura di due volumi appena usciti per il Mulino: "Le quattro crisi della Spagna" di Anna Bosco; "Come la crisi economica cambia la democrazia" di Leonardo Morlino e Francesco Raniolo. Per comprendere meglio il voto italiano del 4 marzo 2018 non si può prescindere dal contesto europeo. In questo caso, partiamo dalla Spagna, nella quale - fra settembre del 2015 e dicembre del 2017 - si sono svolte quattro consultazioni cruciali: le elezioni regionali in Catalogna (27 settembre 2015) vinte dai partiti indipendentisti che - come spiega Anna Bosco, "aprono una legislatura di pre-indipendenza che si conclude con la convocazione di un referendum sulla secessione dalla Spagna (1° ottobre 2017) e una dichiarazione unilaterale di indipendenza (27 ottobre)" alla quale il governo spagnolo replica "attivando, per la prima volta nella storia, l'art. 155 della Costituzione, che consente di commissariare l'esecutivo regionale, sciogliere il parlament e convocare nuove elezioni autonomiche"; le elezioni politiche generali del 20 dicembre 2015, che segnano il passaggio dal bipolarismo popolari-socialisti al quadripolarismo, con l'ingresso di Podemos e Ciudadanos nell'arena politico-parlamentare; la frammentazione, però, è una delle concause che rendono impossibile formare il governo, dunque si torna alle urne il 26 giugno 2016 per l'attuale parlamento spagnolo (che vedrà insediarsi prima un governo a guida popolare con Rajoy, poi - dopo il voto di sfiducia costruttiva - un Esecutivo presieduto dal socialista Sanchez); infine, il 21 dicembre 2017, si torna a votare in Catalogna. Anna Bosco spiega come la Spagna, dopo essere passata dalla transizione verso la democrazia (le prime elezioni democratiche dopo il franchismo si svolgono il 15 giugno 1977) all'assestamento del quadro istituzionale e del sistema dei partiti, ed essere divenuta "prima della recessione avviata dalla crisi economica internazionale, una delle più forti economie d'Europa, caratterizzata da tassi di crescita e creazione dell'occupazione molto più sostenuti di quelli registrati in media, nell'Unione europea" (nell'ambito di una "sorprendente stabilità politica fra il 1979 e il 2015: in 36 anni vengono convocate appena 10 elezioni generali, mentre solo 11 esecutivi - sotto la guida di 6 presidentes del gobierno - occupano il Palazzo della Moncloa e cinque di questi possono contare sulla maggioranza assoluta in Parlamento, con esecutivi monopartitici") sia piombata non in una, "ma in tre crisi in ambiti differenti - una economica, una politica e una territoriale - i cui effetti hanno generato una inedita e complessa, quarta crisi, istituzionale". Con un elettorato prevalentemente orientato verso posizioni di centro e concentrato sui due maggiori partiti (PP e PSOE), la competizione si è a lungo giocata sull’elettorato “di frontiera”. Come vedremo in seguito, la decisione di adottare una battaglia dura anziché una strategia concorrenziale tradizionale, spingerà popolari e socialisti ad avvitarsi in una lotta furibonda proprio durante la fase più critica per l'economia, che li screditerà entrambi, favorendo l'emersione di soggetti politici nuovi. Il volume di Anna Bosco ripercorre tutte le vicende dell'economia e della crisi territoriale spagnola, che consigliamo di leggere e meditare. Qui ci limiteremo ad un accenno ai motivi che hanno spinto la Spagna a diventare - economicamente - uno dei paesi più colpiti dalla crisi del 2008: "la crisi mette a nudo quattro debolezze strutturali del suo modello economico: 1) la dipendenza dall'estero in termini di risorse energetiche; 2) un mercato del lavoro caratterizzato da forte dualismo, con rigide tutele per i lavoratori permanenti e limitata protezione per quelli a tempo determinato; 3) una bassa produttività del lavoro; 4) il doppio filo che lega la crescita all'espansione del settore edilizio". La Spagna "prima della grande recessione ha imboccato una strategia di sviluppo basata su una low road to competitiveness, una via bassa alla competitività, centrata sulla flessibilizzazione del mercato del lavoro e la riduzione dei costi piuttosto che sulla ricerca, la formazione avanzata e la creazione di beni collettivi per l'innovazione". Ci ricorda qualcosa? Ma, soprattutto, c'è un elemento che ci porta direttamente all'Italia della Seconda Repubblica (alla quale Anna Bosco non fa cenno, quindi la responsabilità del paragone è nostra): l'inizio della strategia della crispación a partire dalle elezioni perse rocambolescamente dal partito popolare nel 2004, subito dopo la strage di Madrid. Come spiega l'autrice di "Le quattro crisi della Spagna", il Pp, "segnando una brusca rottura con la tradizione di opposizione utile attuata da Zapatero durante la legislatura precedente (2000-2004) mette in pratica una strategia di conflitto radicale verso il governo socialista, una situazione in cui l'opposizione contesta il governo in carica con toni estremisti e ne giudica le proposte e decisioni come illegittime nelle origini e catastrofiche negli esiti; l'aggressività dell'opposizione riguarda tutte le principali decisioni governative, rimbalza dalle aule parlamentari alle piazze e ai mass media e investe il funzionamento delle istituzioni nelle quali i partiti hanno un ruolo, finendo per avere conseguenze rilevanti anche sul modo in cui gli elettori percepiscono i partiti". La campagna, promossa dai popolari, giunge nel 2011 a chiedere le dimissioni del governo Zapatero, accusandolo "di aver alimentato la crisi e di averla fatta durare più del necessario, impoverendo il paese per poi presentarsi come redentore dei danni provocati; Zapatero viene persino incolpato di essere responsabile della vertiginosa crescita dello spread; dichiarandosi contrario sia alle misure espansive che a quelle restrittive e battendo sul solo tasto dell'incompetenza di Zapatero e della sfiducia, l'unico scopo di Rajoy sembra essere quello di deteriorare l'immagine del presidente del governo, in modo che l'opposizione non mostri le proprie carte, limitandosi a dire il minimo necessario e a ribadire che il Pp farà meglio" (infatti, una volta al governo, i popolari perseguiranno la politica di austerità, finendo per screditarsi anche loro). Tutto molto simile a quanto abbiamo visto in Italia dal 1994 al 2013 fra centrodestra e centrosinistra (e, si può dire serenamente, fino ad oggi, quando la crispación italiana sembra diventata una guerra di tutti contro tutti). Alla fine, come in Italia, anche in Spagna la crisi economica presenta un conto politico: "dopo il 2011 gli spagnoli scoprono, con grande delusione, che l'alternanza non porta novità né rivoluzioni, ma solo il proseguimento delle stesse politiche restrittive sotto la direzione di un diverso partito. Pp e Psoe vengono quindi visti come attori che hanno perso credibilità, incapaci di mantenere le promesse, impegnati ad arricchirsi illegalmente, assorbiti dai conflitti interni. Su tale percezione matura e accelera la crisi di rappresentanza che favorisce l'affermazione di Podemos e Ciudadanos nelle elezioni europee del 2014 e, in seguito, nelle politiche del dicembre 2015". I due nuovi partiti, infatti, "fanno della lotta contro i politici corrotti" (“la Casta”) la loro bandiera. Inoltre, "dopo il 2013, con la graduale uscita dalla recessione, la protesta di taglio economico diminuisce, mentre le associazioni civiche mantengono capacità di mobilitazione e alcuni partiti la recuperano. In questa fase si affermano partiti nuovi come Podemos o presenti a livello regionale ma disposti a fare il salto nella politica nazionale, come Ciudadanos. Queste formazioni riescono a dare risposta alle domande espresse dalla protesta e dalla delusione anche perchè dopo il 2011 il principale partito di opposizione, il Psoe, non sembra più in grado di rappresentare né di guidare i cittadini disillusi". Le elezioni del 2016 ridimensionano la mobilità elettorale e - in misura non rilevante - la quota di voto ai partiti "nuovi", ma confermano e stabilizzano il sistema quadripartitico spagnolo. Un sistema, che a differenza di quello italiano, non spinge l'elettore su posizioni estreme (come nel caso della destra leghista nel nostro paese, per esempio) ma "apre" l'arena del confronto e rende inevitabili presenti e futuri governi di coalizione, dopo i trenta anni di monocolori socialisti o popolari. In conclusione, afferma Bosco, "il cortocircuito vissuto dalla Spagna tra il 2015 e il 2017 ha innescato un profondo cambiamento. Le scelte di Rajoy e la conflittualità tra i due partiti principali hanno impedito di offrire per tempo una soluzione alla crisi territoriale. Una volta diventata istituzionale, la crisi ha dispiegato i suoi effetti sul sistema politico: complicando i processi di formazione del governo; trasformando le modalità della competizione partitica e penalizzando le forze politiche più concilianti sulle scelte territoriali". Le somiglianze fra le vicende italiane e quelle spagnole sono molte, ma non dobbiamo ingannarci: non siamo di fronte ad una sovrapposizione. Da noi si è passati da una (molto eventuale, più minacciata che voluta davvero) istanza prima secessionista e poi federalista del Nord alla “devoluzione”, con l'arrivo del Carroccio al governo. La nostra divisione territoriale fra Centronord blu (Lega) e Sud giallo (Cinquestelle) è di fatto ricomposta nel compromesso di governo fra le due forze politiche, e resta una separazione fra aree economiche che marciano a velocità diverse, senza però risvolti sull'unità del Paese. Anche il ricorso a forze "diverse dal sistema" (M5S e Lega in Italia, Podemos e Ciudadanos in Spagna) è l'effetto degli avvenimenti dell'ultimo decennio, che però non sono stati uguali nei due paesi. La stessa tendenza coalizionale dei partiti nuovi in Spagna è molto più improntata alla disponibilità (relativa, s'intende) verso le forze tradizionali che ad un rifiuto di avere a che fare con i partiti "del vecchio regime". Italia e Spagna, insomma, hanno percorso sentieri simili, ma restano diverse. Detto ciò, come vedremo nel prossimo intervento, la crisi economica è stata nel Sud dell'Europa (e, più in generale, nell'intero occidente, come dimostrano la Brexit e l'elezione di Trump negli USA) il vento che ha soffiato impetuoso nelle urne di tutti i paesi, con risultati diversi ma quasi sempre capaci di influenzare i sistemi partitici, i comportamenti elettorali, la fiducia verso istituzioni, partiti, Unione europea. (1-Continua)
di Luca Tentoni
di Stefano Zan *