Invece della Grexit avremo la Greropean Union?
La vicenda, ancora in corso, della posizione della Grecia nell’area Euro e delle modalità e condizioni per il “salvataggio” finanziario dello Stato greco ha dato luogo a una produzione e propalazione di fantasiose ricostruzioni storiche ed economiche, formulate da politici, giornalisti e uomini della strada, tutti improvvisatisi esperti di storia e di macroeconomia.
La più parte degli interventi si è concentrata sul presunto ruolo “imperiale” della Germania, su immaginarie rievocazioni di una Germania che non avrebbe mai pagato i propri debiti e sull’accusa di acribia “contabile” rivolta ai tedeschi nel pretendere di imporre l’“austerità” al popolo greco.
Tema ricorrente e momento conclusivo di tali analisi, la negazione dell’Europa e del principio di solidarietà manifestata dalle istituzioni europee e la necessità di arrivare, finalmente, all’integrazione politica.
Mettiamo per il momento da parte i paragoni storici – completamente errati sul piano fattuale – circa il presunto comportamento della Germania nel passato.
Il punto centrale del dibattito sembra incentrato sull’idea che “fare l’Europa” si traduca essenzialmente nell’accettare il principio della solidarietà e, quindi, degli aiuti unilaterali e incondizionati a favore dei paesi in difficoltà.
Tali aiuti non dovrebbero, dunque, essere collegati all’attuazione delle riforme, se il popolo greco non le vuole, in nome del principio della sovranità del popolo greco medesimo; quest’ultimo, come spiega Syriza, il partito che ha vinto le elezioni (peraltro non con una maggioranza assoluta), è contrario “all’Europa dell’austerità” e vuole “un’Europa diversa”, nella quale vigano principi economici diversi, “solidali” e, in definitiva, socialdemocratici riguardo ad amministrazione statale, sistema pensionistico, bilanci in disavanzo, debito statale, finanziamento del disavanzo mediante monetizzazione, ecc.
Dunque:la Grecia– secondo il governo Tsipras espresso da Syriza – vuole rimanere in Europa, continuare ad adottare l’Euro e far parte dell’Unione Monetaria: ma non intende accettare le condizioni che i paesi europei intendono imporle, bensì – in nome della propria sovranità – vuole che l’Europa accetti i principi di politica economica chela Greciaha deciso per conto suo e che essa ritiene essere quelli “giusti”.
Tutto ciò potrebbe anche essere legittimo, se vivessimo nel mondo immaginario che Alexis Tsipras sogna. Purtroppo la realtà è diversa.
L’Europa è nata sulla base di trattati internazionali, nei quali non sono previsti i principi enunciati da Tsipras, bensì quelli a cui si richiama il governo tedesco insieme a un folto gruppo di governi, i quali si ricordano anch’essi il testo dei trattati che hanno firmato.
Tsipras e i suoi sostenitori in Italia e in altri paesi europei dovrebbero rileggere i trattati di Roma (1957), l’Atto unico europeo (1986) e il trattato di Maastricht (1992), tutti trattati a cui hanno aderito sia l’Italia chela Grecia. Inquesti trattati non vi è il principio secondo il quale ogni paese può scegliersi il sistema economico che vuole e fare le leggi che vuole, bensì il contrario: si prevede il principio dell’armonizzazione dei sistemi economici e dell’obbligo di ogni paese membro di attuare le riforme decise dall’Unione europea per realizzare l’armonizzazione.
Tutte le riforme chieste alla Grecia dall’Eurogruppo sono conformi ai trattati firmati dalla Grecia e al principio dell’armonizzazione dei sistemi fiscali, della politica economica e del sistema giudiziario, pensionistico, ecc. ecc. di ogni stato membro con quelli del resto dell’Europa.
La quale Europa non vuole affatto la politica di rilassatezza fiscale, di pensioni generose, di bilanci in cronico deficit, di monetizzazione dei disavanzi che vorrebbero Tsipras e i suoi seguaci. L’Europa – tutta l’Europa, non solola Germania– ha firmato un trattato, il trattato di Maastricht, che prevede proprio il contrario: limiti ai disavanzi, limiti ai debiti pubblici, stabilità monetaria ecc. ecc.
In sostanza, il principio stabilito da Tsipras e dai suoi seguaci si può ridurre a un’enunciazione molto semplice: ai greci di Syriza e ai suoi omologhi spagnoli, francesi ed italiani, non piace l’Europa così come l’hanno voluta i “padri fondatori”, come è stata organizzata mediante una lunga serie di trattati internazionali e come la vogliono la maggioranza dei suoi partecipanti; essi vogliono che l’Europa cambi ed adotti i principi di solidarietà e di politica cosiddetta “keynesiana”, di espansione del ruolo dello Stato per sostenere l’economia: principi voluti da una minoranza degli Stati membri (e anzi, trannela Grecia, da una minoranza della popolazione in una minoranza degli Stati membri) e non previsti nei trattati.
E, se gli altri paesi dell’Europa non intendono adottare tali diversi principi, Tsipras e i suoi seguaci chiedono di riformare l’Europa sulla base del rispetto della sovranità nazionale di ogni componente e quindi della libertà di ognuno di stabilire i propri principi di politica economica, fiscale, pensionistica e via dicendo.
Essi, dunque, invocano una maggiore “integrazione” europea, ma nel rispetto della sovranità popolare dei singoli Stati membri: quindi, un’integrazione che non comporti l’accettazione da parte del singolo Stato delle “regole” fissate dalla “comunità”, bensì l’accettazione da parte della collettività delle regole fissate dal singolo. Gli Stati membri che vogliono attuare le politiche di austerità e risparmiare, aumentare la produttività del lavoro e mantenere la stabilità dei prezzi facciano pure ciò che vogliono, purché però provvedano ad elargire agli Stati membri che non vogliono l’austerità tutti i finanziamento che richiedono, senza porre condizioni.
Un’integrazione, in sostanza, rovesciata: non devela Greciaintegrarsi al resto della comunità europea, bensì il resto della comunità europea deve integrarsi alla Grecia.
Non il Grexit, mala Greropean Union.
* Professore Ordinario di Storia delle relazioni internazionali alla “Sapienza” Università di Roma
di Luca Tentoni *
di Michele Marchi
di Francesco Lefebvre D’Ovidio *