Ultimo Aggiornamento:
15 maggio 2024
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L'analisi del sabato. Il partito dei "no euro"

Luca Tentoni * - 20.06.2015
No euro

I ballottaggi per le comunali sono stati caratterizzati da risultati "a sorpresa". Poichè l'elettorato è sempre più mobile e duttile rispetto ai diversi sistemi di voto, ci si è chiesti se, al momento di rinnovare la Camera dei deputati con l'Italicum (dalla seconda metà del 2016 in poi) il maggior antagonista del Pd (M5S o Lega che sia) possa aggregare consensi di elettori d'opposizione anche non suoi (com'è accaduto a suo tempo a Parma, ad esempio) e battere il partito di Renzi. Ovviamente si tratta di congetture, di ipotesi che ora sarebbe prematuro prendere in considerazione sul piano politologico (su quello politico, invece, una riflessione - opportuna - è sicuramente già in corso). Chiarito che a vincere le regionali e le comunali è stata l'astensione e che ad avere un ruolo di primo piano nei ballottaggi sono stati i candidati "civici" o percepiti come tali, resta il fatto che il Pd ha pagato lo scotto di una concorrenza sempre più agguerrita ma, per fortuna di Renzi, non equamente distribuita sul territorio nazionale. Infatti, se il M5S ha percentuali abbastanza omogenee dappertutto, a sud di Roma l'assenza o lo scarso seguito della Lega "zavorrano" il centrodestra. Così, oltre alla presenza di due candidati legati al territorio e molto forti anche sul piano della leadership (Emiliano e De Luca), il Pd e il centrosinistra hanno avuto minor resistenza ad affermarsi nel Mezzogiorno non insulare, dove la "tenaglia" M5S-Lega non è scattata e i voti moderati, in fuga da una Forza Italia decimata, hanno trovato nei partiti di governo un nuovo punto di riferimento. Al di là del limite territoriale - che certo pesa - la radicalizzazione attorno a M5S, Lega e FdI di un voto di "opposizione totale" al governo potrebbe condizionare le sorti della campagna elettorale per le prossime elezioni politiche (per ora lontanissime nel tempo, previste per il 2018 ma anticipabili a seconda delle circostanze). Nel centrodestra, l'azionista di maggioranza non è più ben definito: fino a tutto il 2014 (europee) era Berlusconi, perchè FI aveva pur sempre il 54% dei voti dell'ex CDL (16,8% sul 31,1% di FI, Lega, FdI, Ncd-Udc). Ma oggi (con riferimento alle regionali 2015) pur unendo al 14,5% dei gruppi facenti capo all'ex premier il 4,7% di Ncd-Udc, si arriva al 19,2%: la stessa percentuale di Lega, Lista Zaia e FdI. La prevalenza dei moderati nel centrodestra si potrebbe ristabilire (55%) associando a FI-Ncd-Udc i voti delle liste collegate a Tosi, Spacca e Schittulli (in tutto, il 4,9%), però la politica è meno semplice, talvolta, della matematica. I sondaggi più recenti, poi, non sembrano confortare le speranze di Berlusconi, mentre rafforzano quelle di Salvini. Secondo Datamedia, il rapporto fra FI-Ncd-Udc e Lega-FdI è 14,7% a 19,5%; per SWG 17,3% a 21%; per Euromedia, 16% a 19%; per IPR, 15,5% a 18,5%; per Tecnè, 16,5% a 19,5%; per Piepoli, infine, 13,5% a 20,5%. Ad oggi, perciò, è probabile che se il centrodestra volesse concorrere alle prossime elezioni per arrivare almeno al ballottaggio col Pd (un ballottaggio aperto, peraltro: tutti attribuiscono alla ex CDL fra il 34 e il 38% dei voti, circa la stessa percentuale del partito di Renzi) dovrebbe unirsi in una sola lista e probabilmente acconsentire che a guidarla fosse Salvini. Diversamente, le maggiori possibilità di sfidare il Pd sarebbero del M5S. Si prospetta, dunque, un'evoluzione in senso radicale dei due schieramenti "anti-governativi". Se questa configurazione - da un lato - può portare voti moderati "di confine" al Pd, può tuttavia - dall'altro - favorire un ampio ricorso al "voto tattico" (modello Parma) da parte degli elettori di chi sarà escluso dal ballottaggio dell'Italicum. Ovviamente non è una certezza, ma (come si diceva in precedenza) un'ipotesi politicamente da non scartare a priori.

 

Le "occasionali convergenze"

 

L'elettorato del centrodestra (in particolare di quello di Lega e FdI) è diverso da quello del M5S, anche se una parte di quest'ultimo (più o meno uguale a quella proveniente dal centrosinistra) ha trascorsi di voto per l'ex CDL. Ultimamente, tuttavia, proprio il radicalizzarsi delle posizioni e la "conquista", lenta ma forse inesorabile, del centrodestra da parte del Carroccio, sta spostando alcune posizioni programmatiche verso scelte più "dure". Sulla moneta unica, dal possibilismo di Berlusconi si è passati al "no euro" di Salvini; sugli immigrati la linea prevalente è quella della Lega e di FdI; sull'atteggiamento da tenere verso il governo, restano distinzioni fra Ncd-Udc (in maggioranza), FI (a sua volta divisa fra chi vorrebbe appoggiare Renzi, chi desidera una contrapposizione più netta e chi, invece, attende gli sviluppi della situazione) e Lega-FdI (decisamente "anti-Renzi"). Su euro e atteggiamento antigovernativo gli elettori (non i leader o i partiti) del "centrodestra radicalizzato" e del M5S potrebbero convergere, soprattutto se la "sfida" del ballottaggio con l'Italicum fosse fra M5S o Lega e l'"odiato" Pd. Come si è spiegato, non sarebbe corretto spingere oltre l analisi in questa direzione, ma ci sembra invece opportuno andare a circoscrivere quello che ci sembra, potenzialmente, l'elettorato "anti-euro" e "anti-Renzi" e osservare come, negli ultimi due anni e mezzo, si sia evoluto in valori percentuali e rapporti di forza interni. Aggiungeremo, inoltre, che l'associazione di M5S, Lega, FdI (in parte lista Zaia) nel "fronte antisistema" non ci sembra arbitraria come può a prima vista apparire. È solo uno schieramento, nella nostra analisi, "single issue", che potenzialmente potrebbe però trovare ulteriori punti di convergenza (tra singoli elettori, lo ripetiamo, mai fra i partiti). Senza contare che quando e se si voterà per il referendum confermativo della riforma costituzionale, i partiti in questione costituiranno sicuramente lo "zoccolo duro" del "no", mentre Pd e Ncd-Udc saranno il polo di aggregazione del "sì" (con gli altri - singoli e partiti - che decideranno da quale parte schierarsi).

 

Quanto vale il "fronte anti-euro"?

 

Nel momento in cui i partiti hanno cominciato ad intensificare la loro offensiva contro l'euro (all'inizio il M5S era più cauto) si erano già svolte le elezioni politiche del 2013. In quella occasione, M5S, Lega e FdI avevano raccolto complessivamente il 30,2% dei voti (10 milioni e 300mila voti). Alle europee, complice il maggior astensionismo (pur se non è detto che una fetta del non-voto non sia anch'essa anti-euro) i consensi furono complessivamente 8,5 milioni (il 31,1%; +0,9% rispetto all'anno precedente). Per allargare il raffronto al 2015, dobbiamo riferirci alle sole sette regioni nelle quali si è votato il 31 maggio. Dal 29,5% delle politiche i tre partiti sono passati al 30,4% delle europee (+0,9% rispetto al 2013) e al 29,9% (lista Zaia esclusa: altrimenti, si salirebbe al 34,9%) delle regionali 2015 (circa 2,5 milioni di voti contro i 3,1 delle europee e i 3,7 delle politiche). Mantenendo sub iudice l'appartenenza della lista Zaia al fronte "anti-euro" (nonostante il suo promotore sia un esponente leghista, infatti, il raggruppamento ha ricevuto molti voti "civici" da varie parti, Pd compreso, perciò possiamo considerarlo a livello globale con il Carroccio ma riesce più difficile connotarlo su un singolo aspetto che non era centrale nella campagna elettorale amministrativa) possiamo valutare questo raggruppamento solidamente al 30% e forse un po' oltre (fino al limite teorico, includendo la lista Zaia, del 35%). I sondaggi nazionali, del resto, valutano Lega, FdI e M5S ancora più in alto, verso il 35-40% complessivo (il che non è da escludere, in caso di voto politico). È significativo, tuttavia, che (a parte il caso Veneto, dove la forte presenza della Lega e il primato della lista Zaia sconsigliano proiezioni nazionali) nelle regioni "rosse" o "rosa" (Liguria, Toscana, Umbria, Marche) i tre partiti "anti-euro" hanno raccolto il 37,8% alle regionali, contro il 27,2% delle europee e il 29,3% delle politiche. In altre parole (con la Lega che ha "cannibalizzato" il centrodestra) gli antieuro hanno guadagnato posizioni percentuali (restando, in termini di voti validi, sul dato delle europee nonostante un aumento dell'astensionismo dal 34,4 al 50%) in concidenza con i risultati meno buoni del Pd. Nelle due regioni del Sud, invece (Campania e Puglia) il fronte anti-euro ha ottenuto risultati più bassi rispetto al 2014 e al 2013. Ciò si può spiegare, in parte, perchè il M5S si è trovato praticamente solo al Sud (FdI ha avuto il suo 4%, ma la Lega non si è presentata in Campania e ha raccolto pochissimo in Puglia) e ha patito (come nel resto d'Italia, del resto) la natura "nazionale e politica" (molto meno locale, tranne rari casi di vittorie alle comunali) dei suoi consensi. Perfettamente in linea con le attese di "sfondamento", in Veneto, è il risultato della Lega (che con la lista Zaia arriva addirittura oltre il 40%). Meno prevedibile, almeno in teoria, il risultato delle regioni rosse, dove c'è stato un significativo travaso di voti dal "centrodestra moderato" a quello "radicale" e "no-euro".

 

Elettorati incompatibili?

 

Torniamo, in conclusione, sulla compatibiità degli elettorati dei tre partiti "no-euro" (quattro, se includiamo la lista Zaia). Richiameremo, in proposito, dati elaborati da SWG ( Analisi dei flussi di voto" - 1° giugno 2015) e dall'Istituto Cattaneo ("I flussi elettorali a La Spezia, Padova, Livorno, Perugia, Napoli, Salerno, Foggia", 3 giugno 2015). Ebbene, per il Cattaneo a Savona il M5S ha ceduto l'1% dei voti alla Lega; a Padova, il 3,1% dei voti "grillini" del 2014 è andato alla lista Zaia e l'1,3% alla Lega; a Livorno l'1,9% da M5S a Lega e lo 0,5% da FdI al Carroccio (che però ha ricevuto l'1,9% da FI); a Perugia, il M5S ha "donato" il 2,9% alla Lega. Ovviamente ci sono interscambi forti da e verso l'astensione, ma questi dati ci sembrano dimostrare che - seppure a livello di scelte individuali - l'osmosi (forse proprio sul tema "no-euro", ma non è escluso anche su altri) non solo è possibile ma è già sperimentata. Lo conferma la SWG: in Liguria il M5S cede il 2,9% a Pastorino e il 4,3% all'astensione (recuperando da questa il 4,4%), ma anche il 2,3% alla Lega; il Carroccio ligure prende il 4% da FI, il 2,3% dal M5S e il 6,3% dall'astensione (c'è anche l'1,3% dal Pd). In Toscana, il partito di Salvini guadagna il 3% da FI, il 2,9% dal M5S, il 6,9% dall'astensione; così nelle Marche (3,2% da FI, 2,7% da M5S, 3,4% dal non voto) e in Umbria (2,9% da FI, 2,5% da M5S, 3,7% da astensione ma anche 2,4% dal Pd). Dinamiche che nel Sud sono (fra Carroccio e M5S) assenti o irrilevanti. Anche il fatto che la composizione del "partito no-euro" (ma anche "no-Renzi", "no-riforma costituzionale") muti nel tempo può non essere casuale: nel 2013 i voti validi espressi per i partiti di questa area tematica erano per l'88% del M5S, mentre la quota del MoVimento di Grillo è scesa al 70% alle europee e al 45/55% alle regionali (includendo o meno la lista Zaia nella "coalizione"). Forse tutti gli indizi che abbiamo esaminato in questo intervento non fanno una prova, ma certo non allontanano il forte sospetto che il voto "no-euro" possa avere una dimensione minima definita (il 30% almeno) e una capacità di osmosi fra i partiti che si oppongono alla moneta unica europea non da sottovalutare, Italicum o meno.

 

 

 

 

* Analista politico e studioso di sistemi elettorali

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