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L'analisi del sabato. L’elettorato “fluido”

Luca Tentoni - 14.11.2015
EMG novembre 2015

Se la caratteristica dell'elettorato della Prima Repubblica era l'elevata fedeltà al partito, che di fatto limitava gli spostamenti di voto entro percentuali molto modeste (lo 0,5% in più era considerato un'avanzata, mentre un progresso del 2% diventava quasi un trionfo) nella Seconda Repubblica gli aventi diritto al voto si sono spostati con più disinvoltura, ma in gran parte all'interno dei rispettivi "poli". Alla fedeltà di partito si è passati a quella di coalizione. Entrambe sono state messe a dura prova dal rimescolamento delle carte avvenuto con l'ingresso del M5S, in coincidenza con la crisi delle "famiglie politiche" e con un massiccio incremento dell'astensionismo: il tutto, nel quadro di sconvolgimenti socio-economici che hanno interessato il periodo dal 2011 ad oggi. Una volta, la "dimensione" della competizione si poteva rappresentare attribuendo ad ogni partito una collocazione su una retta, un "continuum" da sinistra a destra. C'era, è vero, anche la dimensione confessionale/non confessionale, sempre più sfumata già nell'ultimo periodo della Prima Repubblica. E c'era perciò, molto forte, l'"alterità" delle forze più a sinistra rispetto a quelle più a destra. Differenza che negli anni Settanta era stata portata, per i gruppi extraparlamentari, sul piano dello scontro e della violenza. Anche fra i soggetti politici "parlamentari", persino fra quelli di governo, le differenze ideologiche rendevano immutabili le posizioni sull'ideale linea fra sinistra e destra: il Pri a sinistra del Pli, il Psdi a destra rispetto al Psi e così via. Nella Seconda Repubblica i nuovi partiti non hanno sempre mantenuto le stesse posizioni. Alcune incompatibilità sono talvolta venute meno (durante il governo Dini, per esempio, Lega e centrosinistra si trovarono a sostenere l'Esecutivo; si è persino parlato del Carroccio come "costola della sinistra") ma altre (ad esempio fra sinistra radicale e centrodestra) sono rimaste intatte per almeno 18 anni, dal 1993 al 2011. Nei ballottaggi delle comunali, ad esempio, se restavano in gioco due candidati, uno di centro/centrosinistra e uno di centrodestra, l'elettore medio di sinistra votava per il primo (di rado, si asteneva); se invece al secondo turno approdavano un aspirante sindaco di sinistra e uno di centrodestra, il leghista sceglieva se astenersi o appoggiare il candidato della coalizione (va detto, infatti, che l'elettorato della CDL è sempre stato poco incline a tornare alle urne due volte di seguito in 15 giorni e ancor più, nei collegi uninominali, a premiare un esponente della coalizione appartenente ad un partito troppo lontano dal proprio). Inoltre, questa continuità di voto e rigidità rendeva le "roccaforti" dei partiti o dei poli pressochè inespugnabili. Oggi, di "inespugnate", sono rimaste al centrodestra solo Lombardia e Veneto (non più la Sicilia, per esempio) e al centrosinistra Emilia-Romagna, Toscana, Umbria (quest'ultima ha rischiato di capitolare alle ultime regionali, in occasione delle quali la Liguria ha invece "ceduto") e in parte Marche (la regione, però, è divisa fra zone di diverso colore politico; inoltre, alla Camera, nel 2013, il M5S ha ottenuto il 32,1% contro il 31% della coalizione Pd-Sel-Centro democratico). Con il dissolvimento delle coalizioni onnicomprensive del 2006 (Unione e CDL), la crisi economico-sociale, la comparsa di una nuova opzione (il M5S) e lo "sdoganamento" di una "via d'uscita" (l'astensione, che permette di lasciare il proprio partito senza "tradirlo" con un altro) il quadro è cambiato completamente. L'elettorato è diventato fluido e se è sbagliato asserire che le appartenenze siano scomparse, è però più corretto affermare che per molti italiani sono venute meno alcune preclusioni nei confronti di partiti teoricamente "lontani". Il "continuum" sinistra-destra, ad esempio, spiega poco o nulla (ed è difficile collocarvi alcuni soggetti politici) se ci si riferisce a temi divisivi come l'euro: l'elettore leghista è più vicino a quello dell'ex alleato centrista del Ncd o alle posizioni più radicali del M5S? Di qui, un'altra domanda, che si pone con sempre maggiore insistenza dopo il primo vero caso di "osmosi" inattesa, cioè l'elezione di un sindaco del M5S a Parma nel 2012: è possibile che in un eventuale ballottaggio dell'Italicum fra il Pd e i "grillini" una quota rilevante di elettori di centrodestra scelga il M5S e che, in una sfida fra il partito di Renzi e una possibile coalizione di centrodestra guidata da Salvini gli elettori grillini esclusi dal ballottaggio votino per il leader leghista? I sondaggi ci dicono che è probabile. In particolare, dalla rilevazione EMG per il Tgla7 del 9 novembre si evince che eventuali ballottaggi nazionali per il premio di maggioranza alla Camera (con l'Italicum) fra Pd e - alternativamente, un listone di centrodestra o il M5S - si risolverebbero con risultati inferiori ai 5 punti di margine (52,5-47,5 per il partito di Renzi contro la coalizione di Salvini e 51,7-48,3 per il movimento di Grillo opposto ai Democratici). In altre parole, l'esito non è prevedibile, ma il dato che spicca è il possibile apporto agli sfidanti dei ballottaggi dei voti (non pochi) del "terzo escluso". Rispondendo ad una domanda sulla propria scelta di voto in caso di secondo turno fra Pd e M5S, gli elettori del centrodestra hanno indicato che in maggioranza (ricalcolando i dati, a noi risulta il 58%) non andrebbero alle urne, mentre un 42% andrebbe ai seggi per decidere la contesa. Qui sta la sorpresa (che in realtà, da qualche anno, non è più tale). Mentre gli "azzurri" si dividerebbero (il 15% di chi vota FI al primo turno sceglierebbe al secondo il Pd, mentre il 22% preferirebbe il M5S), i leghisti e i sostenitori di FdI che andrebbero a votare sarebbero quasi tutti (44% contro 6% nella Lega, 30% contro 2% in FdI) per il M5S e solo in piccolissima parte per il Pd. In base a nostri ricalcoli dei dati del sondaggio, del 29% dei voti di Lega-FI-FdI il 2,5% andrebbe al Pd e il 9,7% al M5S, mentre il restante 16,8% finirebbe nell'astensione (comprendendo anche gli indecisi). Mentre l'elettorato forzista, insomma, si dimostrerebbe più equilibrato nella scelta, quello leghista e di destra si schiererebbe decisamente con il M5S. Ciò, verosimilmente, per contrapposizione con Renzi (che è certo più molto attenuata fra gli "azzurri") e per divergenze nette col Pd su euro, Europa e immigrazione. Anche Berlusconi e Salvini, a Bologna, l'8 novembre, hanno tenuto a rimarcare le differenze col movimento di Grillo: il primo, però, per segnare le diversità e additarlo come un nemico, al pari dei "comunisti"; il secondo, invece, più pragmaticamente, ha puntato sull'argomento che il centrodestra "non è solo il partito del no" ma è anche forza di governo. Del resto, anche Grillo ha voluto, parlando delle elezioni comunali a Roma, accreditare il proprio movimento come un soggetto in grado di affrontare senza problemi la prova di governare realtà complesse. In teoria, l'elettorato di destra (Lega-FdI) e quello del M5S dovrebbero essere molto distanti (una parte non marginale degli elettori "grillini" proviene da passate esperienze di voto al centrosinistra, senza dimenticare che nel Movimento c'è anche, tuttavia, una fetta di ex sostenitori della CDL). Su alcuni temi, invece, appaiono più vicini e pronti - se necessario e opportuno - ad un'osmosi (non ad un'intesa fra leader che è impossibile, ma a più praticabili singole scelte personali degli elettori) fra loro. In questo modo, il "continuum" sinistra-destra (che rende arduo collocare il M5S) lascia il posto in parte ad altre linee di divisione (economia ed Europa fra tutte) ma anche ad una sorta di dimensione "circolare" dove i soggetti politici sono disposti come punti su una circonferenza e dove, perciò, gli estremi possono avvicinarsi. Si potrebbe spiegare, inoltre, anche la disponibilità manifestata in ambienti della sinistra a sostenere nelle città - in caso di ballottaggio comunale - candidati del M5S. Il movimento di Grillo si presenta come speculare al Pd (posto dall'altra parte del "cerchio") perchè è in grado di dialogare con settori delle estreme mentre il partito di Renzi è capace di entrare in sintonia con l'elettorato più moderato (anche se presente in partiti d'opposizione come Forza Italia, come dimostra in parte anche il sondaggio EMG). Abbiamo, così, una diversa polarizzazione. In un terzo del cerchio abbiamo il Pd (secondo i dati EMG del 9/11, SWG del 6/11 ed Euromedia per “Ballarò” del 10/11) intorno al 31,5-34,3%; accanto, il Ncd (2,3-2,9%) da una parte e l'area dell'ex Lista Tsipras (3,4-4%) dall'altra. In un altro settore, il M5S (25,5-27,7%). Infine, i partiti di centrodestra, iniziando dal più vicino al centro (FI, 10,8-12,5%), proseguendo con la Lega (14,4-15,6%) e finendo, a destra, con FdI (4-4,8%). Nessuna di queste aree, variamente aggregata, varca decisamente il 40%, almeno da quel che sembra (al netto, dunque, di una campagna elettorale lontana e degli immancabili difetti dei sondaggi), ma oggi non sembra azzardo ipotizzare come probabile che per assegnare il premio di maggioranza dell'Italicum si debba ricorrere ad un secondo turno di ballottaggio. Con quali protagonisti ed esiti è troppo presto per dirlo.