Cronaca di un’assenza. La politica italiana nel dibattito pubblico tedesco

Capita che di fronte al carattere involuto di molta parte del discorso pubblico nostrano, adagiato su una lettura spesso ombelicale degli avvenimenti politici, sorga l’esigenza di allargare lo sguardo e di osservare l’immagine che l’Italia proietta di sé oltre i propri confini. Una buona pratica è quella di verificare quanta parte del dibattito politico italiano, accalorato ma spesso asfittico, riesce a traguardare i confini nazionali e a destare l’attenzione, per limitarci alla dimensione continentale, dei nostri partner europei. Si tratta di un’azione di profilassi del pensiero che porta inevitabilmente a relativizzare l’immagine del ruolo e del peso che il nostro Paese conserva nelle vicende politiche ed economiche internazionali.
Un buon banco di prova è dato dall’esame della presenza e della rilevanza che i fatti politici italiani hanno correntemente nella stampa tedesca. Non ci si attende certo che le turbolenze della vita politica nostrana trovino nei quotidiani tedeschi la medesima eco che gli orientamenti politico-economici del governo guidato dalla Merkel conoscono nei giornali e nei media nazionali, ma l’osservatore ben intenzionato che decida di scrutare il proprio mondo attraverso gli occhi del vicino resterà in tutta probabilità deluso, dovendo registrare la quasi totale assenza di interesse per le vicende politiche italiane.
Semplificando, e limitando a titolo puramente indicativo l’osservazione alle cronache dell’ultimo mese, sono tre le questioni che, in ordine decrescente di rilevanza, hanno trovato un rilievo, seppur molto parziale, nella stampa tedesca: le vicende legate a Silvio Berlusconi, l’antieuropeismo diffuso e la politica economica del governo Renzi.
A dominare la scena dell’interesse dei tedeschi per il paesaggio politico italiano continua a essere l’ex premier, che ha ricevuto attenzione non solo per le spregiudicate esternazioni antitedesche, ma anche per l’evoluzione delle sue vicissitudini di ordine giudiziario. In entrambi i casi il registro discorsivo della stampa tedesca è quello dello stupore, rivolto alle forme del consenso che l’ex Cavaliere ha saputo e continua a coagulare attorno a sé, ancor prima che alla sua figura personale e alla sua parabola politica, stigmatizzate con toni marcati dai quotidiani di ogni coloritura ideale. L’ultima sua sciagurata trovata elettorale, quella dedicata al presunto assunto negazionista dei tedeschi, ha incontrato un’eco maggiore di quanto la stampa italiana abbia voluto evidenziare, anche in considerazione del silenzio che la Cancelliera ha riservato alla vicenda. A colpire i giornali tedeschi, però, non è stata solo l’impercorribilità di un pensiero, quello berlusconiano, portato a oltraggiare la religione civile che in Germania si è costituita intorno alla memoria della Shoah, ma una sorta di correità che investirebbe gli italiani per avere consentito a Berlusconi di attraversare da protagonista la recente stagione politica italiana. Toni assai simili hanno accompagnato la notizia dell’affidamento ai servizi sociali dell’ex-premier in seguito alla condanna passata in giudicato per il processo Mediaset, ultimo atto di una saga, quella berlusconiana, che agli occhi dell’osservatore tedesco ha assunto negli anni contorni sempre più enigmatici.
Su un profilo più squisitamente politico, a interessare (e preoccupare) la stampa germanica è in particolare il montante antieuropeismo, divenuto la base connotante della strategia elettorale di una parte nutrita delle forze politiche italiane. Anche in questo caso l’atteggiamento è di stupore. Come sottolinea Tobias Piller, corrispondente italiano della Frankfurter Allgemeine Zeitung, i partner europei trovano sorprendente che dopo aver causato nel corso degli anni Novanta più di una turbolenza al sistema continentale per trovare accoglimento nella zona Euro, l’Italia ritenga di poterne prescindere in tutta leggerezza, dipingendo l’abbandono della moneta unica come la via verso un ritorno al paese di Bengodi. Continuiamo a essere, in altre parole, un Paese dove i fatti sembrano non contare e dove i contorni della realtà politica ed economica internazionale possono essere distorti e piegati per puro tornaconto elettorale.
E veniamo al trattamento riservato al Presidente del Consiglio in carica e alla politica economica del suo governo, temi in cui lo stupore e la sorpresa lasciano il posto all’attesa e a una malcelata circospezione. Fin dalla visita di Renzi a Berlino, enfatizzata dalla stampa italiana ma passata in sordina in quella tedesca, la Germania sembra manifestare una certa prevenzione nei riguardi delle promesse di rilancio che con una certa enfasi hanno accompagnato il nuovo corso della vita politica nazionale. Se nel riferire dei progetti di ripresa economica presentati dal governo in sede europea la Zeit ha presentato il giovane premier italiano come una specie di fanfarone affezionato alle promesse altisonanti, la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha osservato un contegno più misurato, non mancando però di evidenziare la velleitarietà di una parte del progetto riformista di Renzi e le prime incertezze nella sua attuazione.
Lo sguardo del partner tedesco resta in altre parole quello, severo e preoccupato, dello studente diligente che osserva con disagio l’incedere claudicante dello scolaro impreparato, che col suo arrancare rischia di mettere in pericolo la buona riuscita dei progetti comuni. Più in generale, è il punto di vista posato su una cultura politica dai tratti singolarmente e incomprensibilmente affezionati al carattere seduttivo del populismo, e su una realtà economica la cui marginalità rischia di diventare un peso per l’intera Europa.
In un lavoro dedicato al recente cambiamento dei rapporti tra Germania e Italia, Gian Enrico Rusconi parlava di un’estraneazione strisciante venuta progressivamente a galla tra i due paesi. A distanza di qualche anno l’interrogativo che guidava quelle riflessioni sembra conservare tutta la sua attualità: “Può un paese apparire simpatico, economicamente interessante, culturalmente affascinante e nello stesso tempo essere considerato scarsamente rilevante dal punto di vista politico?”.
di Giovanni Brandi *
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