Ultimo Aggiornamento:
02 ottobre 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

La società nel mare dell’incertezza politica

Paolo Pombeni - 14.11.2018
Salvini e Pillon

È un paese stanco quello che assiste al caos che domina l’attuale fase politica, tutta chiusa in lotte intestine fra partiti e all’interno di partiti, senza che ci si ponga minimamente il problema di come tirare fuori il nostro paese dall’incertezza che domina un po’ in tutti i campi.

Certo molti si affidano alla speranza sopravvalutando fenomeni che testimoniano un qualche risveglio della società civile. La grande manifestazione di Torino a favore della TAV, ma più che altro contro il vuoto ideologismo dei Cinque Stelle, è indubbiamente un fatto interessante, ma non va sopravvalutato. Si tratta di un moto di orgoglio, e in parte di stizza, che muove una città che non è disponibile per alcuna “decrescita felice”, ma come questo possa trasformarsi in una proposta politica alternativa non è affatto chiaro, non fosse altro perché ad essa manca un vero leader carismatico. Altrettanto si dica per le manifestazioni contro il progetto di riforma Pillon sull’affido dei figli nelle coppie che si sciolgono: al momento un confluire di istanze diverse che prendono spunto dalla proposta pasticciata di un politico che parla di cose su cui non ha competenza, ma che nascono da retroterra che vanno dal femminismo radicale al tradizionalismo para-cattolico.

Lasciamo da parte la manifestazione contro il decreto sicurezza di Salvini che altrettanto è una sommatoria delle cose più diverse, dai centri sociali al solidarismo di marca religiosa.

Difficile che da questi sussulti nasca qualcosa che metta in crisi il blocco sociale che, almeno a stare ai sondaggi, dona all’alleanza giallo-verde il 60% dei consensi: una somma che tiene, anche se un po’ di sostenitori sembrano abbandonare i pentastellati per ritrovarsi sotto le bandiere di Salvini.

A dominare nel paese è paradossalmente l’incertezza, sicché risulta difficile capire dove e quando avverrà una qualche stabilizzazione della politica. I due alleati di governo percepiscono chiaramente questo clima e di fatto ciascuno cerca di precostituirsi una posizione di favore per il momento in cui la coalizione andrà in crisi. Difficilmente ciò avverrà a breve, ma che avvenga è altamente probabile, perché non si vede come si possa costruire un terreno che renda complementari due forze distanti fra loro per una ragione banale, ma determinante: la Lega è un partito conservatore, per quanto radicale in alcuni atteggiamenti, e non vuole mettere a rischio lo status quo profondo del paese; i Cinque Stelle sono e rimangono un partito di “masanielli” che sognano vaghe palingenesi, ma che non sanno come realizzarle.

La scelta di usare l’individuazione di nemici comuni tanto per tenere insieme la coalizione comincia a mostrare la corda. Va bene accusare la UE di tutti i nostri mali, non fosse che una parte non insignificante del paese ha bisogno di restare nel grande gioco europeo se non vuole vedere dispersi i frutti di settant’anni di sviluppo. Si può attribuire ogni colpa ad un fenomeno migratorio che ha dimensioni che lo rendono difficilmente governabile, ma dopo un po’ è difficile far credere che tutto dipenda da lì. È una vecchia tattica quella di attribuire la colpa di tutti i guai a chi c’è stato prima, ma anche in questo caso viene il momento in cui viene chiesto come mai non si riesce a far nulla per uscire da quel contesto.

Oramai ci stiamo avvicinando al punto in cui almeno nei gruppi dirigenti della società ci si pone la domanda su come togliersi da questa palude. In realtà in quel momento la situazione si complicherà non poco. Infatti la scelta classica del puntare come alternativa sull’opposizione politica appare poco attraente. Berlusconi, che ha fiutato il vento, crede ancora di poter essere colui che richiama “a casa” il consenso del moderatismo italiano, mentre non si rende conto che appare né più né meno come un sopravvissuto. Il PD continua ad essere impantanato nelle sue baruffe di corrente, con personaggi che vorrebbero essere leader sulla base del richiamo ad un passato che solo loro reputano glorioso, e altri che non riescono a liberarsi dal tradizionalismo dei vecchi slogan su popolo e sinistra.

Allora ciò che vediamo farsi strada, sia pure molto camuffato, è la speranza di poter fare un patto con la Lega di Salvini: vi sarà data la legittimità ad essere il perno della prossima stabilizzazione a patto che riusciate effettivamente a marginalizzare le pulsioni al grande rimescolamento. Non che per quel partito sia una scelta facile, perché il potere fa crescere gli appetiti e perché si è andati molto avanti su vie politiche barricadiere specialmente in direzione di una sfida agli equilibri della UE. Però, come si sa, i capi politici sono capaci di audaci testa-coda se valutano opportuno cambiare direzione per contare di più.

Peraltro è da vedere quanto vorrà esigere Salvini per accettare di svolgere quel ruolo: che sia disposto a farlo senza nulla chiedere pare altamente improbabile. Del resto per lui sbarazzarsi degli alleati “masanielli” non sarebbe operazione facilissima, anche se incliniamo a credere che non sarebbe neppure troppo difficile. Comunque sarà abbastanza per chiedere un compenso adeguato, cioè una revisione definitiva del nostro quadro politico. Non stiamo pensando ad una dittatura: per quella non ci paiono più esserci le condizioni e francamente ci sembra che nel quadro odierno quella roba sia antiquariato. Ci sono altri modi più attuali per consolidare un regime, sufficientemente “soft” da non creare troppi imbarazzi.