La sfida del populismo (greco) e l’Italia
La decisione del governo Tsipras di drammatizzare all’eccesso l’esito di un negoziato che per il suo paese era impossibile vincere risponde al momento difficile che i populismi di ogni colore hanno imposto all’Europa. Infatti, al di là di ogni considerazione sui tecnicismi della faccenda, ciò che ha condizionato a fondo questa partita è stato il fatto che ogni paese era prigioniero delle pulsioni populiste che dominano la propria opinione pubblica. L’Italia non fa eccezione, anche se da noi, come vedremo, la situazione ha peculiarità non riscontrabili altrove.
La rappresentazione del conflitto fra il governo greco e quelli europei è piuttosto semplice da riassumere: le opinioni pubbliche europee difficilmente avrebbero accettato che la Grecia ottenesse non solo una sanatoria su un passato di finanza allegra, ma una licenza a continuare ad elargire privilegi che negli altri paesi sono stati cancellati. Tsipras dal canto suo non poteva accettare di venire smentito nelle promesse elettorali che irresponsabilmente aveva elargito al suo popolo, cioè che si potesse cavarsela molto a buon mercato rispetto ai guai fatti in precedenza (senza parlare della forza che non ha per imporre un freno all’evasione e comunque ai privilegi fiscali).
Si può mettersi a fare delle riflessioni articolate sulla perfetta aderenza alla realtà di questa rappresentazione, ma in politica le rappresentazioni contano nella loro capacità di semplificazione. Per tutti i leader europei era di fatto impossibile concedere a Tsipras quella vittoria che reclamava, perché avrebbe significato, oltre tutto, l’aprirsi di una domanda generalizzata di misure di assistenzialismo economico-fiscale che avrebbero fatto naufragare la stentata ripresa economica in atto. Il default greco si spera sia una fiammata che compromette un po’ di banche, ma, avendo queste già guadagnato bene cogli interessi sui prestiti alla Grecia, possono resistere senza conseguenze traumatiche.
Il problema più arduo a questo punto è la ricaduta politica del punto di rottura a cui si è giunti. In primo luogo perché con la scelta di affidarsi ad un referendum popolare Tsipras apre il vaso di Pandora di tutte le richieste simili che girano in Europa: dal già preannunciato referendum britannico a quelli che invocano la Lega e il M5S in Italia (e infatti Grillo ha già mandato il suo plauso al leader greco). In secondo luogo perché spinge sul pedale dell’antieuropeismo e anche dell’ anti-germanesimo: due componenti che sono già surriscaldate dalla crisi in atto in materia di governo del fenomeno dell’immigrazione.
Che la situazione sia seria lo dimostra il fatto che nei principali paesi si è arrivati alla consultazione congiunta fra maggioranza di governo e opposizioni: è avvenuto in Germania, in Francia e in Gran Bretagna. E qui arriviamo alla peculiarità italiana, perché da noi qualcosa di simile sembra impossibile.
Di fronte ad una situazione che va sempre più ingarbugliandosi, in Italia non solo non c’è traccia di una possibile convergenza eccezionale fra maggioranza ed opposizione, ma la stessa maggioranza appare sfilacciata e in calo di smalto. Renzi è ostaggio dell’affaire De Luca e dei pasticci romani, mentre non può sbandierare vittorie né sulla scuola, dove ha sì fatto passare la riforma, ma senza creare vero entusiasmo fra i suoi sostenitori, né in altri campi (quella sul lavoro sta dando qualche risultato, ma niente di straordinario). La sua mania di essere un uomo solo al comando lo priva del supporto di una squadra autorevole che possa fungere da efficace interfaccia con l’opinione pubblica.
Il pericolo non gli viene certo dai Civati, Cofferati e Fassina, che non hanno ancora capito che il campo che si rifà all’esempio spagnolo di “Podemos” è, comunque lo si giudichi, già occupato da Grillo e dai suoi. E per di più sconta la concorrenza del populismo di Salvini. Ecco allora che si moltiplicano gli appelli a che il premier si converta ad una qualche forma di recupero di dialogo, se non di promozione dell’alleanza con la sua opposizione interna. Basta leggere fra le righe della grande stampa di opinione per cogliere questo trend.
Ma qui Renzi rappresenta davvero un parallelo con Tsipras: anche lui nella sua scalata al potere si è tagliato i ponti alle spalle ed ha promosso una “narrativa” che comporta solo il vincere o perire. Nel caso italiano la semplificazione riformistica, molte volte assolutamente disgiunta dal prendere in considerazione le difficoltà pratiche di riformare da zero un tessuto molto logorato, ma che non vuole cedere, rende molto difficile trovare nuove piattaforme su cui ricompattare un consenso più ampio. E questo mentre nel paese calano gli entusiasmi per l’uomo che avrebbe finalmente rimesso a posto tutto in poco tempo: fenomeno assai comprensibile, ma poco favorevole ai disegni del premier.
In definitiva in Italia come altrove in Europa l’esito del referendum greco di domenica prossima rischia di segnare comunque un giro di boa. Se i greci diranno no all’intesa con l’Europa, perché si aprirà una corsa a riproporre altrove il quesito, se cambieranno cavallo e diranno sì ad accettare la “medicina” della UE perché sarà necessario ripensare gli equilibri delle ideologie politiche così come li abbiamo avuti sino ad oggi.
di Paolo Pombeni