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La via pugliese alla (de)crescita (in)felice

Massimo Bucarelli * - 31.01.2018
Trans Adriatic Pipeline

Secondo l’economista John K. Galbraith, del pensiero marxista è sopravvissuto soprattutto il convincimento diffuso e generalizzato che i governi moderni siano al soldo del capitale economico e finanziario delle élite dominanti; vale a dire – tradotto nel linguaggio politico attuale – che servano gli interessi dei cosiddetti poteri forti, indipendentemente dalla volontà popolare di cui dovrebbero essere espressione. Si tratta di un’eredità che si potrebbe definire culturale, prima che politica, che informa trasversalmente anche la società e l’opinione pubblica italiana e che sembra essere particolarmente radicata a livello locale, dove regioni e comunità locali sono sempre più spesso impegnate a contrastare la realizzazioni di opere e infrastrutture decise o favorite dal governo centrale, con l’accusa di non portare alcun vantaggio ai cittadini, ma di essere dettate dalle esigenze speculative e affaristiche delle multinazionali.

Emblematico in tal senso è il caso pugliese, caratterizzato dalla strenua opposizione, condotta tanto dagli amministratori regionali e locali, quanto da forze politiche e gruppi di attivisti impegnati sul territorio, a una serie di iniziative considerate strategiche per la crescita economica e il rilancio di sistema produttivo nazionale. Nel 2016 l’Assemblea regionale pugliese e lo stesso governatore, Michele Emiliano, sono stati in prima linea nella promozione del cosiddetto referendum “No-Triv”, presentato come una battaglia contro l’espansione delle attività estrattive davanti alle coste pugliesi, che avrebbero potuto avere ripercussioni drammatiche sulla pesca, il turismo e l’agricoltura, a esclusivo beneficio delle multinazionali del settore energetico (sulle perplessità suscitate dall’iniziativa referendaria, si rimanda a https://www.mentepolitica.it/articolo/la-italia-non-pi-un-paese-per-enrico-mattei-alcune-considerazioni-sul-referendum-del-17-aprile-a-oeno-triva/825).

Successivamente, la regione Puglia, sempre per iniziativa del governatore Emiliano, insieme a numerosi amministratori locali e parte dell’opinione pubblica della provincia di Lecce,ha rivolto le proprie critiche al completamento del Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che porterà il metano dell’Azerbaigian sulle coste pugliesi, per essere, poi, distribuito nel resto d’Italia e in tutta Europa. Anche in questo caso la contrarietà all’opera è dettata dalla convinzione che il territorio locale sia oggetto di un attacco speculativo internazionale, condotto con la complicità del governo di Roma:un’operazione invasiva, dannosa per l’ambiente e ancora una volta priva di sostanziali vantaggi per le popolazioni interessate (per alcune riflessioni sulle contraddizioni alla base delle obiezioni del movimento “No Tap”, si rimanda a https://www.mentepolitica.it/articolo/da-no-triv-a-no-tap-la-insostenibile-retorica-del-a-oeterritorioa/1137 ).

Da ultimo, la Regione Puglia e il comune di Taranto si sono opposti alla soluzione individuata dal governo di Roma per il caso dello stabilimento dell’Ilva, storica azienda siderurgica di proprietà pubblica, poi privatizzata e acquistata dal gruppo Riva a metà degli anni novanta del Novecento. Quella di Taranto è l’acciaieria più importante in Italia e il maggiore complesso industriale per la lavorazione dell’acciaio in Europa, ma è anche responsabile per l’inquinamento del territorio circostante e per i gravi danni causati alla salute degli abitanti della città pugliese. L’azienda,entrata in crisi a causa delle inchieste giudiziarie sull’impatto ambientale, culminate nel 2012 nel sequestro di una parte degli impianti e della relativa produzione di acciaio, è stata prima commissariata dal governo Letta e poi sottoposta ad amministrazione straordinaria dal governo Renzi, con l’incarico di avviare una gara internazionale per la sua vendita. Nel giugno 2017, la Am Investco, cordata internazionale formata da Arcelor Mittale Marcegaglia, è stata scelta per avviare le trattative di acquisizione, presentando un’offerta di acquisto di 1,8 miliardi di euro, in aggiunta a 1,2 miliardi di euro per investimenti industriali e a 1,1 miliardi di euro per investimenti ambientali, di cui 300 milioni da destinare immediatamente agli interventi di copertura dei parchi minerari. Una soluzione che ha messo d’accordo, per una volta, governo, sindacati e Confindustria, perché permetterebbe di affrontare l’emergenza ambientale, salvare posti di lavoro e non perdere importanti posizioni di mercato in campo siderurgico; ma che non ha trovato il pieno consenso degli enti locali,la cui opposizione si è concretizzata impugnando davanti al Taril nuovo piano ambientale proposto da Am Investco e approvato con il Decreto del Presidente del Consiglio dello scorso settembre. Oltre a contestare con il ricorso il piano stesso e i suoi tempi di attuazione (il completamento è previsto per il 2023, ad eccezione della bonifica dei parchi minerari da avviare in questi mesi), la principale obiezione del governatore Emiliano fa riferimento alla mancata riconversione a gas dello stabilimento, che continuerà a essere alimentato soprattutto a carbone. Una posizione non proprio in linea con le altre battaglie condotte dal governatore e da una parte della politica e dell’opinione pubblica locali contro le piattaforme per l’estrazione di gas nel mar Adriatico e contro la realizzazione del gasdotto trans-adriatico.

È indubbio che, a causa della cattiva gestione della cosa pubblica e dei tanti casi di corruzione e malaffare, le classi dirigenti siano le primo a essere responsabili per la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni politiche, a partire da quelle centrali. È altrettanto indubbio che una maggiore partecipazione alla vita politica da parte della società civile e un maggior controllo sull’azione dei governi siano fatti senz’altro positivi e incoraggianti per la democrazia italiana. Tuttavia, nel caso pugliese, l’impressione è che si sia di fronte ad un’opposizione radicale e non negoziabile, che parte dal basso e che però, poi, viene eccitata e cavalcata strumentalmente da forze politiche e leader locali; un’opposizione che sembra puntare alla paralisi di qualsiasi grande opera e infrastruttura, senza che siano presentate proposte alternative in grado di assicurare gli stessi risultati in termini di crescita economica, sviluppo industriale e livelli occupazionali. Rinunciare al gas estratto dalle piattaforme marine o importato dal gasdotto trans-adriatico e mettere a rischio la sopravvivenza di un complesso industriale importante come quello dell’Ilva di Taranto significa voler rinunciare a risorse strategiche, il cui contributo all’economia, sia nazionale, che locale, difficilmente potrà essere sostituito da un modello di sviluppo basato sull’esclusiva valorizzazione del territorio, intesa come espansione delle attività turistiche e delle eccellenze agroalimentari, che pure sono importanti.

L’Italia è un paese quasi del tutto privo di materie prime e fonti energetiche («ricca solo di marmo»scriveva Carlo M. Cipolla), in cui anche la terra è avara e scarsa, ad eccezione di due sole pianure fertili, in Puglia e Lombardia. È costretta, quindi, a importare buona parte di quanto consuma; ma per importare beni deve esportare beni e servizi e per produrre i beni d’esportazione deve ulteriormente importare materie prime e prodotti semilavorati, il cui pagamento impone altre esportazioni. In estrema sintesi, se l’Italia vuole continuare a prosperare nelle condizioni naturali date, deve continuare a esportare. Del resto, la storia del miracolo economico italiano del dopoguerra conferma che l’aumento del reddito nazionale è inevitabilmente e principalmente legato all’incremento delle esportazioni.

È evidente, quindi, la necessità del paese e dei territori locali di rilanciare la crescita del settore manifatturiero, puntando su ricerca e innovazione, per continuare a essere competitivi sui mercati internazionali con prodotti originali e a elevato contenuto tecnologico, gli unici in grado di reggere la concorrenza della globalizzazione. Conseguentemente è altrettanto evidente la necessità di attrarre investimenti e non farli scappare, di realizzare opere utili e non impedirle, e di avere a disposizione un numero sempre maggiore e diversificato di fonti energetiche, soprattutto in considerazione delle variabili politiche internazionali che potrebbero mettere a rischio l’approvvigionamento energetico nazionale. Di fronte a queste considerazioni, quasi elementari, risulta difficile comprendere la strenua opposizione a trovare soluzioni, che, nel doveroso rispetto della salute dei cittadini e delle ricchezze ambientali locali, possano consentire la realizzazione o il rilancio di infrastrutture necessarie per la crescita della Puglia e dell’Italia.

Continua a essere avviso di chi scrive che compito della classe dirigente, intesa in senso lato, sia quello di favorire la partecipazione democratica dei cittadini al processo decisionale pubblico, fornendo elementi utili a comprendere l’importanza di coniugare sviluppo tecnologico, crescita economica e rispetto del territorio, nel tentativo di cercare soluzioni migliorative e non soltanto ostative delle iniziative dei governi e delle istituzioni politiche. In breve, è necessario lavorare per trovare sintesi utili all’interesse del paese e delle comunità locali, e non per favorire l’arroccamento in difesa di realtà territoriali, che da sole non riescono a garantire sviluppo e crescita.

 

 

 

 

* Professore associato di Storia delle Relazioni Internazionali – Università del Salento