L'analisi del sabato. Gli "azzurri" fra due fuochi
Fra le possibili combinazioni parlamentari per rafforzare la coalizione di Renzi (e soprattutto il disegno di legge di revisione costituzionale) si fa sempre più concreto un secondo "patto del Nazareno", però stavolta solo con gli ex parlanentari “azzurri”, non con Berlusconi. Forza Italia, infatti, pesantemente indebolita dalla scissioni (prima il Ncd, poi verdiniani e fittiani) e uscita quasi dimezzata dal voto regionale del 31 maggio scorso, rischia di non essere determinante neppure in Senato, dove peraltro Renzi non ha una base molto solida. Sebbene rientrato in ballo sulla riforma della Rai, il partito dell'ex premier resta tuttavia fuori dal gioco politico-parlamentare, stretto in una tenaglia fra le posizioni di Renzi e quelle di Salvini, ma soprattutto fra quelle di chi va verso la maggioranza (Verdini) e chi si dirige molto più nettamente all'opposizione (Fitto). In quel che resta del partito "azzurro", poi, le differenze di posizione (per esempio sull'euro) all'interno dei gruppi si fanno sempre più marcate. Il guaio di Berlusconi, insomma, è di essere finito in una terra di mezzo dove non ci si può muovere verso la maggioranza a costo di pagare ulteriore dazio alla Lega e neppure spostarsi sulla linea di Salvini (l'originale, si sa, è meglio della copia). La crisi greca avrebbe potuto costituire l'occasione per un rientro in gioco di Forza Italia, se si fosse giunti ad un grado di destabilizzazione dei mercati economici tale da mettere a repentaglio i titoli del nostro Paese, ma così non è stato, perciò l'ipotesi di un Esecutivo di "salute pubblica" è saltata. Sembra, inoltre, che Renzi non abbia consultato Berlusconi nei giorni delle trattative europee (comunque, se l'ha sentito senza far trapelare qualcosa equivale quasi - nella società "mediatica" - a non averlo fatto). Anche in tema di politica estera, Putin e la Russia sembrano aver trovato un sostenitore più attivo in Salvini, così come sull'immigrazione è la Lega che conduce le danze nel centrodestra, dove anche Fratelli d'Italia della Meloni (accreditato di un solido 4% dai sondaggi e dagli stessi risultati delle regionali 2015) sembra più attivo di FI nel creare un fronte "neolepenista" nostrano. Fronte al quale un partito come quello berlusconiano che si ispira al PPE non può aderire senza snaturarsi. Sul fronte economico interno, poi, da un lato ci sono le politiche di Renzi (Jobs Act su tutti) e dall'altro la "flat tax" di Salvini. In mezzo resta il pallidissimo ricordo delle basse aliquote Irpef promesse nel '94 da Berlusconi (il famoso "meno tasse per tutti"). Ricordi, appunto, sommersi dalla situazione interna di un partito che ogni tanto si vuole ristrutturato (si è parlato dell'ennesimo cambio di nome: il richiamo ai repubblicani americani, però, sembra già riposto in un cassetto) ma che è alle prese con turbolenze non facilmente risolvibili e che, all'esterno, non sembra raccogliere voti e "sfondare" oltre l'elettorato ormai "d'affezione". Anche la vittoria di Toti in Liguria e di Brugnaro a Venezia sono rondini che non fanno primavera: il secondo ha un profilo "civico", mentre il primo ha vinto grazie ad un massiccio apporto di voti leghisti e ad alcuni fattori locali che hanno penalizzato fortemente il centrosinistra. Nel "mercato elettorale", insomma, FI è ormai diventato un "prodotto di nicchia", con percentuali non troppo superiori al 10%. Certo, in vista di un possibile ballottaggio con l'Italicum, i voti di Berlusconi potrebbero essere determinanti per far arrivare secondo Salvini (quindi ammesso alla sfida del secondo turno col Pd, al posto del M5S). Ma se la legge che attualmente non permette apparentamenti e assegna il premio solo ad un partito non cambierà, i voti di FI saranno davvero decisivi? E soprattutto: andranno per intero ad un listone di centrodestra a trazione Salvini-Meloni? È proprio certo che il blocco Lega-FdI, accreditato di un 20% dei voti a non molta distanza dal M5S, non preferisca andare da solo, "duro e puro", alla battaglia elettorale per le prossime politiche, anzichè imbarcare quel che resta degli "azzurri" (annacquando un po' la connotazione anti-sistema della nuova destra)? Va inoltre detto che se è vero che Berlusconi ha ancora una fetta di elettorato fedele, è altrettanto vero che dai tempi del Mattarellum i più moderati si sono sempre trovati a disagio nel votare i leghisti e che il "Partito della Nazione" renziano potrebbe costituire una discreta opzione di scelta (per taluni) in caso di ballottaggio Pd-M5S (e persino Pd-Lega). In altre parole, Forza Italia potrebbe subire nelle urne lo sfrangiamento che patisce ora con la progressiva erosione dei suoi gruppi parlamentari. C'è poi il problema che l'Italicum produce (in caso di riforma del bicameralismo) un vincitore che ha 340 seggi alla Camera (la maggioranza è di 316). Quindi, Forza Italia potrebbe avere un peso nel prossimo parlamento solo se Salvini vincesse le elezioni o se nel Pd fossero eletti con le preferenze 30 o 40 deputati della minoranza democratica che potrebbero creare problemi a Renzi. E qui torniamo al punto di oggi: le difficoltà del presidente del Consiglio. Anche adesso, in caso di rottura con i 25 senatori della minoranza Pd e di scarso successo dell'allargamento ai verdiniani della maggioranza per le riforme istituzionali, Berlusconi potrebbe sperare di rientrare in partita. Ma è una situazione, questa, nel quale l'ex premier si è sovente trovato a disagio: non è abituato a giocare di rimessa, perchè è per natura "votato" all'attacco. Invece deve adattarsi a situazioni che, dall'elezione di Mattarella in poi, non può influenzare, a un partito che fa fatica a tenere insieme, ad alleati che per ora gli hanno soltanto tolto moltissimi voti e visibilità. L'unico vero aiuto può arrivare a Berlusconi da Palazzo Chigi, ma per ora non sembra scontato che Renzi sia disposto a valutare la convenienza di un gesto del genere, politicamente molto oneroso. Ad oggi, è probabile che il Premier possa e voglia concedersi solo, all’occorrenza e su ben definiti provvedimenti, un semplice “giro di valzer” con l’ex alleato del “Nazareno”.
* Analista politico e studioso di sistemi elettorali
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